Piazza Fontana, una strage senza giustizia

Misericordia

Ha spazzato via tutto il tritolo di Piazza Fontana. Quattordici vite sul momento, altre tre nei giorni a venire, ma anche le certezze di un'Italia sull'onda lunga del boom economico, in quella operosa Milano che osservava cadere, in un attimo, la medaglia di città simbolo della rinascita, dell'industria, dell'anima buona del Paese. E il buco sul pavimento del Banco dell'Agricoltura è anche quello delle coscienze di tutti, a chiederci ancora, dopo cinquant'anni, perché nessuno abbia mai davvero pagato per quella strage, anzi, per la “madre di tutte le stragi”, apogeo dell'autunno caldo del '69 o pietra angolare della strategia della tensione e degli Anni di piombo che sarebbero venuti. Chiuse il periodo di rilancio Piazza Fontana, inaugurando la stagione del sangue. L'eco del tritolo che dilania l'istituto bancario meneghino arriva fino a Roma, dove “l'Italia del 12 dicembre” fa i conti con altri tre attentati, senza vittime ma con 18 feriti. E' un segnale chiaro della sfida che l'eversione lancia allo Stato italiano, all'epoca a guida Dc, con il premier Mariano Rumor che, nelle ore successive alla strage, promette l'impegno del govenro per “scoprire e punire chi ha distrutto vite umane e ferito l’anima di tutti noi”. Senza sapere, in quel momento, che i processi sarebbero stati sette e i colpevoli, seppure sospettati, mai perseguiti dalla legge.

Una promessa mancata

Il Paese reagisce, e reagisce anche Milano, con il Banco dell'Agricoltura che riapre i battenti appena tre giorni dopo, quando la città si ferma, composta e dignitosa, per i funerali delle prime 14 vittime. Rumor e Pertini, che partecipano alle esequie in Duomo, sono a due passi sia da Piazza Fontana che dalla Galleria Vittorio Emanuele, che la sera del 12 dicembre fu evacuata alle sole vibrazioni dell'onda d'urto. Perché era vicina Piazza Fontana, con un edificio dilaniato e una classe dirigente costretta a prendere atto di come qualcosa stesse cambiando. Le ore che seguono il massacro sono frenetiche, la polizia ferma più di 80 persone, anche alcuni anarchici. Fra loro c'è Giuseppe Pinelli, interrogato in Questura per 72 ore, prima di morire in circostanze controverse e mai del tutto chiarite precipitando dalla finestra dell'ufficio del commissario Luigi Calabresi, assente in quel momento ma ritenuto responsabile dai gruppi di estrema sinistra, che lo uccisero nel 1972.

L'iter processuale sarà lungo, straziante, in buona parte responsabile di una ferita che, a distanza di cinquant'anni, resta ancora terribilmente dolorosa. Da Roma a Milano, fino a Catanzaro, fra testimonianze e depistaggi, eversori, servizi segreti e altri retaggi oscuri, Piazza Fontana resta senza una verità processuale, nonostante la storia abbia inquadrato nei neofascisti di Ordine nuovo gli ideatori di una strage i cui autori furono assolti, pur considerati moralmente responsabili. Una sconfitta dello Stato. E, ripensando alle parole di Rumor, anche una promessa non mantenuta.