Ritrovare la libertà con «Am@netta»

Uno spicchio di libertà e indipendenza ritrovato grazie al progetto di Matteo Tosi, garante dei detenuti di Busto Arsizio

«Am@netta»

Avete presente quel senso di libertà che si prova andando in moto? Quando si corre e il vento accarezza il viso scompigliando i capelli? Ecco, quello. Si, proprio quella sensazione di leggerezza mista ad adrenalina che solo la moto sa dare, quando tra le curve ci si china verso la strada per non perdere l’equilibrio. Ora immaginate di trovarvi in un carcere e di non poter godere di quella libertà, ma di poterla solo lontanamente immaginare.

Da qui nasce «Am@netta» l’idea di Matteo Tosi, addetto stampa di professione, e già garante dei detenuti del comune di Busto Arsizio. L’obiettivo è quello di fare impresa nel carcere e di regalare ai detenuti, tramite un progetto di grafica e stampa, proprio quello spazio di libertà tanto agognato.

«Am@netta» l’impresa nel carcere

“Il progetto nasce nel 2018 all’interno del carcere di Novara e prende da subito il nome di «Am@netta». l brand anticipa la caratteristica particolare di questo laboratorio di stampa per magliette. Si trova all’interno del carcere di via Sforzesca ed è frutto del lavoro dall’associazione culturale Brughiera CàDaMat di Busto Arsizio” ha raccontato Matteo Tosi ad Interris.it.

“«Am@netta» è una startup di stampa artigiana su tessuto per magliette destinate a raduni di motociclisti: il logo delle manette è stato utilizzato come ruote, tachigrafo o occhialone dei bikers”.

Cosa significa fare una cosa “a manetta”?
“Vuol dire farla fino in fondo, e per noi era importante non fermarci alle parole, ma riuscire a coinvolgere concretamente qualcuno in cerca di una seconda occasione. É un impegno per gli uomini di buona volontà. Quando per la prima volta ho visto realizzarsi il sogno, con il primo contratto firmato da un dipendente ho provato un senso di serenità e mi son detto – Vedi che era giusto, vedi che si fa -. Ad agosto 2019 abbiamo assunto il primo ad oggi siamo a due dipendenti”.

Che aria si respira nel laboratorio?
“Per ora il rapporto è stato ottimo anche perché si da impegno a persone che durante la giornata non ha grandi alternative di impegno. Fosse anche solo per avere due ore di stacco dalla situazione di disagio nella quale si vive ed è bellissimo per loro. Purtroppo nelle carceri italiane non si respira una bellissima atmosfera. In quasi tutti gli istituti di detenzione c’è un esubero di presenze. La cosa più grave è lo stato di abbandono. Bisognerebbe usare meno carcerazione preventiva in cella perché in carcere c’è tanta gente che ancora non è sicuro sia colpevole”.

Cosa pensi si possa fare per migliorare la situazione?
“Basterebbe partire dalle piccole cose. Un esempio potrebbe essere quello di organizzare una serie di colloqui più umani dando un’ora di intimità anche da vivere in famiglia insieme a marito, moglie e bambino. Torni in cella con il magone ma almeno per un attimo sei stato il suo papà. Da padre soffro nel vedere sempre quelle scene strazianti di bambini che vorrebbero abbracciare i propri papà, che vorrebbero averli un po’ per sé. Bambini che vorrebbero essere più figli e non solo spettatori di questa triste realtà nella quale si ritrovano i propri genitori”.