La Chiesa e la guerra, tra diplomazia e fronte

Cento anni per ricordarne quattro, violenti e sanguinosi, forse come mai si era visto prima nella storia dell'uomo. Lo spartiacque della Prima guerra mondiale, che segnò l'inevitabile fine del XIX secolo con un bagno di sangue, non a caso è ricordata come “l'inutile strage”, un appellativo coniato da Papa Benedetto XV che, sotto il suo pontificato, fu costretto a fare i conti con gli effetti devastanti del conflitto, barcamenandosi fra la necessità di fare della Chiesa un supporto spirituale costante e presente sui campi di battaglia e quello di appellarsi alle forze in campo affinché si riuscisse a raggiungere, se non una pace, perlomeno una tregua basata sul dialogo. La storia ha dimostrato che tali appelli restarono inascoltati, con la fede che rimase comunque l'unica fonte di speranza nei contingenti stipati in trincea o negli avamposti al fronte. Non è un caso che, in occasione del centesimo anniversario dalla cessazione definitiva delle ostilità con l'armistizio di Compiègne, la Conferenza delle Chiese europee (Kek) abbia deciso di ricordare “la devastazione, la tragedia e l’inutilità della Prima guerra mondiale” ma anche come le due guerre che sconvolsero l'Europa all'inizio del secolo scorso abbiano costituito “inizio di un momento importante per il movimento ecumenico”. Un impegno comune per “accogliere, aiutare e sostenere il reinsediamento dei rifugiati, costruire ponti e impegnarsi con determinazione per la pace e la riconciliazione”, ricordando come anche la Conferenza sia parte “di questa eredità… mettendo insieme i leader delle chiese dell’Est e dell’Ovest, impegnati a costruire un’Europa di pace”.

L'inutile strage

Come accadde all'indomani della caduta dell'Impero romano d'Occidente, negli anni bui del conflitto la Chiesa si pose vicino a quella che, nelle statistiche di guerra, viene indicata come “popolazione civile”. La Guerra mondiale fu la prima, nell'era moderna, a trasferire i suoi effetti immediati anche lontano dai campi di battaglia, costringendo la popolazione europea a vivere il pericolo in prima linea, quasi come se tutto il territorio occupato dal Vecchio continente fosse un unico grande fronte. Papa Benedetto XV, salito al soglio pontificio come successore di San Pio X, si trovò catapultato di fronte a quello che, come riportato da molte fonti, il suo predecessore aveva anticipato profeticamente come “il guerrone”, salendo sul soglio di Pietro proprio il 3 settembre 1914, quando le ostilità non erano iniziate che da poche settimane. L'insistente azione mediatrice del Santo Padre fu in gran parte inascoltata, con le potenze inebriate da un conflitto che, di fatto, aveva chiamato le forze in campo alla resa dei conti dopo un secolo abbondante di espansionismi e primavere dei popoli. Appelli che, fin dal principio avversati, risultarono ancor più vani nel maggio del 1915, quando l'Italia scelse la via delle armi dopo un anno e più di neutralità: “La guerra continua ad insanguinare l’Europa – confidò il Pontefice in una missiva al Cardinale Serafino Vannutelli, Decano del Sacro Collegio – e neppur si rifugge in terra ed in mare da mezzi di offesa contrari alle leggi dell’umanità ed al diritto internazionale. E quasi ciò non bastasse, il terribile incendio si è esteso anche alla Nostra diletta Italia, facendo purtroppo temere anche per essa quella sequela di lagrime e disastri che suole accompagnare ogni guerra”.

Il ruolo dei cappellani

Nel frattempo la Chiesa agisce: mentre il Santo Padre tenta la via della mediazione facendo appello a governi e capi di Stato scegliendo la via della neutralità per la Chiesa Cattolica, il 12 aprile del 1915, con il Regno d'Italia ormai in fase di pressione sul tasto interventista, era già arrivata la circolare del generale Luigi Cadorna, con la quale reintrodusse i cappellani militari al fianco dei contingenti trasferiti al fronte e a cui fece seguito, due mesi dopo, la nomina del primo Vescovo di campo, Angelo Bartolomasi, da parte della Congregazione dei Vescovi. Nell'attesa dell'offensiva nemica, o prima di una “spallata” alla postazione avversaria sotto il fuoco dell'artiglieria, la fede diviene così una delle poche forze in grado di far presa nei cuori dei ragazzi impegnati al fronte, il linguaggio che accomuna quasi ognuno di loro. Il conforto della Parola di Dio, assieme a una lettera scritta alla propria famiglia, costituiscono i gesti essenziali che consentono ai giovani soldati di resistere all'orrore. Ma, al fianco del ruolo spirituale giocato dalla Chiesa sui campi di battaglia, l'azione mediatrice rimase perennemente inascoltata forse vittima, da un punto di vista interno, del complesso rapporto fra autorità ecclesiastica e Regno d'Italia che, addirittura, portò lo stesso a escludere la partecipazione di una delegazione della Santa Sede al Congresso dei vincitori di Versailles.

Il tentativo supremo

L'estremo tentativo di far cessare le ostilità attraverso uno sforzo diplomatico arriva l'1 agosto 1917: Papa Benedetto scrive di suo pugno alle nazioni in conflitto, auspica “un giusto accordo di tutti nella diminuzione simultanea e reciproca degli armamenti secondo norme e garanzie da stabilire, nella misura necessaria e sufficiente al mantenimento dell'ordine pubblico nei singoli Stati; e, in sostituzione delle armi, l'istituto dell'arbitrato con la sua alta funzione pacificatrice, secondo e norme da concertare e la sanzione da convenire contro lo Stato che ricusasse o di sottoporre le questioni internazionali all'arbitro o di accettarne la decisione”. I toni della lettera, nella quale il Pontefice nominava i rispettivi Paesi elencandone le rispettive condizioni politico-militari di quel momento, ha l'effetto di creare risentimento fra le Nazioni: in Francia lo si accusa di pangermanesimo (visto anche il favore della Germania – allo stremo – a un'intesa che vedesse nel Papa il garante), Italia e Stati Uniti ne accolgono i contenuti in modo distaccato anche se, nemmeno due anni dopo, lo stesso presidente Wilson avrebbe tratto ispirazione da quelle righe per stilare alcuni dei suoi 14 punti.

Nonostante la caduta nel vuoto degli appelli ai belligeranti, l'azione di Benedetto XV trarrà effetti a lungo termine nelle relazioni fra cattolici e Regno d'Italia, tracce di un percorso che avrebbe portato, alcuni anni dopo, alla costituzione del Partito popolare di don Luigi Sturzo. Eppure, il dilemma causato dal passaggio dalla neutralità all'interventismo preponderante in un Paese cattolico come l'Italia resterà un enigma insoluto, così come l'inutilità, almeno sul piano pratico, degli sforzi ecclesiali a un dialogo fra le forze in campo.