“In pandemia mancano risposte alle disabiltà complesse”

La testimonianza di Antonio Massacci, papà di Giorgio, un ragazzo con grave disabilità intellettiva, sui contraccolpi che il lockdown ha sull'assistenza domiciliare e sull'attività quotidiana delle strutture di accoglienza

“Spiegare in pandemia alle persone con disabilità intellettive, non i contenuti dei decreti o delle ordinanze che si susseguono, si differenziano, si personalizzano, ma le conseguenze di queste disposizioni e gli obblighi che ne derivano è veramente un’impresa ardua”, spiega a Interris.it Antonio Massacci che a Jesi, in provincia di Ancona, presiede l’onlus Anffas, l’associazione delle famiglie di disabili intellettivi. Suo figlio Giorgio è una persona con disabilità intellettiva complessa.

 

Perché definisce una “impresa ardua” spiegare il lockdown ai disabili intellettivi?
“E’ un’impresa veramente ardua, sia perché i livelli di comprensione sono minimi o del tutto inesistenti, sia perché lo scandire del tempo vede più spesso misurazione biologiche e non cronometriche e la conservazione delle conoscenze acquisite, se acquisite, è solo per poco, e richiede, quindi, continue e snervanti ripetizioni, rimotivazioni. La frustrazione che ne deriva, per le persone che operano nel settore è enorme. In luoghi dove il contatto, “corporeo”, è inevitabile”.

 

Quali sono le complicazioni collegate all’emergenza sanitaria collettiva?
“Nelle strutture che si occupano dei disabili intellettivi l’utilizzo di abbigliamento diverso da quello abituale e consueto costringe a spiegazioni da ridare costantemente, per più volte al giorno, per più volte all’ora e ciò fa male”.

A quale tipologia di disabili si riferisce?
“Mi riferisco alle persone con disabilità intellettive, rare e complesse e dei disturbi del neuro sviluppo. Parlo di quelli che chiamo gli innocenti senza dimentare chi si prende cura di loro, dei cargiver. Un compito reso ancora più difficile dalle inevitabili disposizioni decese della autorità sanitarie per fermare il diffondersi della pandemia di Covid19”.

Avverte un senso di abbandono dei più bisognosi?
“Nell’Italia degli Staterelli e degli Staterellisti ondivaghi e sciolti, autarchici, dove tutto è propaganda e dove appare assente l’interesse comune, è praticamente impercettibile l’impegno, se mai ci sia, verso le persone e le loro diversità. In questo contesto, mi appare veramente grave, l’apparente o vera assenza dello studio di soluzioni alle problematiche delle disabilità complesse”.

Quali sono i principali motivi di allarme in questa situazione?
“Per coloro che hanno livelli alti di autonomia intellettuale o non hanno problematiche intellettive ma altre: fisiche o sensoriali, per tutte le persone che operano nel settore, che si prendono cura, il non vedere allo studio soluzioni, che sappiamo essere difficili, fa male. Fa male ancora di più se questo dramma si consuma in casa, dove non c’è un cambio di turno, dove non ci sono altre persone con cui confrontarsi, dove lo devi fare anche se sei in età nella quale non dovresti più lavorare, anche se non hai le forze necessarie per farlo, anche se sei sola o solo, anche se hai già tu, gravi problemi”.

Una tragedia nella tragedia, quindi…
“Sì. L’unica consapevolezza che si ha, consiste nel sapere che non si sa, che non si avranno sostegni, che non c’è il giusto, il dovuto interesse alla soluzione del problema. Ogni familiare di persona con disabilità, in qualsiasi fascia di età, essa disabilità, sia insorta; ha solo due certezze: quella di non averla scelta e quella che sarà per sempre. Ora si va facendo strada una terza certezza: quella che sarà la tua e solo tua, anche se le disabilità sono figlie di tutti”.

Per voi familiari di persone con disabilità intellettive gravi qual è oggi la preoccupazione maggiore?
“Ci fa male anche il vedere, il sentire, che i sapienti che imperversano, che elargiscono, che propongono soluzioni più o meno credibili, e più o meno probabili, non accennino minimamente a questa “tipologia” di persone che pure rappresentano, circa, il 5% della popolazione. Certo nelle zone ricche del paese la percentuale è minore del 5%, di poco; mentre nelle zone più povere è superiore ma la media, appunto, fa il 5%, circa. Poco si potrebbe pensare, per occuparsene ma non è così, perché accanto ad ogni persona con disabilità, per ogni persona con disabilità, ne vivono, operano e soffrono almeno altre due. Sarebbe quindi opportuno che i decisori, i cinici, gli indifferenti, gli ignavi: ne tengano conto”.