Il 9 maggio del 1978 l’Italia assisteva sgomenta all’uccisione – all’inizio si pensava fosse un atto terroristico suicidiario – del giornalista Peppino Impastato, e al ritrovamento del corpo senza vita di Aldo Moro. Un giorno che in qualche modo è diventato uno spartiacque tra passato e futuro. Ogni anno, in questa data, l’italia celebra il Giorno della memoria dedicato alle vittime del terrorismo interno e internazionale, e delle stragi di tale matrice, ricorrenza istituita con la legge 4 maggio 2007 n° 56.
Aldo Moro e Peppino Impastato
La morte dello statista della Dc e del giornalista siciliano, in qualche modo, ha unito il Nord e il Sud del nostro Paese. Seppur si tratta di due uomini con storie diverse, entrambi si sono distinti per la loro onestà, voglia di cambiamento e ricerca del dialogo per il bene comune.
L’intervista
Interris.it ne ha paralto con il professor Vincenzo Musacchio, criminologo, docente di strategie di lotta alla criminalità organizzata transnazionale, associato al Rutgers Institute on Anti-Corruption Studies (RIACS) di Newark (USA). Ricercatore indipendente e membro dell’Alta Scuola di Studi Strategici sulla Criminalità Organizzata del Royal United Services Institute di Londra.
Professore, come la morte di Aldo Moro e Peppino Impastato ha cambiato la storia del nostro Paese?
“Aldo Moro fu uno statista di lungo corso, guardava lontano soprattutto verso il consolidamento di quei diritti sociali a suo dire fondamentali in una democrazia solidaristico sociale com’è la nostra. Meraviglioso e denso di significato il suo pensiero politico racchiuso in una frase che dice tutto: ‘La stagione dei diritti sarà effimera, se non riscopriremo un nuovo senso del dovere’. Quel senso del dovere che da solo sarebbe stato ed è ancora oggi sufficiente a sconfiggere qualsiasi tipo di criminalità. Durante la grande crisi economica e sociale, con conseguente elevata disoccupazione, pose all’attenzione della maggioranza, ma anche dell’opposizione, la necessità di affrontare quell’emergenza, quella “democrazia in crisi”, facendo leva sulla solidarietà nazionale. Le sue ‘convergenze parallele’ erano il segno della sua sottile intelligenza finalizzata ad aprirsi alla collaborazione tra tutte le forze politiche proprio per rispondere efficacemente alla crisi di quell’epoca. Avremmo avuto un’Italia con cambiamenti nell’assetto politico, economico e sociale ma anche una crescita culturale e morale. Peppino Impastato non fu da meno perché anche lui aveva come obiettivo ultimo quello di ridare una dimensione democratica al nostro martoriato Paese. La sua Italia voleva che fosse non mafiosa perché la mafia per uno Stato significa assenza di democrazia. L’Italia avrebbe avuto un giornalista con l’arma più forte di tutte: l’informazione al servizio del popolo. ‘La mafia uccide, il silenzio pure’ è una delle frasi più rappresentative del suo pensiero con la quale denuncia le omertà e i silenzi non solo dei cittadini ma anche di pezzi di Stato infedeli ai valori della Repubblica italiana. Due grandi perdite per l’Italia di quel periodo storico”.
Cosa accomuna Moro e Impastato?
“Entrambi furono persone oneste e soprattutto coerenti fino alla fine con le loro idee. Aldo Moro fu l’emblema del dialogo e della ricerca dell’accordo tra le diverse parti politiche per il raggiungimento del bene comune. Peppino Impastato, invece, radicale e giustamente intransigente nella lotta alla mafia e allo Stato colluso con essa. Entrambi ligi al loro dovere, rispettosi della legge e del loro ruolo. Due grandi personalità che assieme tendono, non del tutto inconsapevolmente, a un unico scopo: l’unione, la solidarietà, il principio dell’insieme si vince! La lotta alle mafie e al terrorismo non deve avere bandiere tantomeno colori politici, loro due ne furono l’emblema da ricordare e cui fare riferimento indicandoli come esempi da seguire”.
Il 9 maggio è il Giorno della Memoria dedicato alle vittime del terrorismo. Quale importanza ha questa ricorrenza?
“Per me rappresenta il segno della solidarietà con le vittime che, ovviamente, non può fermarsi a un solo giorno. Sono vicino con le mie azioni e non solo col pensiero a chi ha servito le istituzioni e il popolo, non cedendo al ricatto e alla paura, a chi ha tenuto alta la dignità, divenendo così testimone della libertà di ciascuno di noi. Per me è importante far sentire la mia vicinanza ai familiari delle vittime di mafia e di terrorismo soprattutto ricordandole con un profondo di umanità e scuotendo la comune coscienza civile soprattutto dei più giovani affinché non perdano di vista le proprie radici e il senso della lotta per gli ideali in cui si crede”.
Mafia e terrorismo sono stati sconfitti?
“In alcune fasi della nostra storia li abbiamo sconfitti (penso al maxi processo di Palermo e alle leggi d’emergenza negli anni di piombo) ma credo che oggi siano ancora presenti, sia in Italia, sia all’estero. Le nuove mafie sono più potenti rispetto a quelle del passato e il terrorismo è diffuso in gran parte del mondo e si finanzia con la droga e spesso associandosi a organizzazioni criminali di stampo mafioso. La mafiosità invece di diminuire è aumentata relegando a un ruolo secondario il rispetto delle regole sociali. In una cultura di questo tipo lo sviluppo delle mafie e del terrorismo ha trovato terreno fertile favorendo le collusioni con il potere politico, economico e finanziario. Se continueremo su questo terreno, difficilmente sconfiggeremo questi due mali che ancora affliggono il mondo contemporaneo”.
Cosa dovrebbe fare lo Stato?
“Servono riforme efficaci per affrontare, ad esempio, le sfide della new economy e della nuova geopolitica mondiale. Ogni singolo Stato – direttamente o indirettamente interessato – dovrà riorganizzare tutte le istituzioni coinvolte nella lotta alle mafie e al terrorismo e si dovranno inevitabilmente rivedere le modalità di cooperazione, sia a livello bilaterale, sia in un contesto globale. Le mafie e lo stesso terrorismo si evolvono continuamente mentre gli Stati restano immobili, con burocrazie elefantiache, gerarchie spesso inutili e lente nel prendere decisioni contro organizzazioni criminali che al contrario sono molto agili, collegate in rete, flessibili e soprattutto in grado di rispondere rapidamente ai mutamenti economici, politici e sociali in atto. Con mafie e fenomeni di terrorismo evolute come le attuali, senza interventi in ambito europeo e internazionale sulle economie occulte e sui paradisi fiscali, a cominciare dalla rottura delle relazioni economiche e dagli embarghi finanziari non si va da nessuna parte poiché si combatte una ‘guerra’ persa in partenza”.