Il treno lento del turismo italiano

Il turismo punta di diamante per l'Italia? A parole sì, meno nei fatti. È indubbio che il Belpaese sia considerato la meta turistica più ambita dai turisti stranieri, ma la realtà è che il comparto fatica a trovare un posto d'onore, decantato solo a parole. Non basta propinare dati rassicuranti, in taluni casi inesatti, come le dichiarazioni rilasciate dal fondatore di Eataly, Oscar Farinetti, in una trasmissione televisiva, poi smentite dal fact-checking del quotidiano d'informazione economica LaVoce.info. Né sono sufficienti le dichiarazioni degli esponenti politici, da Matteo Salvini a Luigi Di Maio, per acquisire una consapevolezza che s'innervi alle imprese sul territorio. D'altra parte, nonostante la mancanza di una “regia” per l'intero settore, il turismo resta un motore trainante per l'economia. Secondo i dati del dossier Imprese e valore artigiano in Piemonte, presentato qualche giorno fa da Confartigianato Piemonte, le piccole e medie imprese artigiane della regione che risentono positivamente dell'influsso turistico sono oltre 14.000. Con 15 milioni di presenze, il Piemonte è all'undicesima posizione. La medaglia d'oro spetta al Veneto, che quest'anno ha registrato oltre 69 milioni di presenze, con un netto aumento dei posti di lavoro stagionali. Al sud, vince la Puglia, dove Pugliapromozione ha registrato quasi 2 milioni di visitatori, in netta prevalenza stranieri: dati analoghi a quelli stilati dall'Osservatorio regionale del Turismo, che confermano un aumento del +43% di presenza straniera nel periodo compreso fra 2015 e 2018. Numeri confortanti, che si scontrano con i limiti del settore. Come scrive Lorenzo Borga sul quotidiano Il Foglio, “Il grande limite del settore turistico è infatti la scarsa produttività” con irrisori investimenti nell'innovazione. Questo rende il turismo italiano poco competitivo, con imprese collaterali talvolta molto piccole e lavoratori con bassa qualifica (i laureati rappresentano il 10% degli addetti turistici) o poco incentivati dalle condizioni contrattuali (solo 1 lavoratore su 2 ha un contratto a tempo determinato). Secondo il Presidente di FederalberghiBernabò Bocca, la partita è anche politico-istituzionale: “Non si può considerare il turismo italiano una mucca da mungere” ha dichiarato a In Terris, auspicando soluzioni consone al contesto italiano proiettato in uno scenario internazionale più competitivo.

Presidente, il turismo in Italia rappresenta circa il 5% del Pil e il 6% dell'occupazione. Due giorni fa il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, in occasione del dibattito presso Il Tempio di Adriano organizzato dalla Camera di Commercio capitolina, ha tenuto a battesimo il progetto Roma 2030, in cui circa 500.000 imprese romane hanno chiesto infrastrutture e servizi che, allo stato attuale, mancano. Secondo lei, cosa serve al turismo italiano per competere con Spagna, Francia o Germania?
“Noi partiamo già da un'ottima materia prima, perché l'Italia è riconosciuta, a livello globale, come il Paese più bello del mondo dal punto di vista turistico, perché può offrire diverse tipologie di turismo. Devo dire che la competenza esclusiva del nostro settore alle regioni non ci ha aiutato, perché ha impedito in questi ultimi anni di fare una politica nazionale sul turismo, soprattutto nell'ambito della promozione di cui abbiamo bisogno”.

Le regioni come freno al turismo nazionale, quindi?
“Il punto è che oggi vediamo singole regioni, città e Camere di Commercio che si promuovono in giro per il mondo, mentre noi dovremmo giocare una partita sul brand Italia. C'è, dunque, bisogno di una riorganizzazione della governance sul turismo con finanziamenti che promuovano l'Italia in giro per il mondo”.

Quali altri elementi frenano l'Italia?
“Innanzitutto lo Stato dovrebbe legalizzare il mercato, cioè pulirlo dalle strutture abusive che operano in maniera tranquilla nel nostro Paese. Mi riferisco soprattutto agli appartamenti turistici: noi di Federalberghi non abbiamo nulla contro di essi, a condizione che siano in regola con la legge, cioè che paghino le tasse alla stregua degli alberghi. Un altro punto è l'aggiornamento: oggi in Italia vi sono circa 33.000 alberghi che devono aggiornarsi agli standard internazionali. C'è bisogno dell'aiuto dello Stato ad appoggiare la ristrutturazione degli alberghi attraverso finanziamenti a tasso agevolato come già esistevano nel passato”

Negli ultimi tempi, la concorrenza con piattaforme quali Air b&b si esprime in termini di sofferenza del settore alberghiero. Secondo lei, c'è bisogno di impostare la gestione oppure di delegare tutto al libero mercato?
“C'è bisogno di regolarizzare e far applicare le leggi vigenti, che già sono operative. Mi riferisco alla norma 2017, che obbligherebbe i portali a fungere da sostituto d'imposta, per cui il 21% sugli affitti verrebbe trattenuto dai portali con la loro commissione e poi versato dai portali stessi all'Agenzia delle entrate. Purtroppo questa è l'Italia della burocrazia e dei ricorsi: Air b&b ha perso un ricorso al Tar che aveva fatto, dopodiché ha appellato al Consiglio di Stato e due giorni fa il Consiglio di Stato ha passato il ricorso alla Corte di Giustizia Europea”.

Questo cosa significa?
“Che le leggi dello Stato italiano, già in vigore, per trovare una loro applicazione hanno bisogno di anni e tempi lunghi. Nessuno – lo ribadisco – è contro queste nuove strutture di accoglienza e ricezione, è giusto che ci siano diverse forme di ospitalità. Purché vi siano regole chiare e si operi nella legalità”.

Lei ha un passato da parlamentare. Cosa può fare il Governo da un punto di vista politico-istituzionale per implementare il turismo italiano?
“Innanzitutto, crederci. Il futuro del Paese è necessariamente legato al turismo, un settore che non può delocalizzare. Pensi che un albergo significano posti di lavoro e attività collaterali. Se s'inizia a credere in questo settore, si fa una politica industriale a medio e lungo termine per aiutare il settore stesso”.

Secondo lei, l'Italia ci crede poco?
“Purtroppo sì. Il turismo è stato visto come una mucca da mungere. Pensiamo solo alla tassa di soggiorno: ogni volta che il turismo va bene, su di esso si applicano nuove tasse. I bilanci comunali sono stati messi a posto con le tasse di soggiorno pagate dai turisti. Viceversa, nella filosofia della norma, dovevano servire ad abbellire le città o finanziare progetti legati al turismo, non di certo a coprire i buchi dei bilanci comunali. Si è sempre parlato di turismo come 'petrolio del Paese', ma poco si è fatto per aiutare il settore”.

Ci sono dei Paesi-modello per il comparto turistico?
“Ho in mente due modelli: la Spagna, che grazie all'utilizzo di fondi europei, ha dato luogo ad infrastrutture importanti come aeroporti e ferrovie. Noi, al contrario, non siamo stati capaci di utilizzare fondi europei nel settore del turismo. Il secondo modello è la Francia, che sono l'eccellenza del marketing, riuscendo a rendere appetibile qualsiasi prodotto. L'Italia, viceversa, non è in grado di far capire al mondo la sua bellezza”.

Parlando di infrastrutture viene a mente la città di Matera, Capitale Europea della Cultura 2019. In un'intervista rilasciata a The New York Times un anno fa, il sindaco della città, Raffaello Ruggieri, dichiarò provocatoriamente “Non vogliamo turisti”. Cosa ne pensi?
“Sono d'accordo con la chiave d'interpretazione che dà il sindaco Ruggieri, che sottolinea come in una città piccola come Matera c'è bisogno di un turismo di qualità, non un turismo mordi e fuggi. Questo è lo stesso problema dell'Italia, che è un Paese piccolo, fragile, pieno di borghi e città d'arte. Non dobbiamo vergognarci di puntare su un turismo ricco. È giusto che vi sia un turismo per tutti, ma è un turismo ricco che dà beneficio a queste città. Quando si ha – mi permette la metafora – un armadio piccolo, devo scegliere i vestiti da mettere dentro”.

Vengono in mente altri esempi simili, come la laguna di Venezia, meta delle grandi navi, o l'isola di Stromboli, i cui residenti accusano il via vai dei traghetti colmi di turisti…
“Il tema è lo stesso: non vogliamo invasioni di turisti, ma turisti che spendano. Questo turismo veloce non lascia nulla sul territorio. Prendiamo il caso di Venezia: oggi assistiamo alla costruzione di migliaia di camere a Mestre, dove il turista alloggia, per poi recarsi in giornata a Venezia, dove non consuma. Le città piccole devono dare la precedenza ai turisti che restano sul territorio pagando una tassa di soggiorno preposta al decoro della città. Per quanto riguarda i turisti di giornata, bisogna immaginare un sistema su prenotazione o una tassa d'ingresso, cioè una maniera perché questi non siano avvantaggiati rispetto a chi, al contrario, soggiorna in loco“.

Sono recenti le dimissioni dell'ex ad di Atlantia, Giovanni Castellucci, che gettano incertezza sul futuro della compagnia aerea Alitalia. I trasporti, soprattutto quelli aerei, sono un trampolino per il turismo. Secondo lei, l'Italia ha bisogno di una compagnia di bandiera nel settore?
“Sì, però bisogna avere il coraggio prendere delle decisioni. Costringere dei soci a entrare in una compagnia con un piano industriale che non può funzionare crea difficoltà nella ricerca degli investitori. È un decennio che si parla di Alitalia, ma probabilmente il problema oggi è un esubero di personale per le regole di mercato rispetto ai suoi concorrenti. La compagnia di bandiera è importante per il comparto turistico del Paese. Quando inizialmente si pensava a un'acquisizione da parte di Air France, la nostra preoccupazione era che l'hub si spostasse a Parigi e non più a Roma o Milano. La Svizzera ha dimostrato come, nel caso della Swiss Air, si possa riassettare il comparto e farlo ripartire. Oggi la Swiss, nata all'indomani della chiusura di Swiss Air, è una delle prime compagnie aeree al mondo”.

Quanto pesa il turismo religioso in Italia e quali sforzi vanno fatti per implementarlo?
“Il turismo religioso pesa tanto nel settore italiano, perché i siti d'interesse religioso richiamano turisti. Al mondo, Roma è una delle mete più importanti del turismo religioso. Anche nel settore, vanno disciplinati i flussi dei pellegrini per avere un turismo ordinato”.

E per quanto riguarda il turismo slow & green, come – sul modello spagnolo del Camino di Santiago – i cammini della Penisola?
“Il futuro del turismo è lì. In Italia, considerando i nostri siti, possiamo sicuramente mutuare questo sistema e investirci”.