Come gestire la demenza e l’Alzheimer in quarantena (AUDIO)

Ecco come bisogna muoversi se si ha un parente affetto da queste patologie. A spiegarlo la scienziata Amalia Bruni direttrice del centro regionale di neurogenetica

E’ davvero difficile questa quarantena che ci impone una reclusione serrata. In una casa angusta, il tempo si dilata e diventa monotono. Le giornate scorrono lente e non ce ne accorgiamo nemmeno. Alcuni in casa devono anche prendersi cura del proprio caro affetto da demenza o da Alzheimer. E la situazione si complica irrimediabilmente. Come bisogna gestire tutto ciò? Come si spiega loro il Coronavirus? Qual è la cosa più importante per la loro salute? “Uno degli obiettivi è quello di cercare di dare delle regole alla giornata”, così risponde a Interris.it la dottoressa Amalia Bruni direttrice del Centro regionale di neurogenetica a Lamezia Terme e presidente eletto della Società Italiana di neurologia, la quale ha individuato la «presenilina», il gene più diffuso dell’Alzheimer.

Come influisce la quarantena su chi soffre di demenza o di Alzheimer?
“Lo stiamo studiando in questo momento. Si può ipotizzare nei casi dei pazienti più lievi o comunque di quelli in fase moderata, che la restrizione abbia un impatto importante. Quindi si coinvolge il caregiver perché molti dei pazienti sono gestiti in famiglia. Spesso la famiglia rinunci alla badante per il terrore della diffusione del virus. Questa chiusura in casa con un parente affetto da demenza si aggiunge ad altre mille problematiche della quotidianità, alla fine pesa su queste persone. Io ho voluto costruire un gruppo di studio interno alla SIN (società italiana di neurologia) che si occupa di demenza, di cui sono presidente eletto. Questo studio, che si chiama Covid-19 e demenza, ha l’obiettivo di misurare l’impatto delle restrizioni su questo tipo di pazienti e sui loro familiari”.

Si è in grado di spiegare a questi pazienti cosa sta accadendo?
“Ci sono circa 50 gruppi che si stanno occupando di questo problema. Somministrando delle schede telefoniche per avere un rimando di quello che sta accadendo. Può registrarsi anche lo scoppio cospicuo di disturbi comportamentali a causa del fatto che il paziente è costretto a stare all’interno di un ambiente non sempre così agevole e idoneo. Spesso tali persone sono abituate ad uscir Perciò è richiesto un aumento delle sedazioni e quindi dei farmaci da parte della famiglia”.

In che modo i caregivers possono dare assistenza ai loro parenti?
“Uno degli obiettivi è quello di cercare di dare delle regole alla giornata. Un vero e proprio decalogo. Bisogna dare un senso alla giornata mantenendo dei ritmi come lavarsi e vestirsi. Perché altrimenti lo scorrere del tempo apparirà tutto uguale. Infatti si sta riscontrando un aumento progressivo del disorientamento nel tempo. Bisogna seguire degli steps con dei piccoli obiettivi: i familiari devono far partecipare questi parenti all’organizzazione del pranzo, trovare insieme degli spazi, vedere insieme fotografie o film. Rapportato naturalmente al livello della patologia. L’altro aspetto che emerge è che il caregiver che è in condizione di grande disagio nella gestione del suo caro, in questo momento in cui tutte le attività sono sospese, può prendersi del tempo da dedicare al malato. Stringere la relazione. In questo modo si riceve anche di più e si migliora la situazione”.

Qual è il ruolo dell’ansia e della paura?
“I parenti sono essenzialmente terrorizzati all’idea che il loro familiare possa essere colpito dalla malattia. Molti hanno allontanato le badanti. Altri hanno rinunciato ad andare a trovare i loro cari nei centri che li ospitano per paura di contagiarli. Ritengo infatti che ciò che emergerà dal nostro studio sarà molto importante. Possiamo trarre dei messaggi importanti come medici specialisti conoscendo a fondo cosa sta accadendo nelle case. Questo è fondamentale per comprendere il problema. Mi sono ritrovata in alcuni momenti a dare delle certificazioni apposite ai familiari per poterle poi esibire alle forze dell’ordine, questo perché alcuni pazienti scappano, fuggono da casa. Quindi è chiaro che se te costringi all’immobilismo un paziente così, la patologia si aggraverà. Al contrario vanno in qualche modo assecondati. Io mi sono presa la mia responsabilità, soprattutto in un momento così difficile. Questi pazienti non sono consapevoli di ciò che sta accadendo e questo va capito”.

C’è la possibilità di riceve un sostegno domiciliare?
“Attraverso le piattaforme online certamente. Il sostegno degli psicologi è sempre assicurato. La maggior parte di noi sta facendo dei veri e proprio ambulatori telefonici. I caregivers sono felicissimi di ricevere questa assistenza. Ciò ci aiuterà a cambiare quella che sarà la modalità di lavoro. Il faccia a faccia rimarrà certamente per la sua ricaduta emotiva. Ma il supporto telefonico è fondamentale: dovrebbe essere continuativo. Pensiamo a quelle famiglie che abitano in luoghi angusti. Però, al momento non c’è una valorizzazione economica”.

A livello emotivo come hanno reagito i pazienti alla quarantena?
“Dipende dal grado di evoluzione della malattia. I pazienti in fase lieve schiccherano completamente, quelli in fase severa non se ne accorgono. Si spaventano di più a vedere il familiare con la mascherina. Quindi i caregivers hanno dovuto inventare la scusa dei giochi. Perciò, è chiaro che solo il paziente in fase lieve risente drammaticamente di questa chiusura. Legge e si scorda, ha mancanza di voglia di fare le cose. Ma alcuni, sono anche persone molto intelligenti. Magari persone di elevata cultura, mi hanno inondata di quadri, di poesie, durante questa quarantena”.