Andare verso chi soffre è una missione di fede

Interris.it ha intervistato Sandra Strazzer medico, nonché credente e consacrata, responsabile dell'area neurofisiatrica de La nostra famiglia

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Attività di ricerca (immagine La Nostra Famiglia)

Affrontare alcune patologie complicate, soprattutto in età pediatrica, è molto difficile – sia per i bambini che per le rispettive famiglie ma anche per i medici ed il personale sanitario che deve prestare le cure del caso e dare vita ad uno specifico percorso riabilitativo. Interris.it ha intervistato in merito a questo la Dott.ssa Sandra Strazzer, medico, nonché credente e consacrata, responsabile dell’area neurofisiatrica de La nostra famiglia di Bosisio Parini, nel Lecchese, che si occupa dei bambini che, a seguito di svariate patologie o traumi, hanno riportato una disabilità.

L’intervista

Quali patologie si curano presso La Nostra Famiglia?

“Ci occupiamo di tutto il mondo della disabilità infantile, a partire dalle patologie neurologiche le quali comprendono sia le malattie rare del sistema nervoso centrale e periferico, questo vuol dire malformazioni celebrali piuttosto che distrofie muscolari di Duchenne nonché altri tipi di distrofie. Oltre a ciò, ci occupiamo di bambini con problematiche congenite come le Paralisi Cerebrali Infantili, oppure con l’osteogenesi imperfetta la quale è una malattia particolare, chiamata anche patologia delle ossa di vetro. Poi ci occupiamo anche di bambini con esiti di lesioni acquisite, ossia traumi cranici, anossie ed encefalite; quindi, bambini che in precedenza erano sani ed, in seguito ad un evento, dopo la terapia intensiva, vengono ricoverati presso la nostra struttura. Vi sono anche bambini con esiti di tumore cerebrale, il quale è il tumore solido più presente in età pediatrica. Oltre a ciò, c’è il mondo della psicopatologia con l’autismo ed altre problematiche psichiatriche del bambino”.

Attività di riabilitazione (immagine La Nostra Famiglia)

Lei lavora sia con i bambini che con i genitori, com’è il rapporto con loro?

“Noi abbiamo lavorato da sempre per il bambino e la sua famiglia in quanto riteniamo che questo sia il cuore centrale del nostro operato, nel senso che riabilitare il bambino non è sufficiente se non si aiuta e si sostiene la famiglia ad accogliere lo stesso e dare vita ad un percorso di aiuto. Lavorare con i genitori, da un certo punto di vista, è molto faticoso perché – nel caso dei bambini piccoli a cui viene fatta una diagnosi genetica piuttosto che con i casi di cerebrolesione acquisita – il momento dell’accettazione è molto doloroso in cui la modalità di rispondere all’evento è molto diversificata e a volte molto faticosa. Quindi sostenere una famiglia magari arrabbiata oppure affaticata è sicuramente molto impegnativo, d’altra parte abbiamo anche esempi di famiglie estremamente resilienti che sono davvero molto capaci di intercettare il bisogno del proprio bambino. La realtà è molto diversificata ed il desiderio di porci nell’ambito del sostegno alla famiglia è molto forte tra i nostri operatori perché capiamo che quella è la modalità con la quale riusciamo a raggiungere in pieno il bambino anche se, non sempre e non per tutti, è facile da fare in quanto ci sono anche famiglie che impiegano molto tempo nella fase dell’accettazione”.

In che modo la fede entra in gioco nel suo lavoro e come la aiuta ad affrontare le problematiche quotidiane?

“La fede per me è sicuramente di fondamentale importanza, nel senso che considero il mio lavoro una missione nell’andare verso le persone povere in senso lato. Questo per me è sempre un’espressione della carità che nasce dalla fede, fare ciò e vivere in un ambiente in cui c’è anche molta sofferenza, rabbia e fatica mi torna indietro spesso con degli esempi inaspettati di santità da parte di genitori che sono davvero capaci di accogliere il proprio bambino così com’è. Il mio pensiero è che ciò il quale Gesù è venuto a dirci è che noi dobbiamo andare incontro a queste persone, soprattutto a quelle un po’ più disgraziate nel corpo e nella mente, per dare loro una mano e di nuovo una socialità”.

Quali auspici si pone in materia di inclusione delle persone con disabilità?

“Tutta la vicenda legata al Covid-19 ed al come siamo su questa Terra deve far riflettere. Mi piacerebbe che ci si focalizzasse maggiormente verso la dimensione dell’essere fratelli, persone, nonchè sul fatto che ognuno ha bisogno dell’altro. L’espressione di socialità in cui queste famiglie non vengano emarginate ma incluse e fatte sentire partecipi di una comunità penso che rappresenti l’aspetto più importante, in quanto è lì che si realizza lo stare bene. Quindi mi piacerebbe una società maggiormente inclusiva, capace di accorgersi che tutti noi – sia in ogni fase della vita che per eventi straordinari – abbiamo bisogno dell’altro”.