Cop15 sulla biodiversità, Ciccarese (Ispra): “Un accordo per aiutare i Paesi in via di sviluppo”

Sabato 3 dicembre si aprono a Montréal i lavori per sull’accordo che sarà discusso alla Conferenza sulla biodiversità al via il 7 dicembre. L’intervista di Interris.it a Lorenzo Ciccarese, responsabile dell’Area conservazione della biodiversità terrestre dell’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale

Dopo il clima, è la volta della natura. La biodiversità sul nostro pianeta è a rischio e l’impegno è duplice, va infatti conservata con l’ampliamento delle aree protette – marine e terrestri – e insieme integrata nei processi produttivi delle attività economiche, come l’agricoltura. Da domani, sabato 3 dicembre, a Montréal, in Canada, si ritroveranno gli esperti per preparare la bozza dell’accordo del Quadro globale per la biodiversità post-2020 che dovrà essere adottato dai Paesi che prenderanno parte, dal 7 al 19 dicembre, alla quindicesima Convenzione sulla diversità biologica delle Nazioni unite, l’equivalente della Conferenza delle parti (Cop) sul clima, il cui ultimo appuntamento si è tenuto poche settimane fa in Egitto, senza registrare accelerazioni sulla fuoriuscita dall’uso di fonti combustibili fossili ma con l’adozione di fondo per risarcire il prezzo della crisi climatica che pagano, in termini di perdite e danni, quei Paesi che sono meno responsabili del riscaldamento globale.

Nature positive

Un mondo nature positive, l’armonia con la natura, è l’obiettivo a cui mira l’incontro internazionale che si terrà per 12 giorni in Canada, sotto l’egida del presidente di questa conferenza Huang Runqiu, ministro dell’Ecologia e dell’ambiente cinese. Il testo su cui si terranno i negoziati conterrà i quattro obiettivi da raggiungere entro il 2050, incentrati sulla conservazione della biodiversità, sull’uso sostenibile delle risorse, sulla condivisione equa dei benefici derivanti dalla natura e sulle capacità tecniche e finanziarie, e gli otto traguardi per il 2030.

A rischio

Secondo l’Unione internazionale per la conservazione della natura (Iucn), organizzazione non governativa nata oltre sei decenni e che conta oltre mille membri tra Stati, agenzie governative, agenzie non governative e organizzazioni internazionali e una rete di 10mila ricercatori affiliati come volontari, oggi le specie minacciate nel mondo sono 40.084. A queste si devono aggiungere le altre 142.577 valutate nella Lista rossa delle specie minacciate, un  inventario del rischio di estinzione a livello globale delle specie animali, fungine e vegetali, che comprende nove categorie: estinto, estinto in natura, criticamente minacciato, minacciato, vulnerabile, quasi minacciato, minimamente preoccupante, dati insufficienti e non valutato. Le specie vulnerabili, minacciate e criticamente minacciate sono considerate a rischio di estinzione.

L’intervista

Per capire cosa che accadrà alla Cop sulla biodiversità, Interris.it ha intervistato l’esperto di diversità biologica Lorenzo Ciccarese, responsabile dell’Area conservazione della biodiversità terrestre dell’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (Ispra) e rappresentante nazionale Intergovernmental Science-Policy Plaftorm on Biodiversity and Ecosystem Services (Ipbes).

Partiamo dalla recentemente conclusasi Cop27 in Egitto. Qual è la sua valutazione?

“I risultati sono stati al di sotto delle aspettative, una cosa positiva è il fondo loss & damage che può rappresentare un modello da applicare anche alla questione della perdita della biodiversità e ai suoi effetti. Ma si è perso quello spirito multilaterale che c’era prima della pandemia e della guerra”.

Cop15 è alle porte, quali sono le priorità?

“L’obiettivo principale è recuperare il multilateralismo e convincere i Paesi della necessità di trovare un accordo che tenga conto delle esigenze di quelli in via di sviluppo che non hanno le capacità, da soli, per raggiungere quegli obiettivi. La questione di fondo è trovare 500 miliardi di dollari all’anno per la natura, adesso siamo a circa 150-200, per esempio prendendoli da quei finanziamenti dannosi per l’ambiente. Bisogna ripartire dalle azioni di successo e sostenerle, per esempio la Norvegia ha finanziato per un decennio progetti per evitare la deforestazione nei Paesi tropicali, poi il flusso delle donazioni si è interrotto quando il Brasile ha cominciato a non rispettare più gli impegni. Non dimentichiamoci inoltre che il World Economic Forum di Davos ha affermato che oltre il 50% del pil mondiale è legato alla natura e alla biodiversità: questa è importante per tanti settori economici”.

Quali obiettivi ci si pone?

“Entro il 2030 si deve arrivare ad avere il 30% di aree terrestri e marine protette a livello mondiale, per quanto riguarda le prime siamo vicini, al 17%, mentre sulle secondo siamo indietro, fermi al 7%. Nel Quadro globale rientreranno anche la protezione delle specie a rischio, l’integrazione dei valori della biodiversità nei processi produttivi delle attività economiche, il mantenimento della diversità genetica all’interno delle specie”.

Quali specie sono a rischio?

“Tutti i gruppi tassonomici sono minacciati, dai batteri ai grandi mammiferi, non solo gli animali più ‘iconici’ come i rinoceronti o i grandi felini ma anche anfibi, rettili e uccelli. La maggiore preoccupazione oggi riguarda i Paesi tropicali, quelli che custodiscono la maggior biodiversità sono anche quelli che purtroppo hanno minori fondi, mentre nei Paesi europei i principali problemi riguardano il consumo del suolo e la conservazione delle risorse naturali”.

La tragedia di Ischia ne è un triste esempio?

“Il modello del territorio inteso solo come uno strumento di business, senza pensare alla sua tutela e conservazione, non regge più. Non si è pensato, non a Ischia ma in generale, a uno sviluppo sostenibile sul medio-lungo periodo. Nel Salento si sono distrutte le dune che proteggono dai venti le zone retrodunali e ora ogni mareggiata si mangia decine e decine di metri di costa. Adesso si fanno interventi per recuperare le dune dove si trovano le specie animali e vegetali che le abitano, mentre si realizzano dei camminamenti per i bagnanti in modo che non le attraversino. Un esempio che lo sviluppo sostenibile è possibile”.