Resa dei conti nel Pd. Renzi: “No alla palude per i diktat della minoranza”

Non c’è stato nessuno strappo, non ancora. Ma per il Pd l’ora della resa dei conti sembra essere arrivata. Prima le polemiche sul Job Act, con l’abbandono dell’Aula da parte dell’opposizione interna, poi il passaggio dell’emendamento che cancella i senatori di nomina presidenziale dalla riforma della Costituzione presentato dal deputato di minoranza Giuseppe Lauricella mentre Renzi era in Turchia. Infine le minacce di scissione da parte dei civatiani. Uno scenario da guerra civile cui il premier ha dovuto far fronte ieri, durante l’assemblea dem. La cartolina della giornata sono state le parole di Stefano Fassina che ha urlato al presidente del Consiglio “se vuoi andare al voto dillo”.

Renzi non ha ceduto di un millimetro: con lui al timone il Pd ha ottenuto risultati mai raggiunti prima. Un peso elettorale che il premier ha fatto falere durante il consesso, con toni duri. “Noi siamo quelli che cambiano l’Italia, non quelli che stanno a mugugnare” ha detto Renzi prima di affondare il colpo: “Il Pd non è un partito che va avanti a colpi di maggioranza ma sia chiaro che non starà fermo nella palude per i diktat della minoranza”. Chi non si riconosce nella linea della leadership, ha sottolineato il premier, non deve rispettare un “principio di obbedienza” ma di “lealtà”. Anche perché “chi vuole cambiare segretario o capo del Governo si metta l’anima in pace, perché questo non avverrà prima del 2017 e del 2018”.

Il tutto mentre in platea mancavano gli uomini storici della sinistra italiana: Massimo D’Alema e Pier Luigi Bersani. Forti gli interventi di Gianni Cuperlo e Alfredo D’Attorre. Poi ancora Fassina, scatenato, che ha ammonito il leader “Non ti permetto più di fare caricature di chi la pensa diversamente da te, è inaccettabile”. Per Renzi e per l’esecutivo, ancora una volta, i nemici si annidano nello stesso partito di maggioranza relativa. Un terreno minato su cui il presidente del Consiglio, per ora, non ha paura di avventurarsi.