Le conseguenze e i cambiamenti della pandemia sul mondo del lavoro

La pandemia ha mutato profondamente il mondo del lavoro, In Terris ne ha parlato con il Segretario Confederale della Cisl Angelo Colombini

Nei giorni scorsi l’Organizzazione Mondiale del Lavoro ha pubblicato un rapporto – secondo il quale – a causa della crisi economica e sociale provocata dalla pandemia da Covid – 19, oltre 100 milioni di lavoratori al mondo sono stati ridotti in povertà ed il livello di occupazione è sceso mediamente del 5% con picchi che hanno superato l’8% per quanto concerne i giovani e le donne. In Terris, ha avuto l’onore di intervistare Angelo Colombini, Segretario Confederale della Cisl, in riferimento alla situazione italiana del mondo del lavoro.

– Come la pandemia da Covid 19 ha cambiato il mondo del lavoro?

“In realtà ancora non sappiamo se lo ha cambiato per sempre o solo per il periodo della pandemia. Andiamo per ordine. Vi è stata una improvvisa e assolutamente non prevista sperimentazione di massa del lavoro a distanza, in pratica il vecchio telelavoro da casa, che molti chiamano Smart Working. L’impatto però è stato fortissimo e sicuramente in gran parte positivo, perché le persone hanno continuato a lavorare e hanno potuto mantenere il lavoro, hanno potuto conciliare famiglia, vita e lavoro, inoltre meno mobilità casa e lavoro e viceversa ha aiutato a ridurre l’inquinamento delle grandi città. Sicuramente non si continuerà allo stesso modo, in termini percentuali, però è un percorso ancora in divenire e da contrattualizzare.  Si sono evidenziati aspetti positivi ed aspetti negativi, non tutti i lavori possono essere svolti tout court a distanza. Ci sono dei valori però che devono essere prioritari nel prosieguo, le persone in quanto tali e la centralità che il lavoro riveste nella loro vita, ma anche il rapporto con i colleghi, cioè la socialità del lavoro. Rispetto ad essi vanno realizzati e valutati i cambiamenti necessari”.

– Come si possono contrastare le fragilità lavorative delle donne e delle persone con disabilità?

“Oltre alle conseguenze drammatiche in termini di vite umane e sul piano economico complessivo, la pandemia ha messo ancor più in rilievo gli anelli deboli della nostra società e del nostro sistema produttivo, scaricando gli effetti negativi sulle fasce di popolazione meno garantite e tutelate. In questo lungo tempo, durato ad oggi più di quindici mesi, le donne occupate e i lavoratori disabili hanno subito i più pesanti riflessi. La pandemia, difatti, per tali persone ha rappresentato una causa moltiplicativa di quelle condizioni spesso non adeguate e dignitose. La carenza di politiche attive, di servizi educativi per l’infanzia e di servizi socio-sanitarie a supporto delle donne occupate, chiamate a farsi carico della famiglia, dei figli, così come spesso dell’assistenza e cura dei genitori, è andata confermatosi anche durante la pandemia, rimanendo immutata se non aumentata, nei casi delle lavoratrici che hanno potuto proseguire l’attività lavorativa, in modalità remota, da casa. A fronte di una soluzione operativa, che si è dimostrata di grande utilità per arginare la diffusione del virus, possiamo dire, che l’interruzione dell’attività lavorativa in presenza, ha aggravato l’emarginazione sociale di persone fragili come i disabili. È, difatti, ormai dato noto che l’isolamento al quale si è esposto durante il lavoro svolto in modalità remota è un fattore di grande stress e, per le persone disabili, questo rappresenta ancor più un elemento di maggior disagio. Per contrastare, pertanto, le fragilità lavorative delle donne e dei lavoratori disabili occorre intervenire su più fronti in modo sinergico, attuando politiche di sistema che coniughino interventi sul livello sociale e lavorativo, in modo da consentire, sulla base delle esigenze e necessità, di poter conciliare il proprio diritto al lavoro, svolto nel modo più valorizzante per la persona, con le fragilità di cui ciascuno è portatore, sia sul livello psico-fisico personale che in merito alla gestione del nucleo familiare”.

– Quali strumenti normativi possono essere introdotti per tutelare i lavoratori più fragili?

“Sul fronte normativo il nostro ordinamento offre da tempo un’ampia rassegna di tutela per i lavoratori portatori delle diverse fragilità. E le tante disposizioni che sono state emanate durante la fase emergenziale hanno confermato, una consolidata attenzione in tal senso. A mancare, quindi, non sono le singole disposizioni regolative, ma le politiche di sistema e la loro declinazione e attuazione nei diversi contesti lavorativi. È per questo che un’azione mirata e concreta non può che essere svolta dalla contrattazione collettiva, soprattutto di prossimità (aziendale/territoriale). Anche su questo fronte, il periodo della pandemia ha rappresentato un banco di prova sul quale le parti sociali, di concerto con il governo, hanno dato prova di essere in grado di farsi carico della responsabilità di dare immediata risposta alla situazione drammatica presentatasi, siglando un Protocollo sulla salute e sicurezza nei luoghi di lavoro, che ha visto anche ripetuti condivisi aggiornamenti, che ha messo insieme interventi di sistema, guardando alle modifiche organizzative da porre in essere in modo partecipato, con azioni operative di tutela e prevenzione dal rischio contagio. È in questo senso che, come Cisl, stiamo favorendo, attraverso la contrattazione aziendale, l’azione di promozione degli interventi volti alle “soluzioni ragionevoli” in azienda, finanziate dall’Inail, a favore dei lavoratori fragili per consentire loro di proseguire lo svolgimento della propria mansione sulla base delle proprie abilità residue, ritenendo che la partecipazione, e gli strumenti che tale modalità di confronto ha a disposizione, siano la via da perseguire per garantire non solo le giuste tutele per tutti i lavoratori, ma il raggiungimento dell’obiettivo del ben-essere sul lavoro, per ogni persona”.

– Che evoluzione auspica per il mondo del lavoro ed in special modo per i giovani che stanno per accedere allo stesso?

“Sicuramente non auspichiamo la liberalizzazione dei licenziamenti. Occorre più qualità per il lavoro. La qualità del lavoro però ha molti aspetti, dall’applicazione e il rispetto di regolari contratti di lavoro, dagli investimenti su salute e sicurezza nei luoghi di lavoro alla valorizzazione delle capacità e delle potenzialità del lavoratore. Questo vale in particolare proprio per i giovani. Non si può negare che una delle cause della cosiddetta “fuga dei cervelli” dipenda proprio da questo. La Banca d’Italia lo ha scritto in diverse ricerche ed anche nell’ultima relazione il Governatore ci è tornato sopra, parlando di “circolo vizioso di bassi salari e modeste opportunità di impiego che scoraggiano gli stessi investimenti in istruzione” e quindi i giovani più istruiti trovano spesso la strada della emigrazione per avere le giuste opportunità e responsabilità e per dimostrare il proprio valore. Infine rispetto alle cosiddette transizioni gemelle, quella ecologica e quella digitale, c’è bisogno di efficaci politiche attive del lavoro e della formazione, da molto tempo osteggiate da una certa politica che non concilia il rapporto tra pubblico e privato nell’accompagnare le lavoratrici e i lavoratori, da una professione all’altra, da un posto di lavoro all’altro, senza lasciare indietro nessuno”.