La Consulta:
“Non esiste una prostituzione libera”

La scelta di “vendere sesso” è quasi sempre determinata da fattori che limitano e condizionano la libertà personale, anche nell'attuale momento storico e al di là dei casi di “prostituzione forzata“. Lo afferma la Consulta nella motivazione della sentenza con cui ha rigettato la questione di legittimità costituzionale sollevata sulle norme della legge Merlin riguardanti favoreggiamento della prostituzione. 

Il caso

A rimettere il caso ai giudici costituzionali era stata la Corte d'appello di Bari, chiamata a decidere su Giampaolo Tarantini e Massimiliano Verdoscia nel processo di secondo grado sul caso delle escort che sarebbero state presentate tra il 2008 e il 2009 all'allora premier Silvio Berlusconi.

Diritti violati

Nella sentenza n.141 depositata oggi la Consulta ha spiegato che le incriminazioni puntano a tutelare i diritti fondamentali delle persone vulnerabili e la dignità umana. Questa tutela si fa carico dei pericoli insiti nel meretricio, anche quando la scelta, in un primo momento, sembra libera. Si fa riferimento, nello specifico, all'ingresso in un circuito dal quale sarà difficile uscire volontariamente e ai rischi per l'integrità fisica e la salute cui ci si espone nel momento in cui ci si trova a contatto con il cliente. Il legislatore quindi, nel suo ruolo di interprete del sentire comune in un determinato momento storico, ha ravvisato nella prostituzione un'attività che degrada e svilisce la persona.

Il quesito

Nell'ordinanza di rimessione i giudici di Bari si erano chiesti se nell'attuale realtà sociale, diversa da quella in cui la legge Merlin entrò a far parte dell'ordinamento, non esista una forma di prostituzione (quella delle “escort”) espressione libertà di autodeterminazione sessuale garantita dall'articolo 2 della Costituzione, che verrebbe lesa dalla punibilità di terzi che si limitino a mettere in contatto la “escort” con i clienti (reclutamento) o ad agevolare la sua attività (favoreggiamento).

Articolo 2

Ma secondo il giudice delle leggi l'articolo 2 della Costituzione, nel riconoscere e garantire i “diritti inviolabili dell'uomo”, si pone in stretta connessione con il successivo articolo 3, secondo comma, che, al fine di rendere effettivi questi diritti, impegna la Repubblica a rimuovere gli ostacoli economici e sociali al “pieno sviluppo della persona umana”. I diritti di libertà vengono, dunque, riconosciuti dalla Carta in relazione alla tutela e allo sviluppo del valore della persona, e di una persona inserita in relazioni sociali. La prostituzione, tuttavia, non rappresenta affatto uno strumento di tutela e di sviluppo della persona umana, ma solo una particolare forma di attività economica. In questo caso, infatti, la sessualità non è che una “prestazione di servizio” per conseguire un profitto.

Soggetto debole

Nel ragionamento della Corte, obiettare che un diritto fondamentale resta tale anche se esercitato dietro corrispettivo significa, sostanzialmente, trasformare in diritto involabile – nella misura in cui richiede l'esercizio di libertà costituzionalmente garantite – qualunque attività imprenditoriale o di lavoro autonomo, se collegata a una libertà costituzionalmente garantita. Né, secondo la Consulta, viene violata la libertà di iniziativa economica privata per il fatto di impedire la collaborazione di terzi all'esercizio della prostituzione in modo organizzato o imprenditoriale. Tale libertà è infatti protetta dall'articolo 41 della Costituzione solo in quanto non comprometta valori preminenti, quali la sicurezza, la libertà e la dignità umana. Le disposizioni incriminatrici contenute nella legge Merlin si connettono a questi valori. Il fatto che il legislatore individui nella persona che si prostituisce il soggetto debole del rapporto spiega, inoltre, la scelta di non punirla, a differenza di quanto avviene per i terzi che si intromettono nella sua attività.