Iacomini (Unicef Italia): “Le bambine e i bambini dell’Afghanistan non possono aspettare”

Nel paese asiatico 10 milioni di bambini, di cui molti senza genitori, hanno bisogno urgente di aiuti umanitari

Amnesty

In questo periodo, la situazione dell’Afghanistan è segnata da una grave conflittualità interna che ha messo in grave pericolo la popolazione civile. Il tributo maggiore, in termini di vite umane, è stato pagato da donne e bambini: basti pensare che, nella prima metà di quest’anno, è stato rilevato il più alto numero di bambini mutilati e uccisi da quando le Nazioni Unite hanno iniziato ad effettuare indagini statistiche nel paese. Questa difficile situazione vede Unicef in prima linea nel portare un rapido soccorso alla popolazione bisognosa ed in particolare alle bambine e ai bambini.

L’intervista

Interris.it ha intervistato il dottor Andrea Iacomini, portavoce di Unicef Italia, per capire quale sia la situazione in Afghanistan. Il dott. Iacomini, fin da giovanissimo, si è impegnato come volontario e attivista nel mondo dell’associazionismo scoutistico, politico e sociale. Tra le sue missioni più importanti, ci sono quelle in Ghana, Sierra Leone, Libano, Siria, Giordania, Iraq e Kurdistan iracheno, dove ha visitato molti campi profughi e attività dell’Unicef. Dal 2014, attraverso la campagna denominata ”IN VIAGGIO” – che ha preso vita in diverse scuole, università e piazze –, racconta la sua esperienza sul campo per sensibilizzare i giovani sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza nel mondo, sulla povertà e sullo scenario internazionale. È autore di svariati testi, tra cui il romanzo autobiografico intitolato “Il giorno dopo”. Nel 2019 gli è stato conferito dalla Regione Abruzzo il premio internazionale “Ignazio Silone”.

Dottor Iacomini, qual è la situazione attuale della popolazione civile in Afghanistan dopo la presa del potere da parte dei talebani?

“La situazione è piuttosto complessa; come Unicef siamo in attesa di un dialogo coi talebani per capire quali saranno gli intendimenti del governo rispetto alla situazione umanitaria del paese. In Afghanistan ci sono 18 milioni di persone che hanno bisogno urgente di assistenza umanitaria, di cui 10 milioni sono bambini. Esiste un’emergenza legata all’acqua, perché nel 80% del paese non c’è acqua potabile. Nel nord in particolare abbiamo distribuito molti container d’acqua per il fabbisogno idrico di 12 mila persone ma, se non si interviene immediatamente, prevediamo che proprio in quella zona milioni di bambini resteranno senz’acqua. Il problema idrico è enorme e bisogna solamente farsene carico. Siamo presenti in questo paese dagli anni ’60 con 330 persone che oggi hanno deciso di restare in Afghanistan perché ci sono molti bisogni umanitari. A proposito di questo, voglio ricordare che qui esistono ancora il tetano e la polio endemica ed è quindi fondamentale proseguire con le vaccinazioni. C’è poi una condizione legata all’istruzione che è sempre stata il fiore all’occhiello di Unicef nel paese: nel 2000 a scuola andava solo un milione di persone, mentre oggi, a distanza di vent’anni, frequentano la scuola 9 milioni di persone, di cui la metà sono bambine. A causa dell’instabilità che si è creata in questi mesi, purtroppo non si recano a scuola quattro milioni di bambini. È necessario rendersi conto che il tema dell’istruzione è prioritario e pertanto non deve essere perso di vista.

Quella dell’Afghanistan è un’emergenza che scopriamo oggi, è la terza più grave del pianeta. In questa prima metà del 2021, 550 bambini sono stati uccisi e 1500 feriti. Vi sono inoltre evidenze di 2000 violazioni di diritti umani, bambini vittime di arruolamento in qualità di bambini-soldato e bambine vittime di matrimoni precoci. Questa è una piaga che persiste in questo paese a prescindere dal nuovo governo. Una bambina su tre si sposa infatti prima dei diciotto anni e il 20% delle bambine prima dei 15 anni. L’Afghanistan è un paese nel quale le donne hanno fatto comunque passi enormi; noi come Unicef abbiamo contribuito a far diventare le donne insegnanti, infermiere, medici, avvocati, magistrati, ma anche donne impegnate nel sociale insieme a noi ad aiutare il prossimo nelle zone in cui serve; donne che hanno scalato alcune posizioni lavorative nel paese contribuendo a farlo crescere.

È chiaro che la situazione attuale ci preoccupa e siamo in attesa di risposte in materia di diritti umani. Non dimentichiamoci che ci sono aiuti umanitari in attesa a Dubai. Ci chiediamo se questi aiuti arriveranno mai a Kabul, in quanto l’aeroporto non è ancora agibile. Il tema degli aiuti è fondamentale per riuscire a portare ciò che serve alle fasce di popolazioni più deboli, in particolare bambine e bambini.

Ci sono numeri altissimi per quanto riguarda la malnutrizione; se non si interviene immediatamente, un milione di bambini rischia di morire sotto i cinque anni. Voglio ricordare che, nonostante ciò, nel corso del tempo la situazione ha fatto anche dei progressi: nel 2000 morivano 128 bambini ogni 1000 nuovi nati, oggi 60. Non guardiamo a questo paese soltanto come un luogo dove stiamo lasciando delle persone in balia di una situazione i cui sviluppi non si sanno; questo non lo dobbiamo ovviamente dimenticare e dobbiamo far sì che le potenze mondiali non spengano i riflettori su quello che accade e accadrà. Dobbiamo però anche ricordare che molte cose sono state fatte nel paese; basti pensare che il numero dei bambini salvati dai nostri volontari si aggira attorno ai 300 mila. C’è molto da fare”.

Quali sono le necessità più urgenti delle bambine e dei bambini in Afghanistan per le quali è necessaria una risposta immediata?

“Le bambine e i bambini dell’Afghanistan non possono aspettare: ci sono dieci milioni di loro che hanno urgente bisogno di aiuto. In questo momento 370 mila sono sfollati e mancano medicine, latte e cibo. Le condizioni igienico – sanitarie sono carenti. Stiamo intervenendo con le nostre squadre per portare acqua pulita, migliorare i sistemi idrici, portare l’elettricità e dare assistenza agli sfollati. Questo però non basta. Voglio ricordare che a Kabul, anche dopo la chiusura dell’aeroporto, molti bambini si sono ritrovati soli, senza il papà e la mamma. Ci sono moltissimi minori non accompagnati che devono essere assolutamente protetti e in questo momento il nostro personale sta facendo un lavoro meticoloso di ricongiungimento con i genitori, laddove è possibile; in molti hanno perso i genitori nella calca o perché uccisi.

Dobbiamo comprendere che, oltre ad una grave instabilità politica, c’è un’emergenza che riguarda gli sfollati, una legata alla siccità e una correlata al rialzo dei prezzi. Il concatenarsi di tutti questi eventi provoca instabilità nel paese ed il prezzo più alto è pagato da bambine e bambini: almeno dieci milioni di essi vivono in una situazione estremamente complessa”.

Quali sono i pericoli maggiori che in questo momento stanno correndo le donne e i bambini?

“Innanzitutto, ci sono i problemi umanitari legati alla mancanza di cibo e acqua e di servizi igienico sanitari. C’è stato anche il ritorno di malattie molto potenti e, inoltre, l’avvento del Covid – 19 ha colpito molto duramente in Afghanistan, per cui è necessario aumentare il numero delle vaccinazioni. Dal punto di vista umanitario, donne e bambini sono esposti a una situazione di precarietà. Sotto il profilo del rispetto dei diritti umani, è necessario monitorare attentamente la situazione perché, in alcune zone del paese, molti bambini sono tornati a scuola, sono stati fatti rientrare gli insegnanti e riaperte le università, ma in altre zone no. I rischi che si corrono sono quindi quelli della mancata scolarizzazione e del mancato rispetto dei diritti umani e noi dobbiamo vigilare affinché tutto questo non accada”.

Quali sono le azioni che connotano maggiormente la presenza di Unicef in Afghanistan?

“Unicef è presente in 13 province afgane, con oltre 330 persone che hanno deciso di rimanere nel paese. Siamo i primi ad essere arrivati in determinate zone in questi giorni di instabilità. Eravamo presenti all’aeroporto di Kabul per cercare di proteggere i bambini e ricongiungerli ai genitori. Nel sud del paese i nostri gruppi mobili, con le loro attrezzature, portano acqua, cibo e medicine laddove nessuno riesce ad arrivare. Cerchiamo di aprire canali di dialogo interni ed esterni per parlare con le nuove autorità, grazie anche al supporto di Ong partner legate al territorio, con le quali speriamo di poter ricominciare presto a lavorare per l’Afghanistan”.