Sos carceri. Scontare la pena può diventare per un detenuto occasione per “cominciare una vita nuova“. La comunità cristiana “è provocata a uscire dai pregiudizi, a mettersi in ricerca di coloro che provengono da anni di detenzione, per incontrarli, per ascoltare la loro testimonianza“. Papa Francesco si è rivolto ai referenti diocesani del cammino sinodale italiano. E ha richiamato l’attenzione “sulle esperienze di emarginazione“. Quindi “formare dei gruppi sinodali nelle carceri vuol dire mettersi in ascolto di un’umanità ferita, ma, nel contempo, bisognosa di redenzione. Per un detenuto, scontare la pena può diventare occasione per fare esperienza del volto misericordioso di Dio. E così iniziare una vita nuova. E la comunità cristiana è provocata a uscire dai pregiudizi, a mettersi in ricerca di coloro che provengono da anni di detenzione. Per incontrarli. Per ascoltare la loro testimonianza. E spezzare con loro il pane della Parola di Dio. Esperienze di una Chiesa che accoglie le sfide del nostro tempo, che sa uscire verso tutti per annunciare la gioia del Vangelo“.
“Il ministro Carlo Nordio ha parlato ancora una volta di edilizia penitenziaria e, ancora una volta, va ribadito che non servono più carceri, ma servono carceri piene di attività e attenzione per le persone detenute. Oggi in tutte le strutture si registrano assenze di personale. Dai direttori, agli agenti penitenziari, agli educatori, fino a medici, psicologi, psichiatri, mediatori culturali. In questo modo chi è in servizio fa fatica. E le persone detenute non possono ricevere le attenzioni che richiederebbero e nei tempi certi che meriterebbero“, dichiara Patrizio Gonnella, presidente di Antigone, dopo la visita del Guardasigilli Carlo Nordio nel carcere di Torino. “Aprire nuove carceri, riproducendo queste dinamiche – aggiunge – non servirebbe a rendere più dignitosa la pena, non passando questa solamente da un aumento degli spazi che, peraltro, si potrebbero liberare attraverso un maggiore ricorso a misure alternative alla detenzione. Ci sono circa 8mila persone detenute con un residuo pena che potrebbe garantire loro di scontare la pena fuori dal carcere”. Nei giorni scorsi due donne sono morte “per la solitudine e l’abbandono“, condizioni che “quando sei straniero peggiorano, tanto più quando vivi in posti brutti e malsani, come sono certe carceri italiane“.
Il presidente di Antigone, Patrizio Gonnella è intervenuto dopo la morte delle due detenute nel carcere delle Vallette a Torino. “La rivoluzione che serve passa per rapporti con le persone fuori dal carcere e passa per un aumento delle relazioni anche dentro gli istituti. Con più vita fuori dalle celle, più tutela della salute. Più ascolto, più interpreti e mediatori culturali – spiega – Non è una rivoluzione complessa, ma serve volontà per realizzarla. Invece, di fronte a queste tragedie c’è cinismo, indifferenza e stanchezza. Cinismo e stanchezza purtroppo dirigono la vita in carcere. Nel caso della detenuta morta di inedia, nonostante l’impegno degli operatori, non si è trovata altra forma di sostegno che non recluderla in un reparto psichiatrico. Lei voleva solo avere l’opportunità di stare vicina a suo figlio di 4 anni affetto da autismo. Cosa è questo se non cinismo e stanchezza?”. Aggiunge Gonnella: “Tre donne morte nel carcere di Torino nel giro di poco più di un mese è allarmante. Non si risolve però il tutto andando a colpire gli operatori di base come fossero capri espiatori. Bisogna rivoluzionare un sistema, quello carcerario, afflitto da una visione pre-moderna. Occorre aumentare i rapporti con l’esterno. Rendere quotidiane le telefonate. Assicurare anche d’estate vita nelle sezioni. La pena è la reclusione in carcere non la reclusione in cella, dove a volte le persone sono costrette a stare, in ambienti disadorni e malmessi anche 20 ore su 24″.
Un’estate tragica negli istituti di pena italiani, sovraffollati, che ha contato 16 suicidi, a cui si aggiunge quello di oggi ricorda Antigone. E il sindacati si appellano a Nordio per chiedere un cambio di passo nella gestione delle carceri. Sono storie di dolore quelle delle due detenute, come tante storie che si consumano nelle celle. Susan John, nigeriana di 43 anni, era alle Vallette dal 21 luglio dopo un lungo periodo agli arresti domiciliari. doveva scontare una condanna (fine pena 2030) inflitta da una corte di Catania per reati di tratta e immigrazione clandestina. Ha rifiutato per 18 giorni il cibo, l’acqua, le medicine, tutto. Ma non stava sostenendo uno sciopero della fame. Si è lasciata andare giorno dopo giorno, forse per disperazione. Continuava soltanto a ripetere che voleva vedere il figlioletto di quattro anni rimasto col padre perché Susan era sposata. Era ristretta in un’area della sezione femminile riservata alle recluse con disagi psichici e problemi di comportamento. Verso le 3 della scorsa notte il suo cuore ha smesso di battere. Inutile l’intervento della polizia penitenziaria e del personale medico. A stabilire le cause della morte sarà l’autopsia, che la procura del capoluogo piemontese – dove è stato aperto un fascicolo – intende disporre lunedì. Ma fin da ora l’avvocato della donna, Manuel Perga, si dice “arrabbiato e perplesso”.
“La prima impressione – spiega – è che il problema sia stato sottovalutato”. Alla garante dei diritti dei detenuti a Torino, Monica Chiara Gallo, il caso non è mai stato segnalato: “avremmo attivato le nostre procedure per tentare qualcosa”. Il caso indigna la politica. I radicali, per bocca del presidente Igor Boni, parlano di “punta dell’iceberg di un sistema putrefatto“, mentre Riccardo Magi, segretario di Più Europa, parla di “vicenda allucinante” e annuncia un’interrogazione al ministro Nordio. “Questa – dice la senatrice Ilaria Cucchi – è una tragedia che non può essere tollerata in un Paese che si professa civile e democratico“. Aveva 28 anni invece la detenuta che si è uccisa sempre alle Vallette. Era stata portata all’istituto di pena di Torino da Genova Pontedecimo. Il suo è il 44esimo suicidio del 2023 nelle carceri, 16esimo solo tra giugno e agosto. Sovraffollamento e, in estate il caldo, spiega Antigone rendono ancora più drammatica la situazione dei detenuti “non è un caso che, durante i mesi estivi, proprio il numero dei suicidi cresca”, osservano dalla associazione che ricorda come nelle carceri italiane siano detenute 10mila persone in più dei posti disponibili con un tasso di sovraffollamento del 121%.
Una delle due detenute che si sono suicidate continuava soltanto a ripetere che voleva vedere il figlioletto di quattro anni rimasto col padre perché Susan era sposata. Era ristretta in un’area della sezione femminile riservata alle recluse con disagi psichici e problemi di comportamento. Verso le 3 della scorsa notte il suo cuore ha smesso di battere. Inutile l’intervento della polizia penitenziaria e del personale medico. A stabilire le cause della morte sarà l’autopsia, che la procura del capoluogo piemontese – dove è stato aperto un fascicolo – intende disporre. “La prima impressione – spiega l’avvocato Manuel Perga- è che il problema sia stato sottovalutato”. Alla garante dei diritti dei detenuti a Torino, Monica Chiara Gallo, il caso non è mai stato segnalato: “avremmo attivato le nostre procedure per tentare qualcosa”. Il caso indigna la politica. “Questa – dice la senatrice Ilaria Cucchi – è una tragedia che non può essere tollerata in un Paese che si professa civile e democratico“. Aveva 28 anni invece la detenuta che si è uccisa sempre alle Vallette. Era stata portata all’istituto di pena di Torino da Genova Pontedecimo.
Sovraffollamento e, in estate il caldo, spiega Antigone rendono ancora più drammatica la situazione dei detenuti “non è un caso che, durante i mesi estivi, proprio il numero dei suicidi cresca”, osservano dalla associazione che ricorda come nelle carceri italiane siano detenute 10mila persone in più dei posti disponibili con un tasso di sovraffollamento del 121%. Preoccupati i sindacati: il Sappe afferma che i due decessi in poche ore nel carcere di Torino “impongono al Ministro della Giustizia Carlo Nordio un netto cambio di passo sulle politiche penitenziarie del Paese”. “E’ necessario – afferma il segretario generale, Donato Capece – prevedere un nuovo modello custodiale. Le carceri sono in ebollizione da mesi“. Per Leo Beneduci, segretario generale dell’Osapp, “a fronte di un’emergenza che appare insanabile non possiamo che ribadire l’estrema urgenza di provvedere a un commissariamento del sistema penitenziario italiano”.
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