Il foodtruck del Progetto Arca: non solo cibo, ma incontro concreto

Intervista di Interris.it a Cristina Regazzo, direttrice dei servizi della Fondazione Progetto Arca Onlus

Oltre 700 cene itineranti, con uno speciale menù di festa, e 500 pacchetti regalo donati a donne e uomini senza fissa dimora. Power bank, poncho impermeabili e sacchi a pelo, un aiuto contro le gelide temperature invernali. E’ questo il Natale che ha messo in campo il Progetto Arca a Milano, Varese, Torino, Roma e Napoli. Cene e doni saranno grazie ai volontari che saranno nelle strade italiane ogni notte e grazie alla cucina mobile, porteranno un pasto caldo che scalderà non solo il corpo, ma anche il cuore di chi, purtroppo, vive in strada.

La Fondazione Progetto arca Onlus

Fondazione Progetto Arca onlus nasce a Milano 27 anni fa per portare un aiuto concreto a persone che si trovano in stato di grave povertà ed emarginazione sociale. Al centro del suo intervento, ci sono persone senza dimora, famiglie indigenti, persone con problemi di dipendenza, rifugiati e richiedenti asilo. Ogni giorno Progetto Arca offre ascolto e assistenza in strada, pasti caldi, la possibilità di dormire al riparo, cure mediche e accoglienza in case vere a migliaia di persone povere. Con i suoi operatori e volontari, accompagna ogni persona in difficoltà in un percorso di recupero personale e di reinserimento sociale, abitativo e lavorativo. Nell’ultimo anno Progetto Arca ha servito più di 1 milione e 500 mila pasti, offerto 344.000 notti di accoglienza e 2.400 visite mediche. Oltre 13.000 persone hanno ricevuto aiuto.

Il diritto al cibo

Uno degli obiettivi della Fondazione, è quello di favorire l’inclusione sociale partendo dal diritto al cibo. Oltre alla preparazione di pasti quotidiani, la onlus contribuisce alle necessità alimentari di persone e famiglie in grave difficoltà economica. Ogni mese raggiungono le case di circa 2.500 famiglie con alimenti di prima necessità e prodotti indispensabili per i bambini.

La cucina mobile

Quello della mancanza di cibo è un problema che è tornato prepotentemente a farla da padrone sulle strade a causa della pandemia, quando molte mense per i poveri hanno chiuso i battenti per rispettare le disposizioni anti-Covid decise dal governo. Ma a causa di queste condizioni imprevedibili, dove avrebbero potuto trovare un pasto caldo, o anche solamente qualcosa per sfamarsi, quanti una casa non ce l’hanno? E’ qui che scende letteralmente in strada la cucina mobile del Progetto Arca: allestita su un foodtruck attrezzato con fornelli, forno e bollitore, serve 120 pasti caldi preparati al momento ogni sera per 5 giorni a settimana.

L’intervista

Per approfondire l’argomento, scoprire come è nata l’idea del foodtruck e non solo, Interris.it ha intervistato Cristina Regazzo, direttrice dei servizi della Fondazione Progetto Arca.

Dottoressa, come è nata l’idea della cucina mobile?

“L’iniziativa nasce durante la pandemia. Quando è scattato il lockdown, moltissime persone che vivono in strada sono rimaste sconcertate. I servizi tipicamente usati dalle persone più fragili sono scomparsi. Alcuni sono rimasti per qualche giorno senza avere cibo. Ci siamo resi conto della situazione veramente critica e abbiamo deciso di attrezzare questo foodtruck. Cinque giorni la settimana distribuiamo circa 140 cene calde, poi abbiamo pensato di aggiungere anche il cibo per la colazione e per il pranzo del giorno dopo. E’ stata un’iniziativa molto apprezzata dai nostri ospiti e valorizzata dai nostri donatori, quindi abbiamo allargato anche ad altre città oltre Milano”.

Come è organizzato il servizio?

“Vengono cucinati pasti caldi, confezionati in monoporzioni e, nel rispetto delle norme igieniche, vengono consegnati alle persone. Cerchiamo di cucinare cibi che possano essere adatti a tutti, nel rispetto delle diverse culture che incontriamo in strada. Ci sono anche le posate confezionate, la bottiglietta di acqua e, in alcuni casi, distribuiamo anche gel igienizzante e mascherine”.

Donare un pasto caldo, scalda non solo il corpo ma anche il cuore…

“L’obiettivo per noi, è quello di far sentire l’altro molto vicino. Non si tratta di dare solo cibo, ma di incontrare veramente l’altro e offrire anche la possibilità di essere presi in carico. Il compito dei nostri volontari è quello di instaurare un legame di fiducia con le persone che incontrano e far sì che possano usufruire dei servizi di accoglienza e, poi, iniziare un nuovo percorso. Il nostro motto è ‘Il primo aiuto sempre’, ma la volontà è far sì che le persone possano avere un lavoro, una casa. In molti rifiutano l’ingresso nei centri di accoglienza, quindi riuscire a portare in strada la cena con un buon pasto caldo è davvero un segno di attenzione. Distribuiamo, come tante altre organizzazioni, molto materiale come biancheria e a volte anche il cambio dei vestiti, il sacco a pelo, coperte”.

Perché rifiutano di entrare in un centro di accoglienza? Paura? Diffidenza?

“I motivi sono i più diversi. Alcuni hanno già sperimentato l’accoglienza e hanno l’idea di sentirsi poco liberi; altri utilizzano sostanze, alcol o sono dipendenti dal gioco, quindi entrare in un contesto che ti richiede delle regole e di mettere in discussione le tue fragilità: non si sentono pronti. In altri casi, hanno l’idea di essere più liberi vivendo in strada. Altri poveri, hanno magari un lavoro e riescono ad avere o costruire delle reti – formali o informali – che, per assurdo, li spinge a sentirsi unici, perché non è da tutti riuscire a vivere in strada”.

Cosa vi dicono quando li incontrate durante le uscite in strada con la cucina mobile?

“Vorrei sottolineare un aspetto, per certi versi commovente: rispettano rigorosamente la fila, non ci sono mai situazioni di conflitto. Ormai ci conoscono e chiedono cosa c’è di buono da mangiare, fanno due chiacchiere, altri in maniera più timida, prendono ciò che viene donato e ringraziano. In molti, chiedono se ci sono altre possibilità e come possono fare per entrare in una struttura”.

Soprattutto durante il periodo del lockdown, sono sbocciate in maniera prepotente molte forme di solidarietà. E’ un bel segno per il nostro Paese…

“Milano è una città molto solidale, ma la stessa esperienza la stiamo vivendo a Torino, Napoli, in tutte le città dove ci muoviamo. Questo significa che le persone che hanno desiderio di mettersi a disposizione dell’altro sono veramente tante. Noi abbiamo anche moltissimi giovani e questo ci fa riflettere sulla loro sensibilità. Quando si dona, si riceve sempre in cambio. Incontrare le fragilità dell’altro ci aiuta a dare più senso alle nostre fragilità e così riusciamo a comprendere che non sono una debolezza, ma una forza. Non si tratta di qualcosa che manca, ma qualcosa che abbiamo in più. Incontrare l’altro ci consente di incontrare noi stessi, questo è un valore aggiunto”.