Emergenza Ucraina. Al Sermig di Torino, volontaria tra i volontari

L'intervista di Interris.it al fondatore del Sermig, Ernesto Oliviero, e ai volontari che popolano questa realtà: le storie e lo spirito che animano queste nobili iniziative

Sono stata al Sermig, ovvero il “Servizio Missionario Giovani”, che a Torino (e non solo) è piuttosto conosciuto per i progetti di accoglienza e solidarietà che è sempre pronto a mettere in campo. Proprio per questo avevo pensato di intervistare il suo fondatore, Ernesto Olivero, per chiedergli come andasse la situazione in Ucraina dal punto di vista dell’emergenza umanitaria. Ma, come spesso accade, la mia esperienza al Sermig è andata oltre i miei progetti e le mie aspettative: mi sono ritrovata coinvolta in un mondo completamente nuovo, tanto da avere il desiderio di conoscerlo più a fondo, di capire l’altra faccia della solidarietà, ossia i volontari. Tutte quelle persone, soprattutto giovani, che decidono di dedicare il loro tempo a fare del bene, facendo parte del Servizio Missionario da anni.

L’intervista ad Ernesto Oliviero

Come si sta preparando il Sermig per affrontare questa emergenza?

“Fino ad oggi il Sermig ha già accolto 130mila persone. C’è una grande esperienza, amici che sono già qui e altre che arriveranno. Faremo ancora di più. Solo a Torino accogliamo 300 persone.”

Si è attivata la solidarietà per l’Ucraina?

“Se guardo attraverso l’arsenale della pace del Sermig la risposta è eccezionale. Cinquantamila persone sono venute a portarci soldi e aiuti ma non è ovunque così. Ma da quello che vedo io personalmente è stupefacente vedere la Torino buona come si attiva immediatamente. Abbiamo già spedito un tir enorme di 30/40mila tonnellate di cibo e materiale medico”.

La guerra in Ucraina sta smuovendo le coscienze?

“Questa guerra è veramente infame come lo sono tutte le guerre, ma questa ha una violenza che è entrata nel cuore di tantissime persone. Sono state intervistate alcune donne e alcune bambine che hanno toccato la sensibilità anche delle persone più dure per cui si è instaurato immediatamente una possibilità enorme”.

Qual è il modo migliore per aiutare in una situazione come questa?

“Il modo migliore è di rispettare immensamente queste persone. Non trattarle come pacchi da spostare. Bisogna avere un cuore e una ragione che aiuta queste persone che sono molto tristi, molto arrabbiate quindi hanno bisogno di trovare persone equilibrate che le aiutino in modo sereno”.

C’è una storia che l’ha colpita più di altre?

“Se ti raccontassi le storie, morirei di dolore. Quindi le rispettiamo nel silenzio. Sono storie che, come si dice, chiedono vendetta agli occhi di Dio. Ma noi vogliamo entrare nel perdono, nel non ricambiare il male con il male, altrimenti entriamo nel meccanismo di ampliare il male”.

Lei ha trasformato un arsenale in un luogo di pace. Come si fa a trasformare un luogo di guerra in un luogo di pace?

“Bisogna innanzitutto desiderarlo veramente. Quando siamo entrati qui, il 2 agosto del 1983, ci hanno consegnato questo luogo con un patto, ossia che lo mettessimo a posto noi: 50mila metri quadrati totalmente distrutti. Un impresario avrebbe voluto 400 miliardi di lire, una cifra sproporzionata! Noi non avevamo una lira, ma avevamo un sogno e tanta buona volontà. La gente è rimasta incantata dal vedere questo gruppo di giovani che si erano messi al lavoro, giovani che facevano altri lavori nella vita e che si erano messi a ristrutturare questo luogo. C’erano impiegati, maestri d’asilo, io stesso lavoravo in banca all’epoca. Poco alla volta le persone si sono commosse e lasciate coinvolgere e poco alla volta sono arrivati tanti soldi, ingegneri, architetti, operai specializzati… una vera e propria chiamata di popolo! Era tutto distrutto, ci abbiamo creduto e abbiamo realizzato tutto questo”.

Le interviste ai volontari del Sermig

Queste le parole di Ernesto Olivero per commentare e spiegare la grave situazione in Ucraina e quello che il Sermig fa per poter offrire il proprio aiuto, ma soprattutto ha descritto lo spirito con cui tutte queste opere vengono fatte. Dopo aver finito l’intervista mi ha subito mostrato quel di cui mi aveva parlato, portandomi a fare un giro per il Sermig e presentandomi i volontari. Così ho colto l’occasione per fare loro qualche domanda.

Innanzitutto come ti chiami e raccontaci il suo rapporto con il Sermig.

“Mi chiamo Annachiara, vengo da Padova e ho 23 anni, frequento il Sermig da quando ne avevo 16, io vivo qui perché sto entrando nella fraternità e nel frattempo studio Scienze del governo. Oltre a studiare lavoro in ufficio, gestisco le mail, le telefonate (soprattutto con l’emergenza di questi ultimi giorni) e sto tanto con i giovani, quindi se viene un gruppo di ragazzi in giornata li accolgo e sto con loro. Un’altra cosa che faccio sono i colloqui, per capire magari la situazione di una famiglia e come aiutarli”.

A proposito di emergenza in Ucraina: hai avuto modo di conoscere persone e sentire la loro storia? Come la vivi questa situazione?

“Personalmente persone che vengono direttamente dall’Ucraina non ne ho conosciute, so che nella nostra comunità abbiamo accolto due donne che però sono già ripartire perché erano solamente di passaggio. Io posso dirti come vivo quello che sta succedendo qui, a me ha sorpreso tanto la risposta della gente, pensa che è tutto partito da un volantino, non siamo andati alla ricerca di contatti o fare mille chiamate, la gente è arrivata. È già partito un tir e siamo affaticati nel trovare i magazzini da quanta roba stanno portando ed è commovente questo perchè dopo due anni in cui le persone sono state ferme a causa di una crisi come quella della pandemia in cui non si poteva fare niente se non stare a casa, adesso che si può fare qualcosa le persone rispondono in massa. C’è gente di qualsiasi fascia d’età ed estrazione sociale che si mette a disposizione per aiutare coloro che in questo momento si trova in difficoltà”.

Cosa ti ha spinto a fare quello che fai ora, a metterti a disposizione per gli altri?

“A me da subito aveva colpito che tutto questo è frutto di gente comune e quando mi sono resa conto di questo mi sono detta che anche io volevo fare parte di questa realtà e quindi con il tempo si è maturata questa scelta. Ad un certo punto se a uno si risveglia quella coscienza da farti rendere conto di essere in una posizione del mondo privilegiata, allora devi metterti a disposizione, per un senso di giustizia”.

Hai mai avuto dei momenti di sconforto, in cui hai pensato che fosse troppo difficile vivere in questa realtà?

“È difficile e faticoso, però questa vita a me da una gioia piena, che non è una soddisfazione che passa o un entusiasmo che ce l’hai per un po’ e poi svanisce, è una cosa piena. Anche se fai fatica sai che è per il bene di qualcun altro, noi qui al Sermig questo lo sintetizziamo con una frase: La vera felicità è fare felici gli altri, e quando scopri questo allora ti si svolta la prospettiva e quindi anche una cosa difficile, se è per il bene di qualcun altro la vivi bene”.

Raccontami la tua esperienza con il Sermig e di conseguenza il tuo rapporto con questa comunità.

“Io sono Mattia e vivo qui all’arsenale dal 2006, ho iniziato il cammino che mi ha portato a far parte della comunità di consacrati e consacrate, di persone che hanno sentito la vocazione di dare la propria vita a Dio, chi nel matrimonio, come Ernesto Olivero, e chi non sposandosi”.

Come si sta mobilitando il Sermig per aiutare direttamente l’Ucraina?

“Molta gente si è mobilitata e ci ha spinto ad andare dietro a questa tragedia e provando a dare un contributo che sta diventando evidente perchè decine di migliaia di persone ci hanno portato un aiuto, chi facendo donazioni in denaro, chi portandoci del materiale e ci sono arrivate già decide di tonnellate di cibo che stanno partendo per il confine”.

Cosa ti porta alla decisione di volerti spendere così tanto per gli altri.

“Prima di tutto la consapevolezza che spendersi per gli altri fa star bene ed è un bisogno umano di ciascuno, perché è con la relazione con l’altro che uno trova il senso della vita per me. È una apertura all’altro che fa sì che uno trovi una ricompensa e un ritorno che ti nutre dentro e non è un dare per avere, è semplicemente una relazione a doppio senso. È un punto di vista di Fede, io mi sono sentito chiamato a mettere tutta la mia vita a disposizione di questo, è come una storia d’amore in cui uno si innamora”.

Alla fine di questo racconto, mi piace sottolineare e condivider il fatto che la mia intenzione iniziale era quella di fare l’intervista ad Ernesto Olivero e tornare a casa, invece mi sono ritrovata catapultata in una realtà di cui ancora non si parla abbastanza, che mi ha portata a fare volontariato insieme agli altri, nel giro di pochi minuti infatti mi sono ritrovata a chiudere scatoloni insieme a tante persone che si trovavano lì per fare la cosa giusta.