Il caporalato ai tempi del Coronavirus

Onofrio Rota, segretario generale Fai Cisl: “In questo momento, nei ghetti, senza sindacati e senza volontari delle Ong l’ecatombe sarebbe già compiuta”

I decreti, che l’esecutivo guidato dal Premier Giuseppe Conte ha emanato per far fronte al Coronavirus, prevedono la restrizione della circolazione. In Italia, si muovono solo quei lavoratori e quelle imprese ritenute essenziali. In prima fila, il settore alimentare. Ma questo mondo è popolato anche da persone senza scrupoli che sfruttano una manodopera povera: i caporali. “Figuriamoci se le norme contro il Coronavirus possono interessare qualcosa a chi sfrutta”, così racconta a Interris.it il fenomeno del caporalato Onofrio Rota, segretario generale Fai Cisl.

Dottor Rota il governo ha deciso di chiudere tutte le produzioni non essenziali. Gli agricoltori continuano a lavorare, in che condizioni?
“Gli operai agricoli stanno garantendo assieme a tutta la filiera agroalimentare il cibo al Paese. Stanno affrontando questa emergenza con grande responsabilità e impegno. Si lavora in situazioni molto diverse tra loro. In tante imprese agricole si riesce a rispettare quanto indicato dal protocollo del 14 marzo per la sicurezza nei luoghi di lavoro. È possibile evitare la vicinanza tra lavoratori, seguire le regole igienico sanitarie, avere turni sostenibili. Abbiamo poi una serie di condizioni più complicate, come il lavoro in serra. Poi ci sono le situazioni peggiori, quelle dello sfruttamento e del lavoro nero: ovviamente lì la sicurezza non è mai garantita, tanto meno adesso. A tutto questo si aggiungono complicazioni economiche, ad esempio nel settore florovivaistico, oppure quelle dovute al clima: le gelate di questi giorni di certo non aiutano.”

Il protocollo per il contenimento dei contagi ha visto la partecipazione di Confindustria, sindacati ma non delle imprese agricole. Perché?
“Sono scelte del governo, fatte con tempi molto ridotti e in una situazione complicata. L’importante era garantire la rappresentanza dei lavoratori e del mondo produttivo, impossibile la partecipazione di ogni singolo rappresentante di settore. Non a caso, con Coldiretti, Cia e Confagricoltura avevamo iniziato a lavorare a uno specifico protocollo per la sicurezza nei luoghi di lavoro, ma con l’ultimo decreto il governo ha chiarito che anche in agricoltura va applicato quello del 14 marzo. Tutto sommato è condivisibile, l’importante è che venga attuato: continuiamo a chiedere la massima responsabilità da parte di tutti.”

Qualche giorno fa a Latina, la Polizia ha proceduto a 27 denunce sul fronte del caporalato. Questo fenomeno in che dimensioni è presente in Italia?
“Purtroppo gli sfruttati sono stimati ancora tra i 300 e i 400 mila. È un fenomeno notoriamente diffuso in tutto il Paese, anche se i numeri del centro sud sono più alti. Ad essere sfruttati sono anche lavoratrici e lavoratori italiani, ma in gran parte il fenomeno si annida nelle sacche dell’immigrazione irregolare. Per questo continuiamo a sostenere quanto proposto già l’anno scorso: una regolarizzazione che contribuisca a far emergere il lavoro nero, a riconoscere diritti e doveri ai tanti immigrati lasciati ai margini della società, specialmente dopo i decreti sicurezza.”

Quali misure si dovrebbero adottare per proteggere questi lavoratori?
“Da sempre chiediamo la piena applicazione della legge 199 contro il caporalato, e il nuovo piano triennale redatto dal governo con la collaborazione delle parti sociali potrà essere molto utile anche in questo senso. Ma l’emergenza attuale è ovviamente il Coronavirus. Agli operai agricoli vanno garantite tutte quelle misure indicate dalle autorità sanitarie, a cominciare dalla distanza di sicurezza tra un lavoratore e l’altro, la possibilità di lavaggio accurato e frequente delle mani, la sanificazione di tutti gli ambienti, specialmente quelli chiusi, lo scaglionamento degli ingressi e delle uscite. Se poi è previsto un trasporto aziendale per i lavoratori, vanno adottate tutte le precauzioni del caso, evitando qualsiasi situazione di contagio. Altro punto fondamentale per il comparto agricolo è quello del carico e scarico delle merci: gli autisti devono restare a bordo se possibile, altrimenti, se partecipano alle operazioni di carico e scarico, devono rispettare alla lettera tutte le norme previste dall’azienda, sempre senza entrare in contatto con il personale. Possono sembrare procedure esagerate, ma non lo sono affatto. Oramai medici e ricercatori hanno fornito tutte le informazioni possibili per capire che il virus non va mai sottovalutato, che nessuna leggerezza è consentita.”

E per le vittime del caporalato?
“Chiaramente per quanto riguarda le vittime di sfruttamento non c’è partita: si continua a viaggiare stipati nei furgoni messi a disposizione dai caporali, si continua a vivere pagando loro i pasti e l’affitto per le baracche. Figuriamoci se le norme contro il Coronavirus possono interessare qualcosa a chi sfrutta la  manodopera. Magari le applicano per se stessi, ma non per gli altri. A maggior ragione nelle baraccopoli servono interventi urgenti: non solo informazione, ma anche visite mediche, sanificazione degli ambienti, messa a disposizione dei dispositivi di sicurezza.”

Spesso questi ragazzi vivono ammassati in tendopoli con condizioni igienico-sanitarie pessime. Il coronavirus rischia di far registrare un’ecatombe?
“Purtroppo sì. Nelle baraccopoli siamo stati tante volte, per denunciare, per parlare con i migranti che ci vivono, per avviare progetti di uscita dal ghetto. In Italia ne sono censiti 80, ma alcuni sono veramente enormi, strutturati. Due settimane fa, insieme ai nostri colleghi pugliesi e all’Anolf Foggia, abbiamo fatto ben tre nuovi sopralluoghi tra San Severo, Rignano e Borgo Mezzanone. Le condizioni non sono quelle dei momenti peggiori, quando si concentrano fino a 5 mila persone, ma rimangono pessime. Basta ricordare che uno degli ultimi incendi avvenuti al ghetto “la pista”, a inizio febbraio, ha provocato la morte di una giovane nigeriana. Per quanti sforzi si facciano, anche contro il Coronavirus molti residenti dei ghetti rimangono gli ultimi tra gli ultimi. Ancora non sono bene informati dei gravi rischi che corrono, e quando lo sono si trovano comunque nell’impossibilità di difendersi. Le stesse raccomandazioni dei ministeri sono tutte pubblicate in italiano, il che vuol dire che tante persone neanche le comprendono. In questo momento, nei ghetti, senza sindacati e senza volontari delle ong l’ecatombe sarebbe già compiuta.”

Si sono individuati dei siti per ospitare parte di questi lavoratori soggetti al caporalato?
“I siti non mancano. Proprio nel nostro ultimo sopralluogo a Borgo Mezzanone abbiamo denunciato che nel vicino CARA sono accolti solo 25 immigrati, quando potrebbe ospitarne 700. Anche la gestione del CARA, di contro, non è ottimale: gli operatori stanno lavorando senza stipendio da 5 mesi e senza condizioni di sicurezza contro il Coronavirus. Il problema dunque sta a monte, in una mala gestione del fenomeno migratorio che dura da troppi anni. Il piano triennale contro il caporalato, recentemente approvato, è un primo passo molto importante e stanzia i primi fondi per intervenire su diversi aspetti, compresa la politica degli alloggi. Servono azioni coordinate, monitorate costantemente, mentre finora la mano sinistra non sapeva cosa faceva la destra. Di buone pratiche ce ne sono tante. Anche accanto al gran ghetto di Rignano, ad esempio, ci sono container del Ministero dell’Interno che ospitano braccianti con regolare contratto di lavoro. Così come a San Severo, dove l’associazione Casa Sankara, insieme alla Regione e alle istituzioni locali, ha costruito una realtà che arriva ad ospitare 500 braccianti. Certo sono sempre container, non sono case, ma almeno soddisfano le condizioni di prima necessità e sicurezza, tolgono le persone dalle baracche e, soprattutto, dal ricatto dei caporali.”

La criminalità organizzata ha diminuito la sua presenza sul settore agricolo in questo momento di emergenza sanitaria?
“No. E il fatto che neanche in piena emergenza da Coronavirus i caporali smettano di speculare sulla pelle dei lavoratori la dice lunga sul fenomeno e sulla spregiudicatezza di queste persone. In questi giorni al nostro numero verde Sos Caporalato, 800.199.100, non sono giunte segnalazioni. Ma lo sappiamo che in alcuni territori il fenomeno è radicato, legato a una criminalità strutturata, che vede nell’agroalimentare opportunità di guadagno illecito provocando danni enormi sotto tutti gli aspetti, sia sociali che economici. Essendo il motore trainante della nostra economia, ed essendo anche in questo momento considerato fondamentale per tutti, al pari dei settori sanitario e farmacologico, l’agroalimentare farà sempre gola alle organizzazioni criminali. Ma abbiamo dalla nostra parte tanti strumenti per vincere: giuridici e penali, culturali, sociali. Sono convinto che questa crisi enorme vada colta anche per rivedere tutti i nostri comportamenti quotidiani: accettare di lavorare in nero, acquistare prodotti non certificati, non denunciare i fenomeni mafiosi… sono tutte cose che dovranno essere ripudiate, se si vuole un’economia più sana e più civile.”