La storia di Andrea Borello, un giovane impegnato “scoperto” dall’Europa

Un premio prestigioso ricevuto dal Parlamento europeo per il suo impegno durante la pandemia e non solo. Ecco chi è Andrea Borrello

Andrea Borello è un ragazzo che a soli 21 anni è stato premiato come “Cittadino europeo del 2021” grazie al suo impegno durante il Covid e non solo. Sono anni che Andrea si impegna contro il cambiamento climatico, sostenendo il movimento “Fridays for future”. Interris.it ha deciso di intervistarlo per cercare di capire come sia possibile, soprattutto per i giovani che ci leggono, fare grandi cose nel proprio piccolo: per Andrea Borello bastano volontà e determinazione.

Andrea ti sei classificato al secondo posto come “Cittadino europeo del 2021” per il tuo impegno nel volontariato con la Croix Rouge di Bordeaux durante la pandemia. Cosa vuol dire per te essere cittadino europeo?

“Essere cittadino europeo vuol dire non sentirsi diversi dai nostri vicini di casa stranieri, sentire uno spirito e dei valori comuni, come la libertà, l’uguaglianza e – diciamocelo, dato che di questi tempi non è così scontato – l’antifascismo. Insomma, significa sentirsi un po’ a casa anche all’estero”.

Ti sei ritrovato in Erasmus in piena pandemia. Che cosa ha significato per te?

“Ha significato difficoltà. C’era molta incertezza. Dovevamo tornare a casa, restare? Le università avrebbero riaperto dopo quanto? E gli affitti delle case? Ha significato rabbia, nel vedere che i francesi non avevano imparato nulla dalla lezione italiana, esattamente come noi non avevamo imparato nulla dalla lezione cinese. Ha significato solidarietà. I racconti dei lockdown erano gli stessi dell’Italia. Simili erano le file interminabili di ambulanze che passavano sotto casa mia, per andare a prendere alla stazione i ricoverati per cui non c’era più posto negli ospedali di Parigi”.

Perché hai deciso di fare volontariato in un momento così difficile?

“Non ho fatto nulla di straordinario. Molti giovani hanno iniziato a darsi da fare per aiutare la comunità. È difficile stare con le mani in mano quando si è consapevoli di poter fare qualcosa. Quello che cambia, nel mio caso, è che la comunità che ho contribuito ad aiutare non era la mia comunità in senso stretto. Sostanzialmente non erano italiani. Ma alla fine cosa cambia? Le persone sono tutte uguali e – a maggior ragione in Europa – condividono i nostri valori, la nostra storia”.

Che cosa può dare l’esperienza del volontariato ad un ragazzo della tua età?

“Può portare tanto, soprattutto in Croce Rossa. Aiuta a crescere, ad uscire dalla “bolla” in cui spesso noi giovani siamo relegati, a volte iper-tutelati dalla famiglia o indotti a vedere la variabile economica come principale ragione per effettuare delle scelte. Il volontariato ci mostra un nuovo aspetto della socialità in cui, divertendoci o comunque sentendoci gratificati, siamo anche utili ad una parte della società. Va da sé che fare volontariato deve essere un piacere: se non lo è difficilmente sarà formativo”.

Spesso gli adulti parlano di noi giovani, ai loro occhi a volte siamo pieni di speranza e altre troppo chiusi in noi stessi. Tu come descriveresti i giovani della tua generazione?

“Penso che i giovani della mia generazione siano disillusi. In passato sono stati fatti errori così gravi che affrontarne la risoluzione è demoralizzante. Per questo penso che servano dei modelli – ed è quello che personalmente cerco di fare – che motivino i propri coetanei all’azione. Sentiamo sempre dire che i giovani sono il futuro. È falso, siamo il presente. Siamo il motore propulsore della società, siamo la generazione che può osare, che può mettere in discussione lo status quo delle cose, che – perché no – può permettersi anche di sbagliare”.

Sicuramente una delle sfide che le giovani generazioni stanno cogliendo è quella dell’ambiente. In questi giorni si svolge la Cop26 a Glasgow e già da qualche settimana sono ripresi gli scioperi dei Fridays for future. E’ una tematica che senti vicino? Da dove ripartire dopo lo stop forzato imposto dalla pandemia?

“Sì, la crisi climatica è la sfida prioritaria che la politica ha il dovere di affrontare. È difficile, perché come scrive Giddens, sociologo e politologo, la società tende a non affrontare problemi di cui non vede ancora i danni. Noi giovani abbiamo il dovere di scuotere le coscienze, mostrare che siamo preoccupati e che vogliamo delle serie prese di posizione, delle azioni concrete. Basta con gli applausi e le belle parole. Questo chiediamo come Fridays For Future, finalmente di nuovo dal vivo nelle piazze. La pandemia ci ha mostrato cosa accade a non applicare il detto ‘meglio prevenire che curare. Immaginate se avessimo preso provvedimenti seri alle prime avvisaglie del Covid. Migliaia di persone non sarebbero morte. Affrontare la crisi climatica significa mettere in discussione il nostro sistema economico, e proprio grazie alla pandemia e agli ingenti fondi che sono stati mobilizzati per affrontarla possiamo scegliere di cambiare direzione”.