Diga Gerd: la grande sfida sulle acque del Nilo

Il risiko nella valle del Nilo Azzurro: l'Etiopia glissa sull'accordo di ripartizione delle acque e per l'Egitto si profila lo spettro della crisi idrica

Se non sono bastati dieci anni a trovare un’intesa, che bastasse una mediazione per risolvere il contenzioso non ci credeva quasi nessuno. E infatti l’accordo, almeno per ora, non è stato trovato. E la sensazione è che la battaglia per le acque del Nilo andrà avanti ancora per un po’, di sicuro fin quando la grande diga Gerd non entrerà definitivamente in funzione. E anche allora, i sentori di difficoltà sono decisamente di più degli ottimismi. Nel colossale progetto della Grand Ethiopia Renaissance Dam (Gerd) le buone intenzioni ci sarebbero anche: regolare l’afflusso d’acqua all’intera regione attorno al Nilo Azzurro, che comprende Egitto, Etiopia e Sudan, ma soprattutto garantire un equo approvvigionamento idroelettrico a tutti gli attori che dalla diga saranno interessati. Buoni propositi appunto.

Diga Gerd, a monte e valle

La realizzazione del bacino artificiale, che garantirebbe un quantitativo di 6.45 gigawatt, consentirebbe all’Etiopia di garantirsi la gestione della più grande centrale idroelettrica dell’Africa, superiore persino a El Gibe III, sul fiume Omo. Il che, in qualche modo, pone Addis Abeba in una posizione di forza al tavolo dei negoziati, nell’ambito di un contenzioso geopolitico che vede dall’altra parte un Egitto che, con il completamento del progetto senza accordo, rischierebbe di ritrovarsi in una situazione non solo di svantaggio, ma anche di emergenza idrica: “Anche dettagli secondari di questo accordo hanno un impatto ampio e pesante – ha spiegato a Interris.it Lorenzo Marinone, responsabile del Desk Medio Oriente e Nord Africa del Ce.S.I. -. Stiamo parlando di un accordo su una diga, per cui assumono importanza dettagli come il tempo di riempimento del bacino artificiale, la percentuale di acqua che viene fatta scorrere a monte, se questa sia legata all’andamento delle piogge e come calcoliamo quest’ultimo… Se l’Etiopia si impegnasse a far scorrere verso gli altri Paesi una quota fissa di acqua, e arrivasse una siccità importante, l’impegno a garantire il passaggio a valle di tot metri cubi d’acqua resterebbe, pur non avendoli a disposizione. Si dovrebbe in caso svuotare il bacino idrico e, quindi, ridurre l’approvvigionamento elettrico. Si potrebbe in alternativa regolare il flusso all’andamento stagionale delle piogge”.

Geografia idrica

Prospettive legate a una disputa che, oggi come dieci anni fa, stenta a trovare soluzioni. E questo in virtù delle differenti posizioni negoziali sul progetto relativo al Nilo Azzurro, nonostante gli interessi dei Paesi in gioco siano equiparabili. “Il Nilo è da millenni che alimenta quelle zone. L’Etiopia ne ha bisogno perché potrebbe portare all’autosufficienza energetica. D’altra parte, milioni di egiziani potrebbero avere problemi di approvvigionamento idrico. In questo senso conta la geografia, poiché chi sta a monte avrà un vantaggio enorme rispetto ai Paesi che stanno più a valle. L’Etiopia avrebbe la possibilità di chiudere unilateralmente e chi sta a valle non si vede più arrivare l’acqua“. Una contesa che ha radici piuttosto profonde, considerando che “gli sfruttamenti delle acque del Nilo dipendono da trattati coloniali, quando l’Egitto era più potente dell’Etiopia e degli altri Paesi. Ora la situazione politica è notevolmente cambiata e quei Paesi non sono propensi a rinunciare a quei vantaggi”.

Tentativi di mediazione

Il rischio è che l’avvio del riempimento, già annunciato dall’Etiopia proprio per il mese di luglio, recida del tutto i rapporti fra i due Paesi, sancendo una rottura non solo senza accordo sul flusso d’acqua ma anche senza possibilità, per l’Egitto, di far fronte a quella che, a conti fatti, diventerebbe una problematica sociale: “L’ultimo accordo dava all’Egitto 55 miliardi di metri cubi, al Sudan 18. Il Cairo, in particolare, deve far fronte a una situazione demografica che parla di oltre 100 milioni di persone concentrate in zone ridotte del Paese. E’ evidente che l’Egitto continuerà ad aver bisogno di più acqua”. Anche per questo, al fine di scongiurare uno strappo che significherebbe quasi certamente una lesione gravissima nelle relazioni diplomatiche, l’Unione africana ha cercato la via della mediazione: “Prima ancora, c’è stato il tentativo degli Stati Uniti e della Banca mondiale. Addirittura era stata creata l’Iniziativa del Bacino del Nilo. Tutti tentativi che hanno finito per arenarsi, chi prima chi dopo. Alcuni Paesi, come l’Etiopia, hanno vantaggio a far entrare molti più Paesi, mentre l’Egitto mira a parlare con l’Etiopia in formati più ristretti. Visto che bisognerà arrivare a un compromesso, bisognerà trovare un mediatore che abbia il riconoscimento di entrambe le parti”.

Importante, pur se non andato a buon fine, il tentativo di mediazione di Stati Uniti e Banca mondiale, nel quale gli Usa agivano in modo super partes e poco compromesso in dossier collegati. La Banca ha dato invece la parte tecnica dei contributi. La cosa più importante era un accordo sui dati di partenza. Ora si ha una base più solida ma se anche le virgole sono importanti diventa complicato ad arrivare a un accordo”. E al momento la situazione è più che mai complicata: “L’Etiopia ha iniziato a riempire il bacino, l’Egitto ha minacciato addirittura interventi militari. Addis Abeba ha fatto passi concreti, sgonfiando la posizione del Cairo. L’Etiopia torna al tavolo negoziale ma dimostrando di poter riempire e assumere una posizione decisamente di forza”.

La crisi di Gerd

Va da sé che, in tale contesto, ci sia da chiedersi se la ripartizione delle acque verrà davvero garantita o se, più probabilmente, l’entrata in funzione di Gerd vada a scatenare una nuova guerra per l’acqua sul continente africano: “L’Egitto è sotto forte stress idrico e subisce più di altri l’impatto dei cambiamenti climatici, che a loro volta mettono in difficoltà l’agricoltura”. Un settore, quello agricolo, che rappresenta il 15% del Pil e costituisce, specie per la zona dell’Alto Egitto, una percentuale significativa di posti di lavoro (addirittura il 55%): “Nei prossimi 15-20 anni si inizieranno a vedere effetti molto pesanti. Del resto, quest’area del Paese è anche la parte più povera e conservatrice. Meno acqua creerebbe incertezza e aumenterebbe il rischio di malcontento in un’area fortemente influenzata dalla fratellanza musulmana e dalle correnti salafite confluite nel jihadismo. Questo non vuol dire che se l’accordo di Gerd andrà a sfavorire l’Egitto ci si troverà ad affrontare una nuova ondata jihadista, ma si andrebbe a creare un terreno più fertile per certi tipi di rivendicazioni e le autorità statali potrebbero perdere grip. E per un Paese come l’Egitto questo sarebbe un grave problema“.