I cambiamenti nella formazione necessari per un lavoro migliore

L'intervista di Interris.it al segretario confederale della Cisl Angelo Colombini in merito ai cambiamenti in atto nel sistema economico italiano

Lavoro

In questi ultimi anni, a causa della pandemia e della conseguente crisi economica, il mondo del lavoro è fortemente mutato generando interrogativi che hanno lambito il nostro sistema formativo ed hanno evidenziato una necessità di riforma anche dello strumento dell’apprendistato il quale necessiterebbe di un rilancio affinché possa concretamente diventare la porta di ingresso dei più giovani nel mondo del lavoro. Interris.it, in merito a questi temi, ha intervistato il segretario confederale della Cisl Angelo Colombini.

Il Segretario Confederale della Cisl Angelo Colombini

L’intervista

Segretario, quale futuro attende il mondo del lavoro?

“Il lavoro che ci attende da qui ai prossimi dieci anni è impegnativo e sfidante e richiede azioni condivise da tutte le istituzioni a livello mondiale, europeo, nazionale, regionale e locale, dalle parti sociali e da tutta la società civile per cogliere le opportunità delle trasformazioni economiche e sociali indotte dalle rivoluzioni green e digitale e ridurre al minimo i loro effetti negativi soprattutto sul piano dell’occupazione e di conseguenza sull’aumento della marginalità sociale e della povertà. Abbiamo a disposizione risorse mai avute prima che dovremo saper usare sapientemente e con lungimiranza se vogliamo che le varie componenti delle missioni del PNRR, nel loro insieme di investimenti e riforme, portino finalmente il nostro Paese a colmare ritardi atavici e non più accettabili”.

Qual è la situazione attuale del nostro Paese? Quali riforme del sistema formativo devono essere attuate secondo la Cisl?

“I dati dell’ultimo rapporto ISTAT sulla situazione del Paese sono un richiamo forte alla responsabilità, cui la Cisl non si è mai sottratta, a trovare gli strumenti per migliorare il nostro sistema di istruzione e formazione, dall’infanzia all’età adulta, potenziando i servizi, valorizzando il personale, estendendo il tempo pieno, rafforzando il legame scuola – mondo del lavoro, innovando la didattica e investendo nell’edilizia scolastica sia per garantire sicurezza sia per offrire ai ragazzi/e ambienti di apprendimento accoglienti, innovativi e stimolanti. La Cisl crede inoltre nella necessità di investire più risorse nell’istruzione e la formazione professionale sia secondaria che terziaria, a partire dal rinnovo del contratto di settore scaduto da oltre dieci anni, grazie alla quale migliaia di ragazzi e ragazze conseguono qualifiche e diplomi utili ad un inserimento lavorativo qualificato e dignitoso”.

Scuola Covid

Come migliorare la governance delle politiche di istruzione e formazione?

“È necessario che l’esercizio delle competenze costituzionali, articolate tra Stato e Regioni, avvenga in una virtuosa sussidiarietà che garantisca a tutti i nostri ragazzi il diritto ad istruirsi e a formarsi secondo le proprie attitudini e talenti, rafforzando questa filiera, promuovendone l’estensione e l’esigibilità specie al Sud, entro un quadro di rinnovata progettualità. Solo così possiamo sperare di abbattere la dispersione scolastica e gli abbandoni, ridurre il numero dei neet, elevare le competenze dei nostri giovani e degli adulti e aiutarli ad apprendere lungo tutto l’arco della vita per non trovarsi impreparati di fronte ai cambiamenti sempre più repentini dello scenario economico ma anche sociale e occupazionale”.

In che maniera il sistema di istruzione e formazione può favorire la transizione ecologica e digitale in Italia?

“Favorire la transizione ecologica e digitale del nostro sistema produttivo ma anche di quello economico, sociale e culturale (pensiamo alla propensione al consumo, all’educazione ambientale e a comportamenti sostenibili, al turismo sostenibile, al riciclo e riuso dei materiali, alla mobilità sostenibile, etc.) significa dotare il mondo del lavoro, in particolare nelle sue componenti più giovani, di competenze e profili professionali nuovi. In tal senso è importante il potenziamento di tutta la filiera dell’istruzione tecnica e professionale, sia statale che regionale, secondaria e terziaria. Il nostro paese, rispetto ai partner europei come Francia e Germania, sconta un forte ritardo, anche culturale, nello sviluppo razionale ed organico di questo sistema che, per un insieme di pregiudizi anacronistici e probabilmente di un modello squilibrato di orientamento, ha un minor gradimento da parte degli studenti e delle loro famiglie. Più di uno studente su due preferisce il liceo, specie se scientifico, solo il 20,3% sceglie gli istituti tecnici mentre i professionali restano fermi a poco più di uno studente su 10. Si confermano grandi differenze tra le Regioni italiane. In Veneto gli istituti tecnici arrivano al 38%, in Lombardia e in Emilia-Romagna siamo a 36%. Nelle altre regioni a partire dal Lazio, con il 71,2% di iscrizioni i licei la fanno ancora da padrone (Campania: 64,3%, Abruzzo: 63,9%, Sicilia: 63,8%). Parallelamente l’offerta di percorsi di istruzione e formazione professionale per il conseguimento di qualifiche e di diplomi è disomogenea e frammentata, incerta nella programmazione, e nel finanziamento, in ancora troppe Regioni e segnata dalla concorrenza, che spesso diventa sovrapposizione e duplicazione, dell’offerta sussidiaria degli Istituti Professionali, che a loro volta però esprimono performance meno efficaci su questo segmento. Equilibrare questi numeri è fondamentale per combattere due emergenze: la dispersione scolastica e lo squilibrio tra domanda e offerta di competenze”.

 

Quali sono i limiti del nostro sistema imprenditoriale che impediscono la valorizzazione delle competenze?

“I limiti del nostro sistema imprenditoriale sono la scarsa propensione delle imprese italiane all’innovazione e all’investimento nelle competenze professionali elevate questo anche a causa del nostro sistema produttivo costituito principalmente da piccole e piccolissime imprese.  Questo spiega anche perché in Italia il ritorno in termini occupazionali dell’investimento in istruzione sia molto lontano dai livelli europei.  L’Ocse inquadra infatti lo scenario di contesto del capitale sociale in Italia in uno schema di low skill equilibrium. A basse competenze possedute dai lavoratori si affianca un loro basso utilizzo per limiti strutturali od organizzativi delle imprese. È una vera e propria trappola che vede l’Italia nel confronto internazionale tra i paesi meno performanti. Alla carenza di competenze si associa infatti un loro scarso e non ottimale utilizzo e questo comporta uno spreco di risorse e talenti, riduce la competitività e l’innovazione del sistema economico e produttivo, i livelli di occupabilità degli individui, aumenta i rischi di marginalizzazione sociale e la propensione ad accettare lavori scarsamente qualificati e sottopagati e produce effetti negativi sulle finanze pubbliche in termini di costi di assistenza e forme di sostegno al reddito. Secondo l’Ocse l’Italia presenta bassi tassi di adozione di pratiche professionali avanzate (le cosiddette high performance work practices o HPWP) e si colloca nel quintile più basso tra i paesi dell’OCSE per la forza dell’ecosistema dell’innovazione. Questi due fattori sono cruciali per un efficace uso delle competenze”.

Giustizia fiducia Camera

In che modo i decisori dovrebbero incentivare il dialogo tra mondo della scuola e mondo del lavoro?

“I decisori politici devono comprendere che è necessario un dialogo più stretto tra scuola e lavoro e un investimento maggiore nella maturazione della capacità formativa delle imprese che possono così formare al loro interno le professionalità di cui necessitano. Gli strumenti di apprendimento duale, alternanza rafforzata, apprendistato di primo e terzo livello, il fondo nuove competenze devono essere finanziati adeguatamente e potenziati se vogliamo spezzare lo schema del low skill equilibrium ed innovare saggiamente anche le misure a vantaggio degli inoccupati. In questo quadro possono dare un importante contributo i fondi interprofessionali, espressione avanzata di relazioni sindacali partecipative e bilaterali, la cui vocazione va sostenuta perfezionando la connessione virtuosa con le politiche attive del lavoro”.

Come si può rafforzare la filiera dell’istruzione tecnica? Quali sono l’impegno e le richieste della Cisl in merito?

“In Parlamento si sta discutendo la riforma del sistema di istruzione e formazione tecnica superiore (ITS e IFTS) con l’intento di rafforzare percorsi di studi tecnici di livello terziario non accademico nelle sei aree di specializzazione su cui già operano le Fondazioni ITS. In audizione abbiamo presentato un documento unitario con richieste di modifica che vanno nella direzione di confermare, come prevede l’attuale normativa, la partecipazione delle parti sociali al coordinamento nazionale ma anche la necessità di salvaguardare l’autonomia e la distintività degli ITS rispetto alle Università, quali condizioni per una collaborazione autentica tra le due filiere su cui costruire passaggi e sistemi di riconoscimento reciproco. Abbiamo chiesto che siano esplicitate le risorse da attribuire alle diverse azioni di sistema che il Ministero dell’Istruzione dovrà porre in essere sul piano dell’orientamento, della strategia di comunicazione e delle misure per il diritto allo studio.  L’attenzione unanime della politica verso questa filiera di istruzione è un fatto positivo perché da anni chiediamo interventi mirati a rafforzare il ruolo degli ITS e dei percorsi IFTS attraverso una regia pubblica del sistema, la stabilità dei finanziamenti, la semplificazione della governance, la maggiore diffusione degli indirizzi, gli interventi perequativi territoriali, la definizione di un quadro di regole certe per garantire il diritto allo studio di studenti e studentesse. Abbiamo chiesto che le misure incentivino le Fondazioni ad investire, con le nuove e ingenti risorse (1,5 miliardi dal PNRR) su corsi legati alle materie dell’innovazione tecnologica in campo digitale, della sostenibilità ambientale, dell’economia circolare sia nelle aree tecnologiche settoriali (GREEN e ITC) sia in tutte le altre aree, in quanto il digitale, la sostenibilità riguardano competenze, conoscenze e abilità trasversali oggi decisive per tutti settori economici e produttivi”.

Quale potrebbe essere la funzione dell’apprendistato al fine di colmare il gap di competenze tra il sistema di istruzione ed il sistema economico?

“L’apprendistato di primo e terzo livello possono essere degli strumenti importanti per colmare il gap tra le competenze offerte dal sistema di istruzione e quelle domandate dal sistema economico. Il primo passo è quello di diffonderne la conoscenza e rendere lo strumento appetibile. La Cisl è parte, insieme a tutti i soggetti coinvolti nel mondo del lavoro e alle istituzioni dell’Osservatorio e del tavolo tecnico sull’apprendistato presso il Ministero del Lavoro e delle politiche sociali. Abbiamo da poco approvato un manuale ed un documento il cui obiettivo è proprio quello di rendere lo strumento dell’apprendistato formativo comprensibile, chiaro e aiutare così il mondo imprenditoriale a utilizzarlo non solo per accrescere le competenze dei giovani ma anche per migliorare l’innovazione e la competitività delle imprese. Per noi però l’apprendistato formativo deve rimanere uno strumento diretto ai giovani in istruzione e formazione per elevarne la capacità occupazionale, ridurre la dispersione e aiutare le imprese a trovare profili specializzati per la loro attività. Non può essere utilizzato come una misura di politica attiva per il lavoro per adulti in transizione o disoccupati. Non siamo neanche d’accordo nel prevedere una continuità tra apprendistato di primo, secondo e terzo livello che relegherebbe le persone ad anni di retribuzioni più basse rispetto alla qualifica raggiunta ritardando l’inquadramento contrattuale previsto. Da ultimo riteniamo che l’inquadramento ed il livello retributivo degli apprendisti debbano rimanere materia degli accordi interconfederali e dei contratti collettivi di settore.  Intervenire nuovamente con una legge è errato”.

Qual è il limite di questi strumenti? In che modo dovrebbero essere valorizzati?

“Come rilevato nel lavoro svolto presso osservatorio del Ministero del Lavoro il limite all’utilizzo più ampio di questi strumenti è da individuare nella distribuzione disomogenea a livello nazionale della Iefp, nello scarso investimento da parte del Ministero dell’Istruzione sul duale all’interno dell’istruzione e formazione professionale statale, e nella scarsa capacità formativa delle imprese. Solo investendo più risorse nella filiera tecnico professionale, nel sistema duale al suo interno e nella collaborazione tra istituti secondari, enti di formazione e imprese che non guardi solo al ritorno immediato in termini economici ma ad un investimento in competenze, qualità e innovazione del lavoro possiamo sperare di veder crescere i percorsi e gli studenti, che non devono temere il lavoro ma lo sfruttamento”.