La fabbrica che non volle chiudere

A giugno del 2018 la multinazionale Bekaert decide di chiudere lo stabilimento di Figline Valdarno (Firenze) mandando a casa i 318 lavoratori. Da quel momento “la Fabbrica” diventa l'epicentro di una vera e propria epopea popolare che vede al centro la lotta degli operai e la solidarietà dell'intera comunità. Sono ancora in cassa integrazione per cessazione di attività 211 lavoratori dei 318 iniziali. L'ammortizzatore scadrà il 31 dicembre prossimo e, in vista di quella data, la multinazionale belga ha già inviato le lettere di licenziamento.

Per non arrendersi

Andrea Becattini lavora nella fabbrica Bekaert da 28 anni. Ha 50 anni ed è un operaio da più di metà della sua vita. È uno dei 318 dipendenti coinvolti nel licenziamento di massa della fabbrica, che ha chiuso i battenti per spostare la produzione in Romania e Slovacchia. Si tratta, osserva il Fatto Quotidiano, dell’ennesima chiusura di un’impresa che avviene per delocalizzare all’estero la sua produzione. “Lo stabilimento è un’eccellenza italiana, produce steelcord, cordicelle metalliche per tenere insieme i pneumatici dagli anni ’60 – sottolinea il quotidiano diretto da Marco Travaglio -. Ma i dipendenti non vogliono arrendersi. Lo scorso anno, dopo giorni di sciopero con assemblea permanente, i lavoratori hanno ripreso la produzione”. La fabbrica resta il cuore del paese. I sindacati e i lavoratori non si arrendono.

Per lasciare una traccia

Ora la vertenza Bekaert diventa un romanzo corale. Si intitola “La fabbrica che non volle chiudere” ed è firmato dal giornalista Domenico Guarino e dal sindacalista fiorentino della Fiom Daniele Calosi per le Edizioni Clichy, dal 19 novembre in libreria.  Maurizio Landini nella prefazione del libro afferma: “In un momento in cui la nostra storia, la storia delle lotte sociali e delle conquiste sindacali, tende a essere emarginata, a non fare più parte della cultura e del sentire profondo del Paese, è importante che la nostra organizzazione, il sindacato, si dedichi a lasciarne traccia”.

In prima persona

“La fabbrica che non volle chiudere” è il racconto di questa straordinaria storia di militanza, dignità ed impegno civile, come lo definiscono gli autori. Un romanzo che attraverso la cronaca e le riflessioni dei protagonisti, dà voce ai sentimenti, alle paure, alle speranze, ai pensieri di chi quella vicenda ha vissuto in prima persona. “Una vicenda da ascoltare più che da leggere – dichiara all’Adnkronos Daniele Calosi, segretario Fiom di Firenze – che mette in luce l'assenza di una politica industriale per il Paese, di una classe imprenditoriale degna di questo nome e soprattutto l'assenza di protezione sociale dei lavoratori che, abbandonati al loro destino, provano persino a costruirsi da soli una soluzione” . Il libro si avvale della prefazione del segretario generale della Cgil, Maurizio Landini, e della postfazione della segretaria della Fiom nazionale, Francesca Re David.  

Meccanismi global

Scrive nell'introduzione Domenico Guarino: “Quel che appariva, con forza, sullo sfondo del racconto giornalistico era che con la Bekaert, insieme con i lavoratori della fabbrica, si era mossa un'intera comunità, la quale aveva assunto quella vicenda come simbolo di una Resistenza contemporanea ai meccanismi perversi della globalizzazione. Mi convinsi allora che la chiave fosse in questo, nel restituire cioè quel senso di pluralità ed insieme di drammaticità (nel significato più propriamente teatrale del termine) quasi epica che quella vicenda emanava. Questo libro è appunto il tentativo di dare forma concreta a questa intuizione”.

Gli ultimi sviluppi

Sono due i piani industriali pervenuti al tavolo del ministero dello Sviluppo economico per lo stabilimento fiorentino ex Bekaert: uno da parte di Trafilerie Meridionali, azienda di Chieti interessata ad attingere al know-how dei lavoratori, orientata alla produzione di filo tubo e altri trafilati in acciaio, l'altro è quello della cooperativa di lavoratori che oltre al filo tubi erogherebbe servizi di manutenzione industriale.  Per la Bekaert di Figline Valdarno “due ipotesi di reindustrializzazione ce l'abbiamo, però serve tempo per formalizzarle ed analizzarle”, e dunque “è necessario prorogare di alcuni mesi la cassa integrazione straordinaria per cessazione che scade alla fine dell'anno”, sostiene Enrico Rossi, presidente della Regione Toscana, che ha partecipato al tavolo sulla vertenza al ministero per lo Sviluppo economico. La sottosegretaria Alessandra Todde si è detta “disponibile a portare al ministero del Lavoro la richiesta di proroga della cassa integrazione, e a riconvocare il tavolo entro novembre”, con l'obiettivo di “concludere con la reindustrializzazione dell'area entro i primi quattro mesi del prossimo anno”. Per la reindustrializzazione della fabbrica, obiettivo dei piani industriali di Trafilerie Meridionali e della coop dei lavoratori, “potrebbe essere possibile anche che le due proposte stiano insieme. Serve tempo, ma intanto incassiamo la disponibilità dell'azienda a concedere che a Figline si produca anche lo steel cord”, secondo Rossi.

Cavo d’acciaio

“Non ci riteniamo soddisfatti dell'incontro”, spiega Daniele Calosi, segretario Generale della Fiom Cgil di Firenze che aggiunge: “A due mesi dalla scadenza della cassa integrazione per i 211 lavoratori, ci troviamo davanti a due sole proposte, di cui una frutto di un'iniziativa di alcuni lavoratori. Entro la fine dell’anno, in soli due mesi, non siamo in grado di valutare la solidità del progetto di Trafilerie Meridionali e del suo partner, peraltro sconosciuto. Ad oggi non è stato neanche ipotizzato il numero di lavoratori che potranno essere ricollocati”. Quindi “accogliamo con favore l'apertura di Bekaert alla produzione dello steel cord (cavo d’acciao) che dà maggior certezza occupazionale a tutti i lavoratori rispetto alla sola produzione di filo tubo finora consentita dall'accordo, resta però per noi inaccettabile trovarsi di nuovo nella condizione di dover fare una trattativa con il conto alla rovescia dei licenziamenti, per questo abbiamo chiesto alla multinazionale il ritiro della procedura di licenziamento“.

Jobs Act

Francesca Re David afferma: “Il piano industriale, per quello che ci è stato presentato oggi al Mise, risulta insufficiente”. Dichiara: “il Governo deve rifinanziare la cassa integrazione in scadenza il 31 dicembre 2019 per le lavoratrici e i lavoratori della Bekaert e l’azienda deve ritirare i 211 licenziamenti. In questa fase di crisi economica e di transizione ecologica occorre riformare gli ammortizzatori sociali“. E, precisa, “la vertenza della Bekaert ha avuto il merito di aver riconquistato la cassa integrazione per cessazione, cancellata dal Jobs Act, ma è stata finanziata solo per un anno e quindi va rifinanziata finché non sarà avviato un vero piano di reindustrializzazione, in ogni caso qualunque sia la situazione ci devono essere pari diritti e salari per tutti i lavoratori”.