“La soluzione non sono i ricollocamenti ma i corridoi umanitari”

Iricollocamenti non sono una soluzione”. Il ministro dell'Interno, Luciana Lamorgese, durante la conferenza stampa al Comitato nazionale per la Sicurezza pubblica che si è svolto oggi a Milano ha chiarito che “in una materia complessa come quella dell'immigrazione ci sono anche altre questioni importanti, come i corridoi umanitari” e che quello sottoscritto a Malta è “un pre-accordo per ora” e sarà importante raggiungere un numero di Stati coinvolti che permetta una diversa gestione del problema. “Come ho detto in sede parlamentare, i rimpatri forzati sono stati complessivamente 6.514 nel 2017, 6.820 nel 2018 e 5.261 nel 2019. I rimpatri volontari assistiti 869 nel 2017, 1.161 nel 2018 e 200 nel 2019”, ha precisato la titolare  del Viminale. Inoltre “un centro di detenzione in Libia è stato chiuso, perché c'erano delle condizioni disumane, e in un altro centro nel recente passato siamo riusciti a mandare le organizzazioni umanitarie. La dignità umana deve essere salvaguardata. Sui fondi che dice lei verificheremo ora”, ha specificato il ministro  rispondendo a una domanda su presunti fondi che dal Viminale sarebbero finiti ai “centri di detenzione” libici. “Penso che in che quei centri della Libia con le organizzazioni umanitarie che stanno dentro probabilmente la situazione è diversa da quella che ha visto – ha puntualizzato Lamorgese -. Sono abituata a parlare dopo che ho visto le carte”. Il pre-accordo sui migranti raggiunto nel corso del vertice a cinque tra Malta, Italia, Francia, Germania e Finlandia, e che sarà esaminato a Lussemburgo martedì 8 ottobre durante il Consiglio europeo degli Affari interni, “è un work in progress”, assicura il ministro: “Quella a Lussemburgo sarà una presentazione dell’accordo. Noi lo presenteremo e poi ogni Stato dovrà verificarlo, non è prevista una firma il giorno dopo. Raggiungeremo un risultato se si arriverà a un numero di Stati aderenti tale da garantire una gestione complessiva del fenomeno a livello europeo”.

Soluzione condivisa

Don Aldo Buonaiuto, sacerdote di frontiera della Comunità Papa Giovanni XXIII in prima linea nella soluzione di crisi legate ai flussi migratori, chiede ai governi Ue di estendere a livello europeo i corridoi umanitari. “Ad un problema globale non si possono dare risposte nazionali – dichiara don Buonaiuto -. Le parole del ministro dell’Interno come già in precedenza quelle del presidente del Consiglio Giuseppe Conte confermano la necessità di investire sui corridoi umanitari e di coordinarli a livello comunitario. Senza una gestione concertata dei flussi migratori non è possibile scongiurare l’Olocausto nel Mediterraneo di cui parla incessantemente Papa Francesco. L’unico modo per impedire che il canale di Sicilia si trasformi sempre più in una bara d’acqua è istituire corridoi umanitari sistematici e continuativi, che tolgano ai trafficanti di carne umana la loro fonte di crudele arricchimento”. L’Unione europea, Onu e governi di entrambe le sponde del Mediterraneo, aggiunge don Buonaiuto, “devono cooperare per lottare con ogni mezzo contro i trafficanti, bloccare alla partenza chi non ha i requisiti per ottenere asilo ma soprattutto soccorrere chi sta annegando”. La Chiesa è presente nei Paesi di origine, di transito e di destinazione, quindi ha esperienza e conoscenza perché si possa intensificare ogni forma di collaborazione con gli Stati che può fare fronte ad un numero di sbarchi tutto sommato limitato rispetto ad altre estati. “Purtroppo mentre nelle nazioni Europee si discute di accoglienza, nel mare si continua a morire. Il calcolo politico e l’indifferenza uccidono più delle onde del mare”, sottolinea il sacerdote. “Abbiamo chiesto di istituire una Giornata Internazionale de Migrante Ignoto proprio perché ad una questione sovranazionale non si può rispondere con misure nazionali e perché i nostri fratelli che scompaiono nel Mediterraneo hanno i nostri stessi diritti di vedersi riconosciute dignità e umanità – spiega -. E invece oggi il loro valore non viene riconosciuto nemmeno dopo la scomparsa e i loro familiari non hanno neppure una lapide su cui poter deporre un fiore. Ormai l’opinione pubblica è talmente assuefatta a queste tragedie che quasi non fanno più notizia, perciò o impariamo a riconoscerci in questi drammi infiniti oppure dovremo renderne conto a Dio e alla storia. L’Europa del rigore finanziario e del libero commercio se c’è batta un colpo”.

Mobilitazione in corso

Ieri era stata la segretaria generale della Cisl, Annamaria Furlan, a sottolineare che “salvare le vite umane viene prima di tutto, è un dovere universale”. Citando i dati del recente rapporto dell'Oim sui decessi dei migranti nel mondo che rilevano quasi 18.000 morti o dispersi nel Mediterraneo dal 2014 al 2018 (32 mila in tutte le rotte migratorie), la leader della Cisl definisce “assolutamente non più rinviabile un accordo tra i vari Paesi dell'Ue perché si attui una politica comune e condivisa sull'accoglienza affrontando, innanzitutto con l'Onu, le innegabili violazioni dei diritti umani perpetrate nei campi di detenzione libica e portando a sistema le buone pratiche dei corridoi umanitari”. Anche l'eurodeputato del Pd, Pietro Bartolo ha chiesto all’Ue di “istituire un servizio permanente, reale, di soccorso e salvataggio in mare e corridoi umanitari”. Così durante la presentazione a Bruxelles della mostra Mediterraneo in occasione dell'anniversario della tragedia di Lampedusa del 3 ottobre. E il presidente del Parlamento Europeo David Sassoli è intervenuto rivolgendosi ai governi europei: “È bello farsi le metro con i soldi dell’Ue ma deve essere altrettanto bello dare solidarietà ai Paesi che ne hanno bisogno, l'Europa non è un bancomat”. Di fronte a un fenomeno strutturale e globale come i flussi migratori, occorre incentivare le vie di ingresso regolare, come sono i corridoi umanitari, che hanno fatto giungere finora in Europa oltre 2.700 persone (di cui più di 2.000 in Italia), contrastando il racket dei trafficanti di persone e avviando immediatamente le persone accolte verso percorsi di integrazione e inclusione sociale. Secondo la comunità di Sant’Egidio, occorre porsi il problema di come aiutare, in modo efficace e organico, i giovani dei Paesi da cui prende origine l’emigrazione verso il Nord del mondo per dare loro un futuro che spesso viene negato.