Il parroco documentarista don Cecconi: “In pandemia serve un’informazione responsabile”

Fede e informazione al tempo della pandemia. L'esperienza pastorale e comunicativa di don Dino Cecconi nell'intervista a Interris.it 

Informazione e preghiera. Ha seguito per molti anni la regia delle messe della domenica in onda su Rai Uno. “Condivido appieno un pensiero di Papa Francesco: ‘Stranamente, non abbiamo mai avuto più informazioni di adesso, ma continuiamo a non sapere che cosa succede’”, afferma a Interris.it don Dino Cecconi. Fede e informazione al tempo della pandemia. L’esperienza pastorale e comunicativa del parroco documentarista. Informazione

Pastorale e informazione

Don Dino Cecconi è parroco della cattedrale di San Leopardo a Osimo (Ancona). 67 anni, è originario di San Sabino, frazione di Osimo. E’ stato inviato e reporter. Ha realizzato documentari in Brasile e nelle realtà più remote e marginali del pianeta. Negli anni regia delle messe su Rai Uno è stata seguita da altri tre sacerdoti oltre a lui. Un’alternanza domenicale che ha portato le celebrazioni festive nelle case di malati e anziani impossibilitati a muoversi da casa. Qual è il valore sociale dell’informazione in un mondo sempre più globalizzato e interconnesso?

“Già si dà per scontato che la così detta ‘informazione’ sia un valore. Se si intende per informare. ‘Dar forma’, ‘istruire’. Il collaborare per arricchire. Quasi con la premura e il rispetto di chi non vuole danneggiare. Ma offrire ciò che è prezioso, importante, di qualità. Questo è bello. Ed eticamente è un valore per la nostra epoca. Specie quando questa informazione è un frutto esperienziale, provato. E sa quasi di virtù, certamente non acquisita da tutti, anche se pretesa”.Quali sono i pericoli di un sovraccarico di informazione?

“La differenza si nota quando per informazione si intende quel fornire di notizie. Quel portare a conoscenza mettendo in circolo più notizie possibili. Dove la quantità è più importante della qualità. Questo avviene senza discernimento, che caso mai lo farà il fruitore. È anche vero che in questo contesto globalizzato tutto corre alla velocità della luce. Anche l’informazione. Ed arriva ad ogni angolo del mondo, come un fiume in piena. Con questo purtroppo non possiamo dire che il fruitore sia ‘ipso facto’ informato. E che i media hanno svolto la loro mansione, lasciando confusione”. I social media possono aiutare a trasmettere il valore della spiritualità alle nuove generazioni?

“La spiritualità è un’esperienza da vivere e non una espressione culturale. Per esempio, la spiritualità francescana è uno stile di vita. Ora i media possono documentare, raccogliere testimonianze, stuzzicare la voglia di approfondire. Rimane certo che la spiritualità è un valore aggiunto, che fa la differenza per le generazioni di oggi. È parimenti vero che tale esperienza non la si accoglie per puro caso. Ma per aver maturato la voglia a vivere la storia in uno stile diverso”.Può farci un esempio?

“Questo frutto di esperienze familiari, personali o di gruppo portano a distaccarsi da un qualunquistico stile di vita. E provocando una santa inquietudine interiore esige una marcia in più del nostro ragion di vivere. In questo caso i social media possono imboccare una strada sbagliata. E danneggiare la spiritualità”.Perché?

“Perché qui si tratta di esperienza, non di informare. Ma di un formare esperienziale, che è la vera conoscenza. Concordo con Albert Einstein quando afferma che l’informazione non è conoscenza”.

Un anziano segue la messa in streaming

Dai santi sociali come Cottolengo e don Bosco quale lezione possono trarre oggi i giovani?

“L’agiografia ha sempre fatto colpo non tanto per le storielle. Ma per esempi stimolanti che danno ragione al vivere piatto umano. Il problema è che ne si dicono tante. E c’è una gran quantità di storie, ‘storiacce’ e anche bei esempi di vita. Comunque il bello si distingue e attira. Nel magma della informazione c’è di tutto”.A cosa si riferisce?

“È la perplessità di Roberto Cotroneo quando afferma che non ci sono mai state più informazioni. E probabilmente non ci sono mai state così tante informazioni di scarso valore. E’ il paradosso in cui viviamo. E’ l’età d’oro del giornalismo. Eppure c’è una cacofonia di rumori che probabilmente non è mai esistita prima. I grandi personaggi che sono segno nel sociale continuano ad attrarre.Qual è il motivo?

“Perché sono esempio in una normale storia, figli del loro tempo. E profondamente inseriti nel loro contesto, attenti alla realtà del momento. Ogni epoca ha avuto i suoi piccoli o grandi eroi. Carichi di umanità, segno nella loro società. Dimostrando che il bene nasce dalla spontaneità. Ed è sempre possibile farlo, senza misurarne la quantità”.InformazioneI “santi della porta” accanto di cui parla il Pontefice?

“Esiste una santità ordinaria, diffusa, distante dai riflettori mediatici. Ugualmente significativa e prestigiosa. Bosco e Cottolengo non erano persone eccezionali. Ma uomini normali, che nel loro momento storico hanno dato risposta a un bisogno sociale noto a tutti”.

Una fedele in preghiera- Foto © Ansa

Quanto conta la fede in una società sempre più secolarizzata?

“La fede può fare la differenza dell’agire umano, ma non è la garanzia. A precedere la fede c’è uno spirito di umanità, che non è dato per scontato. E di conseguenza si agisce anche per fede. E questo fa la differenza. La fede noi generalmente la colleghiamo a Dio. Ma non è l’unico termine a cui può essere collegata, Dipende dal soggetto. Per definizione la fede consiste nel ‘ritenere possibile’ quel che ancora non si è sperimentato. O che non si conosce personalmente”.Cioè?

“San Tommaso d’Aquino propone una definizione illuminante della fede. E’ la disposizione ad accogliere come vere le informazioni di cui non si ha una conoscenza diretta. E ciò basandosi sull’autorità altrui. È comunque la tendenza al soprannaturale. Senza evadere dalla realtà. Ma dando alla realtà stessa un respiro verso l’infinito del mistero. La fede può stravolgere il vivere. E ti fa vedere in un modo singolare. Questo per chi crede in Dio. E questo approccio ti aiuta a capire anche chi non ha fede”.InformazioneUn’emergenza collettiva come la pandemia rende o meno più pervasiva l’informazione?

“Il termine ‘pervasiva’ mi fa pensare a qualcosa che penetra, si infiltra ovunque. E contamina tutto, quasi inavvertitamente, sotto tono. Penso all’acqua che penetra ovunque per esempio. L’informazione durante questa pandemia è riuscita molto bene a ‘far paura’. A ‘spaventare’, spesso a ‘creare angoscia’. Le informazioni traspiravano ovunque. E chiunque diceva la sua. Spesso da falso esperte. E quante contraddizioni!”.InformazioneCon quali effetti?

“Il test dell’informazione è stata la pandemia. Un’eruzione incontrollata di notizie, informazioni. E di contro informazioni a piede libero. Aveva ragione il giornalista francese Bernard Werber. Sotto una valanga ininterrotta di informazioni insignificanti, più nessuno sa dove trovare le informazioni che lo interessano”.E’ l’infodemia, cioè la circolazione delle notizie in quantità eccessiva?

“Questo è il danno che ha creato l’informazione pervasiva in uno stile magmatico. La società aveva di bisogno qualcosa di diverso. ‘La vera informazione non è quella offerta, ma quella ricercata’, diceva un saggio anonimo. E Umberto Eco diceva che l’uomo colto è colui che sa dove andare a cercare l’informazione. Nell’unico momento della sua vita in cui gli serve”.