De Palma (Nursing Up): “I contratti degli infermieri? Fermi a 20 anni fa”

Intervista ad Antonio De Palma, presidente del sindacato Nursing Up, sulla situazione degli infermieri: le difficoltà in pandemia, gli effetti sulla psiche e sul fisico, la questione contrattuale

Eroi, angeli delle corsie, acclamati dai balconi. Questo erano gli infermieri, ma anche i medici, tre mesi fa per gli italiani. Oggi rischiano di finire alla sbarra come imputati in quanto ritenuti responsabili per i danni causati ad alcuni pazienti nell’affrontare la pandemia. E ora – fanno sapere dal sindacato Nursing Up – è in arrivo l’ennesimo smacco. E’ stato infatti bocciato l’emendamento alla Camera con il quale si sarebbe dovuto destinare ad infermieri ed altri sanitari impegnati nella lotta al covid un bonus extra che sarebbe stato erogato direttamente dalle regioni. “Aspettiamo tutti gli infermieri e gli altri operatori sanitari il 4 luglio a Milano per gridare forte che lotteremo fino alle fine per ciò che chiediamo, siamo davvero esausti di questo analfabetismo politico”. Sono le parole di Antonio De Palma, presidente di Nursing Up, Associazione Nazionale Sindacato Professionisti Sanitari della Funzione Infermieristica. Interris.it lo ha intervistato.

Presidente De Palma, da essere considerati eroi a relegati in un angolino della memoria collettiva. Qual è la situazione degli infermieri in Italia?
“E’ sotto gli occhi di tutti quello che è capitato agli infermieri a causa di questa emergenza soprattutto a causa della disorganizzazione delle aziende sanitarie, delle regioni e della mancanza di piani preventivi di aggressione a questo tipo di rischio, da agente biologico. Si sapeva che il Covid-19 era presente in Cina ma purtroppo in Italia è stato fatto come se non dovesse mai arrivare. Nessuno si è attivato, non sono stati fatti idonei piani di prevenzione del rischio, nel caso in cui il virus fosse arrivato in Italia. A prescindere da questo, gli infermieri si sono trovati sul campo di battaglia a lottare con armi spuntate, le aziende sanitarie si sono trovate sguarnite anche dei dispositivi di protezione più elementari per gli operatori sanitari che venivano a contatto con i pazienti infetti”.

Qual è la percentuale di infermieri che hanno contratto il Covid-19?
“Gli infermieri sono stati esposti al contagio molto più che qualsiasi operatore sanitario perché sono loro che prendono in carico il paziente. Questo significa dover vivere nel suo stesso ambiente, spesso nella stessa stanza e nello stesso microclima  molto più che qualsiasi altro professionista. Si tratta di  pazienti molto delicati, devono essere tenuti in condizione di pronazione e gli infermieri devono presiedere a che siano nella posizione giusta e, a volte, devono regolare essi stessi la posizione. Tutto questo ha acuito il rischio degli infermieri. In Italia la percentuale di operatori sanitari infetti è del 10-11%, una percentuale così alta che non è stata raggiunta in nessun’altra parte del mondo, nemmeno in Cina dove mi risulta, in base ai dati dei quali disponiamo ,che la percentuale di operatori contagiati si aggirava intorno al 3%”.

In tempo di pandemia, la figura dell’infermiere che cosa ha rappresentato per i pazienti?
“Sicuramente dimostrato senso del dovere, competenza professionale a livelli di eccellenza, hanno abbracciato i cittadini e li hanno condotti, quando potevano, fuori dal guado di questa patologia. Li hanno sempre accompagnati, qualunque fosse l’epilogo della loro patologia . Questo virus è stato terribile perché le persone che sono decedute erano sole, senza i familiari e molto spesso era solo l’infermiere che li guardava negli occhi, era il depositario del loro ultimo sguardo e delle ultime parole. Tutto questo da un lato sicuramente ha fornito un sostegno insostituibile di fronte alle persone che ci hanno lasciato, dall’altra ha dilaniato emotivamente e psicologicamente i professionisti. Normalmente un infermiere si trova a contatto ogni tanto con una persona che decede, in questo caso ci sono stati colleghi che hanno visto morire anche 30 persone in un giorno. Guardare tante volte, nella stessa giornata, la morte negli occhi è dilaniante”.

I contratti che vengono applicati per gli infermieri sono equi?
“No. In Italia abbiamo gli infermieri più bravi d’Europa, alcuni di loro conseguono i dottorati di ricerca, scalano la china universitaria, ma contrattualmente sono collocati come venti anni fa. Questo grida vendetta, soprattutto se pensiamo che a testa bassa, con la cenere sopra il capo, hanno lavorato per tre mesi senza chiedere nulla. Ora, dopo tre mesi di duro lavoro, dopo che la politica aveva promesso interventi strutturali, gli infermieri si lamentano, sono stanchi e vogliono metterci la faccia. Non possono essere presi in giro ulteriormente, meritano di essere riconosciuti e di ricevere quegli incrementi di stipendio a cui hanno diritto”.

Cos’è che vi fa tanto arrabbiare?
“Il silenzio del governo. Dopo che gli infermieri hanno fatto il loro lavoro e lo hanno fatto con senso civico ed elevata professionalità, pretendono quel riconoscimento che gli spetta. Non è possibile che questo governo, dopo aver sostenuto che gli infermieri sono gli angeli della corsia, che si sarebbe ricordato di loro, di fronte a tutti i flash mob che si stanno facendo, di fronte alle nostre comunicazioni, alle nostre richieste, rimane muto. Secondo noi, questo è gravemente offensivo nei confronti degli infermieri. E’ un grave cortocircuito che non dovrebbe mai accadere in una società democratica”.

Cosa pensa della questione riguardante il bonus previsto nel Decreto Rilancio?
“Il bonus prima c’era, poi no, poi si è provato a scaricare il barile sulle regioni, come se in italia esistessero 20 sistemi sanitari diversi. Alla fine non c’è nessun provvedimento del Governo che individui, specificatamente, premi o aumenti di stipendio per i sanitari interessati. Questo significa lavarsene le mani, i soldi stanziati per il personale con questo decreto, sono quelli che sarebbero dovuti arrivare comunque alle aziende sanitarie, perchè si è reso necessario integrare i fondi di contrattazione aziendale con i quali si remunerano particolari condizioni di lavoro: straordinari, pronta disponibilità e le indennità previste dai contratti. Non c’entrano niente i premi o gli aumenti strutturali degli stipendi dei sanitari. Gli infermieri non lavorano solo durante l’emergenza coronavirus, per questo noi sosteniamo che non siamo qui per chiedere un premio legato a questo periodo, non ci serve. E’ chiaro, nessuno mai rinuncerebbe ad un premio, ma non è quello di cui gli infermieri hanno bisogno. Chiediamo un riconoscimento sullo stipendio che sia fisso e continuativo, qualcosa di compatibile con l’elevata professionalità che questi professionisti esprimono”.

coronavirus

Voi avete lanciato la campagna “#Mai più come prima“, come mai?
“Tutta l’Italia deve conoscere i nostri volti, deve leggere i nostri pensieri, deve vivere i nostri stati d’animo. Il Covid-19 ha lasciato sulla nostra pelle, impresso nella nostra esistenza, il dolore fisico e psicologico di una lotta impari, che però abbiamo affrontato con coraggio e che purtroppo è ancora in corso. In questa drammatica esperienza della pandemia molti infermieri ci hanno rimesso la vita. Molti di loro prima di morire avevano espressamente lamentato il terrore di poter contagiare gli altri. Di fronte al pericolo di morte, chiunque penserebbe alla propria vita, gli infermieri anche in questo hanno dato prova della loro elevata professionalità, mettendo al primo posto l’assistenza  ai cittadini. Cos’altro ci vuole per dare agli infermieri quello che gli spetta?”.