Famiglia nel cinema, testimonianza sociale di condivisione. Intervista a Interris.it di monsignor Viganò

Il ruolo sociale della famiglia nell'analisi di film-simbolo. Parla a Interris.it monsignor Dario Edoardo Viganò, Vice Cancelliere della Pontificia Accademia delle Scienze e della Pontificia Accademia delle Scienze Sociali

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Mai quanto in pandemia la famiglia si è confermata l’architrave sociale che regge l’umanità. Fino al 31 marzo in Vaticano un ciclo di incontri su come la famiglia viene raccontata da cinema, letteratura, tv viene organizzato dal Pontificio Istituto Teologico Giovanni Paolo II. Interris.it ha intervistato uno dei protagonisti della rassegna, monsignor Dario Edoardo Viganò.

Cinema e Famiglia

Raccontare la famiglia attraverso il cinema è anche testimonianza di condivisione. La Chiesa in cammino nella storia.  E’ la strada indicata da Papa Francesco: “Mentre siamo sulla strada verso Gerusalemme, il Signore cammina davanti a noi per ricordarci ancora una volta che l’unica autorità credibile è quella che nasce dal mettersi ai piedi degli altri per servire Cristo”. Monsignor Dario Edoardo Viganò è Vice Cancelliere della Pontificia Accademia delle Scienze e della Pontificia Accademia delle Scienze Sociali, con specifica competenza per il settore della comunicazione. Già prefetto e assessore della Segreteria per la comunicazione della Santa Sede, docente in prestigiose università laiche e religiose, autore di numerosi libri. Come il saggio “Testimoni e influencer” (Edb) nel quale ripercorre la storia del rapporto tra Chiesa e autorità dalle origini al tempo dei social.

Valori in pellicola

Attraverso alcuni film-simbolo, monsignor Viganò analizza per Interris.it l’evoluzione della rappresentazione della famiglia nel cinema. A partire dal neoralismo. “Sfondo storico-sociale, famiglie piegate dalla povertà in cerca di riscatto. Ladri di biciclette (1948) è un film di riferimento- osserva monsignor Viganò-. C’è il ritratto di un genitore sopraffatto da una difficoltà più grande di lui, da uno sconforto e una povertà incontenibile. Lo struggente amore del figlio lo salverà dallo smarrimento, dal deragliamento”.

Animo onesto

Aggiunge monsignor Viganò: “Il film racconta la straziante storia di un padre, Antonio (Lamberto Maggiorani), un disoccupato che tenta strenuamente di trovare un lavoro per mantenere la propria famiglia. La disperazione lo conduce al furto di una bicicletta, mezzo indispensabile per raccogliere l’offerta di un lavoro. Un furto gravido di smarrimento, quello deflagrato nel suo animo di uomo onesto e solido. Nato sull’onda della fame e della paura di non farcela. Un gesto disperato e disperante, che l’uomo compie sotto gli occhi innocenti del figlio Bruno (Enzo Staiola)”.

Snodo dell’Italia

“Roma città aperta (1945) di Roberto Rossellini ci fotografa l’ultimo snodo dell’Italia in guerra- evidenzia monsignor Viganò-. L’immagine di Pina/Anna Magnani nel film è quella di una madre che non si arrende alle ingiustizie, al male. Ma si sacrifica lasciando in eredità al figlio un grido di libertà e resilienza. Un domani magari migliore. Puoi richiamare anche lo stile di racconto: la famiglia è il tema al centro di molte narrazioni (si pensi ad esempio anche a ‘La terra trema del 1948). Ma quello che cambia è il modo di raccontare e di filmare. Non gabbie narrative rigide, ma un cinema del reale. Privilegiando il pedinamento, la possibilità di cogliere la vita fuori, nonostante le macerie. Una linea di racconto in netta contrapposizione con l’’habitusdi finzione del cinema dei telefoni bianchi”.

La famiglia di scena a Hollywood

Spiega a Interris.it monsignor Viganò: “Anche a Hollywood è di scena la famiglia, tra affanni e voglia di riscatto, di prossimità- sostiene monsignor Viganò-. Quando si parla di cinema classico non si può non fare riferimento a ‘La vita è meravigliosa. Prendendo le mosse dal racconto di ‘The Greatest Gift’ (1939) di Philip Van Doren Stern, il film ci mostra la fragilità di un uomo quando il lavoro deraglia. E subentrano i pensieri negativi sul futuro. Su come mantenere la propria famiglia. Sentendosi assalito dai problemi, il protagonista George Bailey (James Stewart) arriva persino a pensare di togliersi la vita. Ma l’avvento provvidenziale di uno sconosciuto, l’angelo Clarence (Henry Travers), gli farà riaffiorare il senso della vita. E l’importanza della propria famiglia, vero ancoraggio nella tempesta. Una bella pagina di cinema, resa con realismo e poesia, che schiude l’orizzonte alla speranza nonostante le difficoltà della vita. Soprattutto in anni di faticosa ripresa dopo i traumi della Seconda guerra mondiale“.

Realismo e poesia

“Altro film di riferimento è ‘Il ferroviere (1956)- evidenzia monsignor Viganò-. La parabola drammatica di un ferroviere, Andrea (Pietro Germi), assalito dallo sconforto dinanzi a una famiglia lacerata. Vedendo i figli scontrarsi con problemi, l’uomo, un onesto e semplice lavoratore, precipita nella vertigine della solitudine. La notte di Natale, però, la famiglia si stringe attorno a lui, tramettendogli calore e solidità. Tratto dal racconto ‘Il treno’ di Alfredo Giannetti, il film si colloca sulla scia del filone neorealista. Ma arricchito da una componente sentimentale che sfocia nel mélo”. La componente sentimentale invade il racconto neorealista. Allargando lo sguardo anche alle sfumature della possibilità, di una ritrovata speranza e spensieratezza. E’ il caso anche di ‘Poveri ma belli’ (1957) di Dino Risi e di Federico Fellini con Lo sceicco bianco (1952) e I vitelloni (1953)”.