Dalla parte degli ultimi. Al fianco delle persone senza fissa dimora

L'intervista di Interris.it a Enrico, che nel 2017 ha trascorso sette mesi in un dormitorio e da circa un anno, in veste di tirocinante e con un periodo da volontario, è con l'associazione bolognese Avvocato di strada

“Un’esperienza scioccante, ma formativa. Mi ha insegnato a non dare mai nulla per scontato e che la situazione di disagio sociale e povertà, in Italia, è molto accentuata”. Così Enrico descrive a Interris.it l’esperienza, vissuta quattro anni fa, di sette mesi trascorsi in un dormitorio, con altri “compagni di sventura”, come li chiama lui. Sessantadue anni, per anni a lavoro nella ristorazione e come barman, sua vera passione, quando ne aveva 58, dopo aver lasciato il suo impiego, si è trovato senza più nulla. Situazione da cui sta uscendo, grazie alla sua determinazione e all’appoggio di tante realtà del territorio emiliano-romagnolo pronte a fornire supporto e assistenza.

La condizione che Enrico si sta un po’ alla volta lasciando alle spalle – “sto lottando per uscirne del tutto e andare con le mie gambe” – riguarda purtroppo decine di migliaia di persone. Secondo l’indagine Istat sulle persone senza dimora, svolta in collaborazione con fio.PSD, Ministero del Lavoro e delle Politiche e Caritas italiana, sono 50.724 le persone senza fissa dimora stimate in Italia.

Alcuni numeri

La maggior parte di queste persone vive in una condizione di povertà, disagio sociale e mancanza di diritti. Di quelle 50mila persone, al 2015, la maggior parte erano uomini (85,7%), quattro su dieci erano italiani e per la maggior parte abitavano nel Nord Italia (56%). Nel corso dell’indagine è emerso che il 62% ha un reddito mensile proveniente da un’attività lavorativa, anche irregolare o saltuaria, con un guadagno medio oscillante tra i 100 e i 499 euro, così come è anche emerso che “solo il 14% delle persone non è stato in grado di rispondere all’intervista, a causa di problemi legati a disabilità fisiche o mentali, dipendenze da sostanza o da alcol, o per la ridotta conoscenza della lingua italiana”. Un “ritratto”, continua il documento, “che più spesso troviamo nelle immagini di repertorio dei media o che risponde al sentire comune”. Sul tema della mancanza di diritti, a chi è senza dimora ed è privo di residenza anagrafica non è garantita, per esempio l’assistenza medica di base, ma solo le prestazioni di pronto soccorso, né quella sociale – uno dei criteri per la presa a carico da parte dei Servizi sociali è appunto la residenza. La residenza, che secondo il Codice civile è “il luogo in cui la persona ha la dimora abituale” (articolo 43), è requisito anche, tra le altre cose, per potere aprire una partita Iva.

A tutela dei diritti degli ultimi

Chi è da tempo è al fianco di questi ultimi, che possiamo incrociare lungo le nostre strade, è l’organizzazione di volontariato Avvocato di strada. Nato a Bologna a fine Duemila come progetto nell’ambito dell’Associazione Amici di Piazza Grande, con l’obiettivo di tutelare i diritti delle persone senza fissa dimora, dal 2007 è un’associazione che oggi conta 56 sedi locali in tutto il Paese e la cui attività si articola su sportelli legali a cui partecipano, a rotazione, avvocati che forniscono gratuitamente consulenza e assistenza legale ai cittadini privi di dimora, volontari e giovani tra i 18 e i 29 anni che decidono di svolgervi la loro esperienza di Servizio civile. In vent’anni, Avvocato di strada  ha fornito assistenza legale a circa 40mila persone, 1827 solo nel 2020, in piena epidemia Covid che ha obbligato a tenere chiusi a lungo gli sportelli, mentre i bisogni degli “invisibili” si facevano invece più urgenti.

La storia di Enrico

L’attività di Avvocato di strada s’incrocia con la vicenda umana di Enrico, che oggi è tirocinante proprio dell’organizzazione, nella sede di Bologna. Raggiunto da Interris, ha raccontato la sua storia e il percorso che ha intrapreso negli anni recenti per riprendere completamente in mano la sua vita.

Qual è a sua vicenda?

“Stavo abbastanza bene. Negli ultimi 12 anni, fino 2014, ho lavorato nell’azienda Camst, prima come responsabile della ristorazione di un locale alla Fiera di Bologna e poi come barman presso un’importante istituto, un centro di eccellenza. A causa di alcuni problemi gestionali riguardo il mio lavoro, ho deciso di andarmene quando si presentò la possibilità, per i dipendenti con più di cinquant’anni, di lasciare potendo avere diritto al trattamento di fine rapporto e a un anno di stipendio. Ero convinto che, con la mia esperienza, avrei trovato un altro impiego appena lo avessi cercato. Così ho terminato il mio periodo presso Camst nel novembre 2014, ma tra fine 2015 e inizio 2016 è iniziato il tracollo”.

Cos’è successo?

“Mi sono trovato senza nulla, non potevo più pagare l’affitto dell’appartamento. A 58, nel 2017, sono stato sette mesi in un dormitorio. Se uno non si trova in questa condizione non ha idea di cosa si trovi lì dentro, e quest’esperienza la reputato insieme scioccate e formativa. Ha cambiato il mio modo di rapportarmi con la realtà, mi ha insegnato a non dare mai nulla per scontato e che nel nostro Paese la situazione di disagio sociale e povertà è molto accentuata”.

Com’è stato il primo impatto? E dopo?

“Ero terrorizzato. La prima sera non mi sono neanche portato la borsa, ma già alla seconda sera ero integrato e ho cercato di farmi apprezzare dagli operatori e dai miei ‘compagni di sventura’. Non ho corso rischi particolari né ho avuto problemi, solo una volta mi hanno rubato il telefono sfilandolo, sfilandolo da sotto il cuscino. In quei mesi ho seguito un percorso come peer operator, cioè operatore alla pari con gli altri utenti del dormitorio, mantenendo il posto letto e il gettone per la lavatrice. Poi grazie all’associazione Piazza Grande sono stato inserito nel progetto Housing first, avendo così a disposizione una stanza in un appartamento  condiviso ad affitto calmierato per persone con problemi di disagio sociale”.

Come hai conosciuto l’associazione Avvocato di strada?

“L’ho conosciuta nel 2016, al tempo dello sfratto esecutivo. Venni a farmi patrocinare, ma lo sfratto non si poteva fermare così poi i persi i contatti. Tempo dopo, il Servizio sociale Bassa soglia mi chiese se fossi interessato a fare tirocinio presso di loro: in quel periodo facevo il barista in un circolo, ma con il lockdown è stato chiuso tutto e così ho accettato. Ho cominciato come tirocinante il 30 novembre del 2020, fino al 14 aprile scorso, poi per quattro mesi tra aprile e agosto sono stato volontario e ora sono di nuovo tirocinante, grazie alla legge regionale 14 dell’Emilia Romagna”.

Come si sente oggi? Come immagina il suo futuro?

“Adesso molto sereno molto più tranquillo. Qui mi sono trovato a mio agio dal primo giorno e nel frattempo sono riuscito a ricostruirmi una vita privata, con una donna che però abita molto lontano. Non sono però ancore uscito del tutto da questa condizione, sto lottando farcele e andare con le mie gambe: spero di farcela entro la fine del 2022. Ho 62 anni non posso continuare a fare tirocini, la mia ricomincerà al 100% appena avrò una stabilità professionale. Fare il barman è la mia passione, un lavoro  che adoro, però vedendo come funziona oggi il mercato sono aperto”.