Consumo di suolo, Italia sempre più fragile: le tre chiavi per fermare la deriva

Programmazione, monitoraggio ma non solo: c'è bisogno innanzitutto di una presa di coscienza. Antonello Fiore (Sigea): "Intervenire adesso"

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Cinquantasette chilometri quadrati di suolo consumato in un anno. Numeri da brividi quelli riferiti dall’ultimo rapporto Ispra sul progressivo rosicchiamento dell’azione antropica sul territorio calpestato dai nostri piedi e sul quale poggiano le nostre case. Un aspetto troppo spesso sottovalutato iil consumo di suolo, ma che rientra, in buona percentuale, fra le ragioni dei tanti episodi estremi che sempre più di frequente si verificano nel nostro Paese. Una somma di fattori, che mette in fila il cambiamento climatico, un suolo poco attenzionato e una predisposizione geologica naturale dell’Italia a eventi come frane, alluvioni e smottamenti. Ma se l’uomo è in grado di influenzare in negativo la tenuta della sua terra, può anche accadere il contrario. Come ricorda a Interris.it il geologo Antonello Fiore, presidente della Società Italiana di Geologia Ambientale (Sigea), bastano poche ma decisive accortezze.

 

Dottor Fiore, l’arrivo dei fondi europei, anche se in piena crisi di governo, apre molti spazi di ragionamento. Nelle varie discussioni e incentivi sulle politiche green, sembra che dal discorso sostenibilità resti sempre fuori il tema della tenuta del suolo…
“Per fortuna non ci sono stati eventi estremi come terremoti o altro. Di recente, come Sigea, abbiamo raccolto delle firme affinché una parte dei fondi comunitari vengano destinati al Mezzogiorno, particolarmente fragile dal punto di vista territoriale. Il punto è che queste situazioni vengono affrontate solo in fase emergenziale. Dobbiamo tenere conto che l’Italia ha una sua caratteristica geologica di fragilità, è proprio una sua caratteristica. Se le attività antropiche si intrecciano con queste pericolosità, è chiaro che va fatta una pianificazione delle nostre azioni. Se aggiungiamo che è in corso una crisi climatica che amplifica eventi come alluvioni e frane, diventa un fattore aggravante. C’è poi la questione del consumo di suolo…”

Un tema soggetto a regolare monitoraggio ma che sembra trovare scarso riscontro a livello di progettazione…
“A giugno-luglio aspettiamo il prossimo rapporto dell’Ispra. Quello dello scorso anno diceva che abbiamo consumato più di 57 chilometri quadri. E, consumando il suolo, aumentano le superfici impermeabili, l’acqua non si infiltra più nel sottosuolo e inizia a ruscellare, i sistemi fognari non funzionano più perché sono intasati. E’ un processo che dobbiamo necessariamente bloccare, altrimenti andremo sempre peggio”.

Da cosa bisogna partire?
“Prima di tutto dobbiamo svolgere una corretta pianificazione. Se ci sono aree con dei pericoli, dobbiamo avere il coraggio di fare un passo indietro. Non costruire o, in alcuni casi, eliminare interventi fatti in aree che non dovevano essere urbanizzate. Ci sono poi da condurre studi e monitoraggio per capire quali situazioni possono essere mitigate, che può avvenire anche con interventi di ingegneria naturalistica, che agevolano la valorizzazione della manodopera, aumentando il livello di occupazione”.

C’è poi la questione manutenzione…
“Come viene chiesta per le strutture ci deve essere anche per il territorio. E poi c’è l’aspetto delle aree abbandonate interne, che necessitano di una politica di ripopolamento. Noi sappiamo che gli effetti registrati a valle sono una conseguenza della gestione del territorio a monte. Andrebbe fatta una politica di re-incentivazione. Ma torna anche la questione del consumo di suolo: oltre 57 km2 all’anno ma in Italia l’Istat ci dice che abbiamo 7 milioni di case vuote, 700 mila capannoni dismessi e spazi commerciali inutilizzati. Significa che abbiamo un suolo consumato in passato che potremmo rigenerare”.

In che modo?
“Oltre alla manutenzione del drenaggio urbano, rimozione delle superfici impermeabili laddove non servono. Alla base di tutto questo c’è comunque un problema culturale. Bene fanno i giovani a organizzarsi in gruppi per chiedere l’adozione di una politica più sostenibile”.

E a livello legislativo?
“Noi non abbiamo una legge sul consumo di suolo. La precedente legislatura, nel 2016 aveva licenziato alla Camera la legge nazionale sul consumo di suolo, mai approvata però al Senato. In questa legislatura ce ne sono altre ma credo che non riusciranno ad arrivare a compimento. Abbiamo quindi una nazione sprovvista di una legge sul consumo di suolo. Come facciamo, quindi, a rispettare le indicazioni che ci parlano di un azzeramento del consumo entro il 2050? L’Europa e le Nazioni Unite hanno richiamato tutti gli Stati su questo punto e hanno posto questa data come orizzonte, stabilendo di non aumentare il degrado del territorio entro il 2030. Riusciremo a rispettare questi obiettivi? Servono anche risorse intellettuali che possano operare negli enti pubblici, per approvare progetti utili in tempi rapidi e strutturare gli uffici pubblici affinché diano un apporto concreto”.

Anche perché il dissesto idrogeologico interessa in modo trasversale tutto il Paese. Non ultime le grandi città, Roma inclusa…
“Esiste il problema del drenaggio urbano nelle grandi città. Le cosiddette fogne bianche sono state progettate e realizzate decenni fa e calcolate con le piogge dell’epoca. Oggi il regime delle piogge è cambiato e queste strutture andrebbero adeguate. Se non c’è stata costante manutenzione abbiamo un problema di infrastrutture progettate su precipitazioni non attuali e in più poco manutenute. Se aggiungiamo il problema del consumo di suolo, è naturale che ogni volta si verifichino allagamenti. Secondo me, quando si fa riferimento all’adozione di politiche sostenibili, si è dato l’impressione che fosse una cosa futuribile. Invece i provvedimenti vanno presi già ora, per le generazioni attuali”.