“Io medico del 118 vi racconto come è cambiata la mia vita con la pandemia”

La metamorfosi del lavoro sul territorio degli operatori sanitari del 118: dalla paura del contagio ai pazienti che scelgono di non andare in ospedale

Da quando è iniziata l’emergenza sanitaria causata dal coronavirus nel nostro Paese, in più di un’occasione si è lodato il lavoro, l’impegno e la dedizione di medici e infermieri, da subito in prima linea per fronteggiare un nemico mortale e invisibile. La foto dell’infermiera che, stremata, si addormenta sulla scrivania ha fatto stringere il cuore a tutti gli italiani. Ma non è solo nelle corsie degli ospedali che si combatte contro il coronavirus. Ci sono medici e infermieri che operano direttamente sul territorio: sono gli operatori sanitari del 118. Interris.it ha intervistato un dottore che svolge il suo servizio quotidiano a bordo di un’ambulanza nel territorio dell’Area Vasta 2 (Fabriano-Jesi-Senigallia-Ancona) che, per vari motivi, ha scelto di rimanere nell’anonimato.

Come cambiano i rapporti

“Io sono medico, mia moglie infermiera. Ci capiamo e condividiamo questo stress. Ho una figlia di tredici anni che vive con noi. Quando torno a casa la sera ci penso sempre prima di abbracciarla o darle un bacio“, racconta, spiegando come la pandemia di coronavirus ha influito nelle relazioni familiari. “Serve prudenza, sono sempre molto cauto”. Cambiano anche i modi di rapportarsi con i colleghi e i pazienti. “Siamo professionisti, il distanziamento sociale e l’utilizzo dei dpi è entrato nel nostro quotidiano abbastanza rapidamente”, ha sottolineato.

Il primo impatto con il coronavirus

“La cosa peggiore del coronavirus è il dover combattere con un nemico che non conosci. All’inizio ci siamo trovati di fronte a una situazione nuova, non avevamo tutti i dati necessari – spiega a Interris.it -. Con il passare del tempo, sono arrivate nuove informazioni, abbiamo iniziato a razionalizzare e ora siamo più pronti”. Il dottore ha spiegato, che per quel che riguarda la sua realtà lavorativa non si è mai registrata una vera e propria mancanza di dispositivi di protezione individuale, anche se si cerca di farne economia. “Non siamo mai andati a mani nudi dai pazienti. Come prevedono i protocolli, dobbiamo ‘bardarci’ di tutto punto. Questo a volte comporta un po’ di ritardo nel nostro intervento“.

La paura di andare in ospedale

Nell’area dove opera il dottore, si è registrata una diminuzione nella volontà di recarsi in ospedale da parte dei pazienti. Le persone hanno paura a recarsi nelle strutture sanitarie perché hanno paura di contagiarsi. “Il pronto soccorso del polo ospedaliero di Torrette ha dovuto apportare dei grandi cambiamenti per dividere il percorso dei pazienti con sospetto covid da quelli non sospetti – spiega -. Devo dire che all’inizio è stato difficile, ma pian piano le persone hanno preso consapevolezza e hanno iniziato a rispettare le indicazioni di non recarsi in ospedale. Non sono d’accordo quando si dice che la gente non ha contezza di quanto sta accadendo“.

I tagli alla sanità

E’ noto ormai che il nostro Sistema Sanitario Nazionale ha risentito di decenni di tagli di fondi. Questa decurtazione delle finanze ha portato alla chiusura di molte strutture ospedaliere, facendo ricadere il flusso di pazienti su quelle che sono rimaste nei vari territori. “E’ chiaro che se prima c’erano 10 pronto soccorso, 6 chiudono: i quattro che rimangono per forza di cose avranno una concentrazione di lavoro”. Un altro aspetto causato dai tagli dei fondi è la privatizzazione delle strutture ospedaliere, prima, e delle strutture dedicate alle emergenze. “Questo dare in gestione sta causando molti problemi, ci potrebbe essere anche un calo della qualità delle prestazioni. Ma ci si accorge solo nei momenti di emergenza, come quello che stiamo vivendo, degli errori che sono stati fatti“. Anche nella realtà lavorativa dei medici del 118 i tagli alla sanità hanno prodotto conseguenze. “Io ho 60 anni e anche i miei colleghi hanno più o meno la stessa età. Tutti con grande esperienza, ma anziani e alcuni prossimi alla pensione. Dietro di noi c’è il vuoto, non c’è ricambio – spiega -. Probabilmente, la nostra sarà una professione che andrà a morire, evidentemente non c’è la volontà politica per sostituire questo tipo di lavoratori. A volte, nei turni del 118 non c’è proprio il medico disponibile per andare in ambulanza. Bisogna assumere, tirare fuori i fondi. Se questo non avviene, il personale si dirada, fino a non esserci più“.