Giuseppe Brindisi: “La famiglia la mia zona felice”

Giornalista dalla carriera trentennale e genitore geloso, il conduttore di “Zona Bianca”, il talk show rivelazione di Rete 4, si racconta senza filtri tra pubblico e privato

Tra tutti i talk show che trattano politica e attualità, Zona Bianca, in onda nella prima serata del mercoledì su Rete 4, rappresenta la novità di stagione. Nato “incorsa” ad aprile, con la stagione televisiva che si apprestava a chiudere i battenti, è diventato un appuntamento fisso anche durante l’estate, quando i programmi di informazione vanno in vacanza. Buona parte del successo del programma è merito del conduttore, Giuseppe Brindisi, che fa del garbo la sua cifra distintiva. «Abbiamo iniziato con tanti limiti, perché la stagione stava volgendo al termine e inserirsi in un quadro consolidato non è stato facile. In estate, però, il pubblico si è affezionato e questo ci è servito per l’autunno. A settembre non eravamo più gli sconosciuti del palinsesto, soprattutto andando in onda di mercoledì, che è uno dei giorni più difficili in termini di concorrenza. Ora stiamo andando bene, e possiamo soltanto crescere».

Per quali aspetti Zona Bianca si differenzia dagli altri talk della rete?

«Stiamo affrontando tutti un tema comune, quello del Covid e delle relative conseguenze. Noi abbiamo preso una strada dritta: quella di approvare nettamente ed esplicitamente il vaccino e il Green Pass. Questo ci mette in posizione diversa rispetto a coloro che sono molti critici nei confronti del Green Pass. Il giorno dopo la trasmissione sui social arrivano tanti insulti dai No Vax, da chi non crede nella scienza, dai No Green Pass. Noi siamo schierati, ma cerchiamo di dare spazio a tutti e questo porta a discussioni abbastanza vivaci: l’apertura al dialogo è comunque una costante di ogni puntata».

Quando i toni si scaldano, riesce a gestire il dibattito con calma.

«Per indole sono una persona molto pacata ed è difficile farmi arrabbiare. Quelli che mi denigrano dicono che interrompo, ma quando lo faccio è perché sono costretto. L’effetto pollaio non mi ‘piace, perché il pubblico, se parlano in quattro, non capisce le posizioni di nessuno. Non mi interessa prevaricare o impormi. Sul tema all’ordine del giorno, quello della polarizzazione tra chi è a favore e chi contro i vaccini, credo che stiamo enfatizzando troppo la visione di una minoranza, rispettabile per carità. Nel momento in cui l’80% della popolazione è vaccinata, siamo un passo avanti. Tutte le manifestazioni di protesta contro il Green Pass vengono poi strumentalizzate dagli estremisti, che non si rendono conto che se non ci fossero stati i vaccini saremmo ancora in lockdown».

Dal Tg alla prima serata: che cambiamento è stato, professionalmente e anche dal punto di vista personale?

«Continuo a condurre il Tg4 alternandomi a Stefania Cavallaro, ma quando mi hanno chiesto di condurre Zona Bianca ho accettato consapevole che avrei avuto una responsabilità maggiore, soprattutto in questo periodo storico. Rispetto al Tg, che conduco da trent’anni, ci sono delle differenze. Ma nello specifico gli ultimi due anni al Tg4 mi hanno permesso di fare un’ottima palestra: ogni sera, infatti, abbiamo un ospite a commentare le notizie e anche in quello spazio proponiamo al pubblico una formula “talk”. Da un punto di vista più personale sicuramente sono più riconoscibile e riconosciuto, benché presente in video da tanto tempo. Prima magari mi riconoscevano e non sapevano come mi chiamo, adesso sanno anche chi sono. E capita che mi fermino per strada per dirmi di essere d’accordo con la mia battaglia a favore dei vaccini. Finora nessuno mi ha contestato, se non sui social dove tutti hanno il coraggio di criticare spesso senza metterci la faccia».

Come si organizza tra Roma e Milano?

«Vivendo a Roma e lavorando a Milano, dove ho passato il primo lockdown completamente da solo per nove settimane senza tornare a casa, sono costretto a fare il pendolare. Al di là di quel momento molto duro, perché la lontananza dalla famiglia è stata davvero pesante, da quasi due anni viaggio ogni settimana, spesso rimanendo a Milano per tutta la settimana in cui conduco il Tg. È un compromesso che devo fare. Sicuramente mia moglie Annamaria e mia figlia, Benedetta, ci soffrono, ma il lavoro è lavoro e questo è il prezzo da pagare. Non ho pensato di trasferirmi con la famiglia, anche se a Milano ho vissuto prima di trasferirmi a Roma, nel 2009. Lì mi sono sposato la prima volta, ci vivevo benissimo, avevo e continuo ad avere tanti amici, ma ho sentito da subito che Roma sarebbe stata la mia città definitiva, quella in cui avrei voluto vivere».

Sua figlia la guarda in Tv? 

«Benedetta compirà quindici anni a dicembre e balla a livello professionistico. Non è molto interessata al mio mondo. Né a quello di mia moglie, anche lei giornalista. Questo mi consola, perché il nostro è un lavoro che sta cambiando rispetto a quando ho cominciato io. Chi inizia adesso guadagna meno di quando guadagnassi io all’inizio e in più comporta non pochi sacrifici. Le gratificazioni sono poche rispetto alle aspettative. Al di là del suo futuro, nel suo presente in Tv mi vede poco e questo mi dispiace, ma non perché deve vedere me, ma perché vorrei che fosse più interessata a quello che accade nel mondo. Vivendo l’adolescenza, preferisce i social alla Tv. Se poi capita che mi fermino per strada mi rendo conto che è orgogliosa, ma sempre con discrezione».

L’adolescenza è il periodo più complicato: come lo sta affrontando da genitore? 

«Una figlia che cresce e che diventa donna per quanto mi riguarda comporta tutta una serie di gelosie alle quali nemmeno vorrei pensare. Rispetto al passato, ora passa ore in bagno a sistemarsi. E io che vorrei mandarla in convento e buttare la chiave della cella, comincio a soffrire. Benedetta è una ragazza molto carina e per me, da papà, è un problema sapere che vede un ragazzino, se lo vede. Ecco: spero di no. A parte gli scherzi, che poi non sono tanto scherzi: mi preoccupo per le sue frequentazioni. La difficoltà di stare spesso lontano mi pesa, vivo un po’ il senso di colpa venendo da una famiglia meridionale molto grande e altrettanto unita, ma cerco di essere presente vigilando anche a distanza: la vita in una grande città non è facile. Mia figlia non mi dà problemi, ma sono dell’idea che è meglio prevenire. Per me è importante controllare le sue amicizie».

Lei invece ha amicizie nel suo ambiente professionale?  

«A Roma mi dedico alla famiglia. A Milano sto in residence, così quando mi capita di uscire, vedo i miei colleghi. Gli amici sono pochi, nel mio ambiente come nella vita. Uno dei pochi, che conosco dal 1997, è Giovanni Toti. Ultimamente lo vedo meno, perché vive a Genova, ma quando è a Milano ci vediamo sempre, anche con sua moglie Siria Magri, che è il mio capo. Ogni tanto mi capita di vedere anche Paolo Liguori. Staccare del tutto dal lavoro è difficile, ma grazie al mio carattere ci riesco anche se mi trovo con i colleghi. Che mi dicono essere un fancazzista. Un po’ è vero: ma non perché non mi impegni. Lo dicono e mi associo perché il mio lavoro mi piace e dunque non sento la fatica».

Pubblicato sul settimanale Visto del 4 novembre 2021