Sovranismo: un rimedio ai mali della globalizzazione?

Bisogna risalire ai tempi segnati dal sangue che scendeva dalle ghigliottine per ricavare l’origine della dicotomia destra-sinistra. Era l’agosto 1789, in piena Rivoluzione francese, quando si costituì l’Assemblea costituente al cui interno vennero identificati due gruppi parlamentari in base alle posizioni occupate in aula. Questa contrapposizione ha caratterizzato gli ultimi due secoli abbondanti di storia, ma oggi – questa la tesi di Benjamin Harnwell (del Dignitatis Humanae Institute, che gestisce la Certosa di Trisulti per farne una fortezza del sovranismo) – sta per essere soppiantata definitivamente da un nuovo paradigma di contrapposizione politica. Non più destra contro sinistra, bensì Davide (l’uomo della strada) contro Golia (l'élite globalista). La prima vittoria nel mondo ottenuta con questo nuovo paradigma – che Harnwell definisce “il paradigma bannonista” attribuendolo al genio dello stratega Steve Bannon – sarebbe l’elezione di Donald Trump alle presidenziali statunitensi. E ora in tanti auspicano che l’Europa segua l’esempio americano, che il vento sovranista soffi anche sul Vecchio Continente. Lo auspicano molti dei presenti al seminario che si è tenuto nel pomeriggio in un hotel di Roma (proprio a due passi dall’ambasciata degli Stati Uniti) dall’eloquente titolo “Europa sovranista. Quale ruolo per i sovranisti e i conservatori alle europee?”.

La critica alla globalizzazione

Ad organizzarlo Nazione Futura, vivace e lucido laboratorio politico composto da giovani, capace in questo evento di radunare una summa di pensatori, giornalisti e l’ex primo ministro della Repubblica Ceca Václav Klaus, considerato un antesignano del pensiero euroscettico. Quattro i simposi che si sono alternati in sala. Nel primo hanno preso la parola – moderati dal giornalista de Il Tempo Pietro De Leo – il giornalista de Gli Occhi della Guerra Daniele Dell’Orco, autore del libro “Confini. Come cambia la sovranità”, l’analista geopolitico del Centro Studi Machiavelli Daniele Scalea, autore di “Immigrazione: le ragioni dei populisti”, il social media manager Tommaso Longobardi, autore di “Comunicazione politica nell’era digitale”, e Corrado Ocone della Fondazione Luigi Einaudi, autore di “Europa. L’unione che ha fallito”. La critica emersa nei confronti della globalizzazione è quella di aver creato un pensiero unico schiacciando le identità e portando a un’omologazione di cittadini senza patria e consumatori. Una crisi, prima ancora che economica, morale, a cui il sovranismo si propone di dare una risposta.

C'era una volta “l'orgia globalista”

Mario Giordano, direttore delle Strategie di Sviluppo di Mediaset, tra i protagonisti del secondo simposio (moderato da Alessandro Rico de La Verità), ha declinato nel concreto a cosa porta questa perdita di sovranità sull’altare della globalizzazione. Egli ha ammesso di essere rimasto affascinato da una sorta di “orgia globalista” che derivò dalla caduta del muro di Berlino. “Pensavamo di essere usciti dall’angoscia dei muri, di aver superato i problemi e le divisioni, ma è stato un inganno”, afferma. Lo testimonia il suo libro “L’Italia non è più italiana”, nel quale il giornalista snocciola una lunga serie di aziende del Belpaese che negli ultimi anni sono passate in mani straniere, spesso costringendo i lavoratori ad uscire dalla fabbrica senza poterci più rientrare. L’ex direttore del Tg4 confida oggi nel sovranismo quale “forma di protezione” rispetto a una globalizzazione che “mette a rischio le nostre radici”, distruggendo anche la cultura culinaria e il linguaggio: “In più secoli di contaminazione francese – la riflessione di Giordano – abbiamo introdotto circa mille parole, in settant’anni di contaminazione con l’inglese ne abbiamo introdotte quasi 5mila… è un’invasione linguistica”. Altri problemi che i sovranisti attribuiscono all’attuale sistema sono quelli legati all’immigrazione e alla mancanza di democrazia, di cui hanno parlato rispettivamente Benjamin Harnwell e la giornalista e sociologa Laura Tecce. Harnwell ha spiegato che secondo uno studio di qualche tempo fa del Pew Research Center circa 400milioni di persone dell’Africa sub-sahariana vorrebbero emigrare in Europa o Nord America, una cifra che evidentemente non è possibile accogliere. La Tecce, a proposito di Unione europea, ha ricordato come il potere decisionale spetti alla Commissione, un’istituzione non eletta, così come non eletti dal popolo sono i vertici dell’Onu, che tuttavia interferiscono nelle decisioni dei Paesi sovrani mandando osservatori quando ritengono ci sia un allarme razzismo per il solo fatto di voler difendere i propri confini.


Benjamin Harnwell, Laura Tecce, Alessandro Rico, Mario Giordano, Ferrante De Benedictis

Il Walt Kowalski europeo

Ma nel corso del dibattito c’è stato spazio anche per puntare l’indice nei confronti della moneta unica. Nel terzo simposio (moderato dal prof. Marco Gervasoni de Il Messaggero) è intervenuta la scrittrice Ilaria Bifarini, che si definisce “bocconiana redenta” e che ha espresso la sua critica al sistema nel libro “I coloni dell'austerity”. Per lei l’Euro è “il peggior impedimento alla nostra sovranità”, perché “non c’è sovranità senza sovranità monetaria”. Più incentrato sulla filosofia politica l’intervento del prof. Paolo Becchi, considerato in passato un riferimento del M5s e autore del libro “Italia Sovrana”. Per lui già nel ‘600 hanno iniziato a diffondersi un “sovranismo forte”, caratterizzato da “un centralismo giacobino”, e un “sovranismo debole” che “può sposarsi con una concezione federalistica dello Stato” e avalla “l’idea fondamentale che la sovranità, prima ancora che allo Stato, appartiene al popolo”. Il sovranismo odierno, per Becchi, ha l’opportunità di riaffermare questa seconda versione. Infine ha preso la parola la giornalista Maria Giovanna Maglie, per anni inviata Rai negli Stati Uniti, forse l’unica che aveva previsto la vittoria di Trump durante la campagna elettorale. Per la Maglie il segreto del successo dell’ex tycoon è aver saputo parlare al popolo aggirando il filtro dei media (quasi tutti schierati dalla parte dell’avversaria Hilary Clinton) attraverso un efficace uso di internet. Nel suo intervento la giornalista ha attinto ad Hollywood per spiegare “l’America che si ribella” all’establishment: ha ricordato che nel 2008, in piena epoca obamiana, è uscito il film “Gran Torino” di Clint Eastwood, “accolto con freddezza dall'intellighenzia progressista”, ma che ha saputo raccontare la delusione di un operaio (Walt Kowalski) che ha visto delocalizzare la fabbrica in cui lavorava e riempirsi il suo quartiere di delinquenti d’origine straniera. Oggi, l’America di Trump ha saputo dare una risposta all’insofferenza di quell’operaio di Gran Torino, facendo tornare a produrre in patria gli industriali che avevano delocalizzato e riducendo così la disoccupazione al 3% e, di conseguenza, la criminalità. Il Walt Kowalski europeo attende con trepidazione le elezioni di maggio per prendersi anche lui una rivincita contro l'establishment che lo ha impoverito e sradicato.


Ilaria Bifarini, Marco Gervasoni, Paolo Becchi, Maria Giovanna Maglie