“In soccorso delle vittime della tratta contro la globalizzazione dell’indifferenza”

invisibili

La presenza dei migranti e dei rifugiati, come, in generale, delle persone vulnerabili,  rappresenta oggi un invito a recuperare alcune dimensioni essenziali della nostra esistenza cristiana e della nostra umanità, che rischiano di assopirsi in un tenore di vita ricco di comodità”, avverte il Papa. Domenica 29 settembre in piazza San Pietro alle 10 e 30, Papa Francesco presiederà la messa in occasione della Giornata Mondiale del Migrante e del Rifugiato.

Squilibri economici e sociali

Nel messaggio per la 105° edizione dell’evento ecclesiale, il Pontefice ricorda che “la fede ci assicura che il Regno di Dio è già presente sulla terra in modo misterioso”, tuttavia “anche ai nostri giorni dobbiamo con dolore constatare che esso incontra ostacoli e forze contrarie”. Infatti “conflitti violenti e vere e proprie guerre non cessano di lacerare l’umanità, ingiustizie e discriminazioni si susseguono, si stenta a superare gli squilibri economici e sociali, su scala locale o globale e a fare le spese di tutto questo sono soprattutto i più poveri e svantaggiati”. Ecco perché, puntualizza il Pontefice, “non si tratta solo di migranti, vale a dire: interessandoci di loro ci interessiamo anche di noi, di tutti; prendendoci cura di loro, cresciamo tutti; ascoltando loro, diamo voce anche a quella parte di noi che forse teniamo nascosta perché oggi non è ben vista”.

Le vittime della tratta

Le società economicamente più avanzate, nell’analisi di Jorge Mario Bergoglio, “sviluppano al proprio interno la tendenza a un accentuato individualismo che, unito alla mentalità utilitaristica e moltiplicato dalla rete mediatica, produce la globalizzazione dell’indifferenza”. In questo scenario, i migranti, i rifugiati, gli sfollati e le vittime della tratta sono diventati emblema dell’esclusione perché, oltre “ai disagi che la loro condizione di per sé comporta, sono spesso caricati di un giudizio negativo che li considera come causa dei mali sociali”. L’atteggiamento nei loro confronti rappresenta un campanello di allarme che” avvisa del declino morale a cui si va incontro se si continua a concedere terreno alla cultura dello scarto”. Infatti, su questa via, “ogni soggetto che non rientra nei canoni del benessere fisico, psichico e sociale diventa a rischio di emarginazione e di esclusione”, avverte Francesco. E appunto “non si tratta solo di migranti: si tratta anche delle nostre paure”, mentre “le cattiverie e le brutture del nostro tempo accrescono il nostro timore verso gli “altri”, gli sconosciuti, gli emarginati, i forestieri”.  E questo si nota particolarmente oggi, “di fronte all’arrivo di migranti e rifugiati che bussano alla nostra porta in cerca di protezione, di sicurezza e di un futuro migliore”.

Timori legittimi

“La paura ci priva del desiderio e della capacità di incontrare l’altro, la persona diversa da me; mi priva di un’occasione di incontro col Signore – sostiene il Pontefice-. E’ vero: il timore è legittimo anche perché manca la preparazione a questo incontro”. Il problema non è il fatto di avere dubbi e timori. Il problema è quando “questi condizionano il nostro modo di pensare e di agire al punto da renderci intolleranti, chiusi, forse, anche senza accorgercene, razzisti. E così la paura ci priva del desiderio e della capacità di incontrare l’altro, la persona diversa da me. Mi priva di un’occasione di incontro col Signore”.

Lasciarsi smuovere

Si tratta della carità. “Attraverso le opere di carità dimostriamo la nostra fede – afferma Francesco-. E la carità più alta è quella che si esercita verso chi non è in grado di ricambiare e forse nemmeno di ringraziare. Ciò che è in gioco è il volto che vogliamo darci come società e il valore di ogni vita. Il progresso dei nostri popoli dipende soprattutto dalla capacità di lasciarsi smuovere e commuovere da chi bussa alla porta e col suo sguardo scredita ed esautora tutti i falsi idoli che ipotecano e schiavizzano la vita. Idoli che promettono una felicità illusoria ed effimera, costruita al margine della realtà e della sofferenza degli altri”. Avere compassione significa riconoscere la sofferenza dell’altro e passare subito all’azione per lenire, curare e salvare. E dare spazio alla tenerezza, che invece la società odierna tante volte “ci chiede di reprimere”. Secondo il Pontefice aprirsi agli altri non impoverisce, ma arricchisce, perché aiuta ad essere più umani: a riconoscersi parte attiva di un insieme più grande e a interpretare la vita come un dono per gli altri; a vedere come traguardo non i propri interessi, ma il bene dell’umanità.

Risorse e mercati privilegiati

Si tratta di non escludere nessuno. “Il mondo odierno è ogni giorno più elitista e crudele con gli esclusi – puntualizza il Pontefice-. I Paesi in via di sviluppo continuano ad essere depauperati delle loro migliori risorse naturali e umane a beneficio di pochi mercati privilegiati. Le guerre interessano solo alcune regioni del mondo, ma le armi per farle vengono prodotte e vendute in altre regioni, le quali poi non vogliono farsi carico dei rifugiati prodotti da tali conflitti”. Chi ne fa le spese sono sempre “i piccoli, i poveri, i più vulnerabili, ai quali si impedisce di sedersi a tavola e si lasciano le “briciole” del banchetto”. La Chiesa “in uscita” sa prendere l’iniziativa senza paura, andare incontro, cercare i lontani e arrivare agli incroci delle strade per invitare gli esclusi. “Lo sviluppo esclusivista rende i ricchi più ricchi e i poveri più poveri – specifica Francesco-.Lo sviluppo vero è quello che si propone di includere tutti gli uomini e le donne del mondo, promuovendo la loro crescita integrale, e si preoccupa anche delle generazioni future”. Occorre “mettere gli ultimi al primo posto”.

Mai più prevaricazione

Il Pontefice ricorda che “Gesù Cristo ci chiede di non cedere alla logica del mondo, che giustifica la prevaricazione sugli altri per il mio tornaconto personale o quello del mio gruppo: prima io e poi gli altri”.  Invece il vero motto del cristiano è “prima gli ultimi”. Uno spirito individualista è terreno fertile per il maturare di quel senso di indifferenza verso il prossimo, che porta a trattarlo come mero oggetto di compravendita, che spinge a disinteressarsi dell’umanità degli altri e finisce per rendere le persone pavide e ciniche. “Non sono forse questi i sentimenti che spesso abbiamo di fronte ai poveri, agli emarginati, agli ultimi della società?- si chiede Jorge Mario Bergoglio-. E quanti ultimi abbiamo nelle nostre società! Tra questi, penso soprattutto ai migranti, con il loro carico di difficoltà e sofferenze, che affrontano ogni giorno nella ricerca, talvolta disperata, di un luogo ove vivere in pace e con dignità. Nella logica del Vangelo gli ultimi vengono prima, e noi dobbiamo metterci a loro servizio”. In ogni attività politica, in ogni programma, in ogni azione pastorale “dobbiamo sempre mettere al centro la persona, nelle sue molteplici dimensioni, compresa quella spirituale”. E questo vale per tutte le persone, alle quali “va riconosciuta la fondamentale uguaglianza”. Infatti, come chiarito da Paolo VI nella Populorum progressio, “lo sviluppo non si riduce alla semplice crescita economica. Per essere autentico sviluppo, deve essere integrale, il che vuol dire volto alla promozione di ogni uomo e di tutto l’uomo”.

Vite innocenti

“In questa nostra epoca, chiamata anche l’era delle migrazioni, sono molte le persone innocenti che cadono vittime del “grande inganno” dello sviluppo tecnologico e consumistico senza limiti- chiarisce Francesco-. E così si mettono in viaggio verso un “paradiso” che inesorabilmente tradisce le loro aspettative. La loro presenza, a volte scomoda, contribuisce a sfatare i miti di un progresso riservato a pochi, ma costruito sullo sfruttamento di molti”. Secondo Francesco la sfida posta dalle migrazioni contemporanee si può riassumere in quattro verbi: accogliere, proteggere, promuovere e integrare. “Ma questi verbi non valgono solo per i migranti e i rifugiati – spiega Francesco-. Essi esprimono la missione della Chiesa verso tutti gli abitanti delle periferie esistenziali, che devono essere accolti, protetti, promossi e integrati. Se mettiamo in pratica questi verbi, contribuiamo a costruire la città di Dio e dell’uomo, promuoviamo lo sviluppo umano integrale di tutte le persone e aiutiamo anche la comunità mondiale ad avvicinarsi agli obiettivi di sviluppo sostenibile che si è data e che, altrimenti, saranno difficilmente raggiunti”.

La conversione necessaria

I migranti, e specialmente quelli più vulnerabili, ci aiutano a leggere i “segni dei tempi”. Attraverso di loro “il Signore ci chiama a una conversione, a liberarci dagli esclusivismi, dall’indifferenza e dalla cultura dello scarto e ci invita a riappropriarci della nostra vita cristiana nella sua interezza e a contribuire, ciascuno secondo la propria vocazione, alla costruzione di un mondo sempre più rispondente al progetto di Dio”. È questo l’auspicio del Pontefice  per “tutti i migranti e i rifugiati del mondo e su coloro che si fanno loro compagni di viaggio”.