Una scuola stonata senza note

E così adesso alle scuole elementari le maestre non potranno più dire ai bambini: “state buoni o vi metto una nota sul registro”. Non solo, niente più sospensioni disciplinari in virtù di un emendamento alla riforma che ha meritoriamente reintrodotto l’educazione civica. Come dire, un colpo al cerchio e uno alla botte. E invece un secolo e mezzo di scienze pedagogiche attestano che senza una possibile sanzione educativa è impossibile qualunque formazione. Eppure gli scolari delle elementari sono gli adulti di domani e ciascun ciclo di studi è strettamente connesso ai precedenti: scuola dell’infanzia, elementari, medie, superiori.

Responsabili

Basta rileggere le cronache delle quotidiane manifestazioni di aperta disobbedienza in classe, spesso violentemente avallata da genitori ugualmente immaturi. Al tempo stesso tutti gli studi scientifici dimostrano che oggi la soglia della preadolescenza, soprattutto per l’eccesso di sollecitazioni telematiche e la carenza di esempi virtuosi in famiglia, si è abbassata a circa otto anni. Negare qualsiasi consapevolezza ai minori che aggrediscono insegnanti e riprendono con i telefonini i propri atti vandalici e di bullismo non rende un buon servizio al bene comune dell’educazione. E' lo stesso vizio mentale che induce persino educatori a minimizzare le colpe individuali nelle baby gang attribuendo a non meglio precisati problemi sociali le cause scatenanti di crimini orrendi come l’uccisione di Antonio Stano, un pensionato disabile, indifeso ed emarginato di Manduria.

Studi allarmanti

Non indulgiamo certo nella retorica di una fantomatica gioventù “sdraiata”, ma non nascondiamo le difficoltà di quel patto intergenerazionale che Papa Francesco invocò a Strasburgo, quartier generale di “nonna Europa”. Qui si muovono rilievi per costruire non per demolire. E allora il quadro sotto i nostri occhi è innegabilmente questo: l’ultimo rapporto “Openpolis” incatena tra loro povertà economica e dispersione scolastica. In Italia ci sono 54 Comuni da allerta rossa, ossia con più del 15 % di dispersione. Una famiglia su dieci è in condizione di disagio economico, e su 8000 comuni italiani il 38% ha un elevato tasso di abbandono scolastico. Nel 90% dei casi a determinare l’abbandono del corso di studi non è la scelta del ragazzo ma la condizione economica della sua famiglia. In pratica la scuola non è per tutti. Chi nasce povero, diserta i banchi come se la scuola fosse un privilegio di casta. E nel vuoto formativo le dipendenze mietono nuovi schiavi. Secondo l’ultimo rapporto del ministero della Pubblica Istruzione, il 7% dei ragazzi tra i 13 e 18 anni è asservito a vecchie e nuove forme di dipendenza. Di questi il 49% non si stacca mai da videogames, cellulari e tv, mentre il 10% dei giovani che pratica sport fa uso di sostanze dopanti, e il 47% ignora quali danni per la salute provochi il doping.

Poche competenze

A questi dati si aggiungono i risultati del Rapporto “Sdgs 2019. Informazioni statistiche per l'Agenda 2030 in Italia”, diffuso dall'Istat. In Italia la quota di ragazzi iscritti al terzo anno delle scuole medie che non raggiungono la sufficienza nelle competenze alfabetiche è il 34,4%, in matematica del 40,1%. Campania (50,2% di low performer in lettura), Calabria (50%) e Sicilia (47,5%), sono le regioni nelle quali è più alto il numero di studenti con scarse competenze alfabetiche. Anche per le competenze numeriche degli studenti di III classe delle scuole secondarie di primo grado, queste regioni mantengono i livelli più alti di insufficienza, Campania e Calabria con il 60,3% dei ragazzi e Sicilia con il 56,6%. Rispetto ai maschi, una percentuale più elevata di ragazze si situa al di sotto della sufficienza nelle competenze matematiche (41,7%, contro il 38,5% dei maschi), mentre per la lettura la situazione si inverte: il 38,3% dei ragazzi non raggiunge la sufficienza nelle competenze alfabetiche, contro il 30,4% delle ragazze. Per quanto riguarda le superiori, il risultato a livello nazionale per tipo di istituto è molto differenziato, con il 17,7% dei liceali che non raggiungono la sufficienza nelle competenze alfabetiche e il 29,2% in quelle matematiche; tra coloro che frequentano gli istituti tecnici, sono insufficienti in lettura e in matematica rispettivamente il 39,6% e il 42,3%; tra i ragazzi degli istituti professionali, i risultati sono molto scoraggianti, con il 69,4% che non raggiunge la sufficienza in lettura e il 77,2% in competenze numeriche.

Scenario desolante

Insomma, uno spettro si aggira tra noi: l’emergenza educativa. Una crisi subdola e inarrestabile sta corrodendo le agenzie costitutivamente incaricate di formare i giovani: famiglia, scuola, Chiesa, società. Lo scenario è desolante: giovani svogliati, genitori disorientati e insegnanti demotivati, mentre i nuovi modelli educativi sono gli influencer e concorrenti di reality, secondo il paradigma manipolatorio del potere sotto-culturale della tv sui telespettatori e del web sugli internauti.

La tragedia

Ferite individuali e collettive che hanno in una delle pagine più orrende della storia italiana il loro emblema di sangue. E cioè: dieci anni fa otto ragazzi morirono sotto le macerie della Casa dello studente dell’Aquila. Come ha scolpito la Cassazione nelle quattro condanne inflitte a ingegneri e collaudatori, ad ucciderli furono l’avidità e l’irresponsabilità, non il terremoto che il 6 aprile 2009 devastò il capoluogo abruzzese. La palazzina riadattata a studentato era destinata a crollare sotto il sisma perché poggiata su un letto di cemento impastato con sabbia di mare e imbracato da un'anima di ferro che il sale di quella sabbia si è mangiato con il tempo, rendendolo sottile e fragile come un’ostia.

Forma e sostanza

Non potrebbe esserci immagine più emblematica e tragica del male scaricato sulle nuove generazioni dagli adulti. In altre parole, i danni li combiniamo noi (per sciatteria, incompetenza, immaturità e trascuratezza) e a farne le spese sono sempre i ragazzi. Per genitori, insegnanti, catechisti ed educatori in genere, la forma tende purtroppo a prevalere sul contenuto. Basta che i ragazzi siano ben nutriti, allenati, esteticamente inappuntabili, iper-alimentati, accuditi e indottrinati (o meglio, inzeppati di nozioni) per farci dire di aver svolto il nostro compito. Invece educare è molto di più che istruire.

Consumismo

I giovani, a immagine e somiglianza degli adulti, si stagliano come statue vuote nel museo del narcisismo di massa contemporaneo. Nella società del consumismo violentemente mistificatorio i ragazzi vengono trafficati per le loro virtù esteriori, messi in vetrina ed esposti persino al pubblico ludibrio per la loro innocente impreparazione. I “cattivi maestri” prima li illudono poi li mettono alla berlina come accade nei programmi più trash basati proprio sulle fragilità e sugli esibizionismi della giovinezza.

La crisi degli educatori

In un grottesco “effetto-zoo”, come in quei musei nei quali ammiriamo sculture maestose sopravvissute al trascorrere dei secoli a differenza dell’effimera caducità dei “giovani-statue” fabbricati da abili manipolatori di vite. Per la prima volta nella secolare storia della pedagogia, assistiamo inerti ad una crisi educativa al contrario. Oggi non sono i destinatari della formazione ad essere refrattari ad un corretto instradamento valoriale, bensì sono gli educatori ad avere derubricato il loro alto compito a un semplicistico trasferimento di conoscenze asettiche e di modelli comportamentali standard.

Istruiti in serie

In realtà, come dimostra la coraggiosa lezione dei “maestri di strada” del Mezzogiorno più disagiato, ogni ragazzo ha peculiari e specifiche esigenze formative. Non si possono trasmettere gli stessi paradigmi a differenti esperienze, come se fossero componenti meccaniche da installare su un elettrodomestico o un’automobile in catena di montaggio. Ogni giovane va ascoltato, compreso e accompagnato in base alle proprie necessità, aspirazioni e richieste di senso. A domande variegate e pluriformi, non possono corrispondere risposte uniformate e monodirezionali. Ciascuna vita che cresce è un mondo a sé. Massificare e standardizzare le proposte educative equivale a forzare dentro un'unica taglia di abito tutte le corporature. Non esiste la gioventù, esistono i giovani.

Le colpe della Chiesa

Parrocchie, movimenti e altre istituzioni cattoliche non possono sentirsi fuori dallo scomodo recinto delle colpe. L’emergenza educativa chiama in causa anche sacerdoti e consacrati. Da un lato l’impegno pastorale della Chiesa deve preoccuparsi del dialogo tra e con ogni uomo nella ricerca della verità, dall’altro deve sempre tendere verso la profondità interiore di una fede che si faccia carico evangelicamente dell’educazione dei “piccoli”. Chi educa in nome di Cristo deve sempre conservare un aspetto orizzontale e uno verticale dove entrambi parlano dell'uomo e di Dio. Un’autentica educazione cattolica vuole e dev’essere qualcosa di più e di diverso dal formalismo di un’istruzione di facciata, deve dedicarsi a quello che nella vita i giovani non hanno ancora scoperto, quello che con le loro forze i ragazzi non possono raggiungere ma che è il fondamento dell’esistenza umana e spirituale. La nostra missione è quella di testimoniare la bellezza della libertà interiore affinché i giovani non si vergognino di essere cattolici. Solo da Dio viene la vera rivoluzione, la rivoluzione dell’amore. Come tramanda il Magistero, i giovani cattolici sono un segnale, una cascata di luce, danno visibilità alla fede, alla presenza di Dio nel mondo e creano così il coraggio di essere credenti.

Tradizione da riscoprire

Le nuove generazioni attendono una proposta autorevole e un accompagnamento paterno. Solo una credibile evangelizzazione può combattere l’eclissi di Dio in Paesi di antica tradizione cristiana come il nostro. Solo risolvendo l’emergenza educativa si può avere fiducia e speranza nel futuro. Negli ultimi tempi, in Italia come nel resto dell’Occidente, si è pericolosamente allentato il rapporto tra famiglia, scuola e giovani.

La denuncia

A partire dal ’68 (come ha tuonato Benedetto XVI nel suo “cahier de doléances” sui mali della Chiesa e della società), le istituzioni formative hanno inesorabilmente perso rilievo e valore sociale. Lo scadimento dell’istruzione scolastica ne è la drammatica rappresentazione. In classe molti professori hanno ridotto la storia a cronologia degli accadimenti. Una fetta preoccupante della categoria degli insegnanti ha perso vigore, capacità e inventiva. L’effetto è l’impoverimento del linguaggio e il sapere frammentato dei ragazzi, sempre più ripiegati sui cellulari e con una soglia di attenzione ridotta ai minimi termini (7 minuti, secondo gli ultimi studi scientifici).

Rischi

Il rischio è quello di sfornare una generazione di persone disabituata a un ragionamento prolungato. I punti di riferimento, i veri “maestri” delle nuove leve dell’Italia globalizzata sono i maitre à penser televisivi in grado di pilotare a loro favore l’immensa potenza (dis)educativa di un certo mondo mediatico e dello spettacolo. Ecco chi meriterebbe oggi una brutta nota sul registro della vita.