“In mascherina non si può fare terapia con i disabili”. Allarme per il 5% degli italiani

Sos degli operatori dei centri diurni e delle famiglie di persone con disabilità complessa. Cosa manca nelle linee guida del comitato tecnico scientifico. L'appello delle mamme

C’è un’emergenza specifica nell’emergenza sanitaria generale e riguarda il 5% della popolazione italiana. Le linee guida del comitato tecnico scientifico autorizzano gli studenti con disabilità a tornare a scuola senza mascherina. Per la terapia della disabilità la questione resta complicata. Secondo il decreto del 17 maggio, i disabili non sono soggetti all’obbligo di utilizzo dei dispositivi di protezione individuale (dpi). Potranno farne a meno, quindi, “gli studenti con forme di disabilità non compatibili con l’uso continuativo della mascherina”. Come già segnalato nei centri diurni dalle associazioni dei familiari di disabili, infatti, i dispositivi di protezione individuale rappresentano un problema anche nell’assistenza e nel lavoro di terapia e formazione svolto dagli educatori. “Non riconoscere un volto significa impedire l’apprendimento e crea una stato d’animo di angoscia e di insicurezza”, spiega a Interris.it Antonio Massacci. Un disagio segnalato al governo dall’Anffas, la onlus che si occupa di disabili intellettivi.

Una gravissima difficoltà che emerge dalla prassi quotidiana dei terapisti, degli operatori dei centri diurni e dai familiari dei disabili. Rita Rossetti è la madre di Giorgio, un ragazzo colpito da un’epilessia farmacoresistente che gli impedisce di memorizzare quanto apprende. “Spiegare a un disabile intellettivo grave l’emergenza in corso è molto complicato sia perché i livelli di comprensione possono essere minimi o del tutto inesistenti, sia perché lo scandire del tempo segue spesso misurazione biologiche e non cronometriche“, evidenzia Rita Rossetti a Interris.it. Anche le conoscenze acquisite, in molti casi, vengono conservate solo per poco e sono necessarie “continue e snervanti ripetizioni e rimotivazioni”. Nelle comunità residenziali, “l’utilizzo di abbigliamento diverso da quello abituale e consueto costringe a spiegazioni da ridare in continuazione con tutto il malessere che ciò provoca a persone con disabilità intellettive e complesse e con disturbi del neurosviluppo”.

Caregiver

“E’ un’impresa veramente ardua – conferma Massacci -. La frustrazione che ne deriva, per le persone che operano nel settore è enorme. In luoghi dove il contatto fisico è indispensabile ed è parte fondamentale della terapia. Con i nostri figli non si può mai smettere di lavorare ed educare”.  I caregiver sono figure che si occupano ininterrottamente di familiari malati. “Nel nostro caso assistiamo quotidianamente le nostre bimbe affette da una rara mutazione genetica: siamo le loro braccia, i loro occhi, le loro gambe 24 ore su 24″, raccontano le mamme caregiver di bambini disabili, che hanno fondato “AMA.le IQSEC2″, acronimo dei nomi di Annalisa, Matilde e Alessandra, tre bambine fra i 7 e i 9 anni con una rarissima mutazione in un gene che si chiama, appunto, IQSEC2, che codifica per una proteina importante per le funzioni cerebrali.

Supporti

“Le scuole si stanno improvvisando con la didattica a distanza, ma per i nostri bambini affetti da una disabilità grave non funziona: non capiscono, hanno bisogno del contatto fisico e visivo, degli abbracci, di una costante guida fisica- proseguono-. Per tutte queste ragioni chiediamo che venga riconosciuta la figura del “caregiver” oggi e sempre; abbiamo bisogno di supporti per il futuro dei nostri figli, e abbiamo bisogno di un supporto economico per le terapie (logopedia, psicomotricità, musicoterapia). Molte di noi mamme hanno dovuto lasciare il lavoro; per questo motivo abbiamo bisogno di un supporto economico per gli integratori, per giochi specifici, per le professionalità alle quali ci affidiamo. Chiediamo che i nostri sforzi venissero riconosciuti dallo Stato, forse ci sentiremo meno soli”. E aggiungono: “La condizione in cui ci troviamo è la stessa di milioni di famiglie, lo sappiamo, come riconosciamo l’impotenza: la stessa che abbiamo provato noi caregiver quando la disabilità è entrata a far parte della nostra vita. Durante il lockdown è stata negata la libertà, la possibilità di scegliere senza restrizioni, la possibilità di frequentare persone, luoghi, spazi; quello che a molti è stato tolto per un breve periodo, a noi è stato tolto tempo fa per sempre. Vedendosi negare scuola, terapie, aiuti, abbiamo perso le poche ore di libertà che avevamo, abbiamo perso la possibilità di chiedere la consulenza e la presenza di persone qualificate, assistendo impotenti alla veloce regressione dei nostri figli e figlie”.