Il sindaco di Pesaro: “Ecco perché il dl Sicurezza è sbagliato”

Il decreto sicurezza continua a far discutere. Ieri durante la riunione dell'Associazione nazionale comuni italiani (Anci) si è cercata una mediazione fra i sindaci “disobbedienti“, che si rifiutano di applicare il dl varato dal governo e convertito in legge a fine 2018, e quelli che, invece, sono favorevoli a una sua attuazione. Nel pieno rispetto del pluralismo dell'informazione, In Terris, dopo aver dato spazio al sindaco di Ascoli Piceno, Guido Castelli, che ha scritto una lettera aperta indirizzata ai suo omologhi contrari al decreto Sicurezza, ha contattato il primo cittadino di Pesaro, Matteo Ricci, critico nei confronti della la legge voluta dal ministro dell'Interno, Matteo Salvini.

Lei ha definito il dl Salvini un “decreto insicurezza”. Quali effetti rischia di produrre secondo lei?
“Si tratta di un decreto che non crede nell'integrazione e di conseguenza creerà insicurezza nelle città perché avremo più persone che usciranno dai percorsi di protezione e integrazione, senza diritti e in mezzo a una strada; dormiranno nei parchi delle città, cercheranno di occupare edifici abusivamente e, presumibilmente, saranno costrette per vivere ad avvicinarsi ad una fascia di microcriminalità, in particolar modo spaccio e abusivismo. E' questo l'effetto che produrrà il decreto. Da un anno e mezzo circa gli sbarchi sono in calo, era proprio questo il momento di concentrarci sull'integrazione, perché senza non c'è sicurezza”. 

Il suo modello ideale di gestione del fenomeno migratorio a livello locale su quali presupposti si fonda?
“Con questo decreto noi avremo maggiori concentrazioni nei centri, mentre è stato completamente abbandonato il tema dell'accoglienza diffusa che a mio parere era una strada importante. Le pratiche più virtuose di questi anni sono state il volontariato per pubblica utilità, l'insegnamento dell'italiano, cioè tutte quelle attività che hanno aiutato le persone a conoscere la cultura del Paese che li ha accolti. Tagliando gli Sprar (Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati ndr), sostanzialmente, si perde la possibilità di avere percorsi integrativi. E' un decreto ingiusto anche dal punto di vista umanitario perché non si pone il problema dell'accoglienza”.

Durante la riunione dell'Anci si è trovata la quadra su una posizione unitaria dei sindaci?
“Sì. L'unitarietà è nella richiesta di modifica del decreto in modo pragmatico e concreto. Gran parte delle cose che sto affermando, sono problemi dei quali si rendono conto tutti i sindaci italiani. Ovviamete ognuno rimane della sua opinione dal punto di vista politico. Per me il decreto è pessimo, per i colleghi della Lega sicuramente è il contrario, ma abbiamo l'opinione comune che alcuni punti possano essere cambiati. Il presidente dell'Anci, che ha chiesto un incontro al premier Conte, gli sottoporrà le proposte specifiche e concrete che secondo noi servono per migliorare il decreto”.

Ha detto che quello sollevato da Orlando e De Magistris è un problema politico. C'è però chi lo definisce un'aperta violazione di una legge dello Stato…
“Io credo che le leggi dello Stato debbano essere applicate, non credo nella disobbedienza civile. Non credo che un sindaco possa permettersi di avere questo atteggiamento, però penso e ho dato grande merito a Orlando, perché attraverso questa sua azione personale come sindaco di Palermo, ha consentito di aprire una breccia mediatica sul tema sul quale i sindaci insistono da mesi senza essere ascoltati. Grazie ad Orlando avremo un incontro con il premier Conte e l'opinione pubblica si è potuta rendere conto di quello che si rischia con questo decreto”. 

Crede che la strada del ricorso alla Corte Costituzionale, proposta dalla Regione Toscana, sia quella giusta?
“Penso di sì. Come presidente della Lega dell'autonomie proporremo a tutti i comuni d'Italia un ordine del giorno che chiede di cambiare drasticamente il decreto firmato da Salvini, e al tempo stesso chiede – laddove le Regioni sono d'accordo – di attivare il processo per l'incostituzionalità”.

Non crede che misure restrittive all'immigrazione possano rappresentare un disincentivo ai viaggi della morte organizzati dagli scafisti?
“Il disencentivo per una persona che attraversa il mare non è di certo né il ministro Salvini né altre cose. Le partenze sono calate da un anno e mezzo perché è stata impostata dall'Italia, prima dal ministro Minniti, una politica di regolazione dei flussi, in particolare dalla Libia. Sappiamo quanto sia instabile quel Paese, sappiamo che molto dipende anche dalla fase climatica dell'anno in cui ci troviamo, l'inverno in genere è un periodo in cui gli sbarchi calano. La riduzione delle partenze è molto più complessa di un tweet. Proprio perché si sono ridotte le partenze, era questo il momento di concentrarsi sull'integrazione di quelle persone che sono già sul nostro territorio e che non devono assolutamente diventare manodopera della microcriminalità ma hanno il diritto ad avere una possibilità. Se si impegnano, se studiano l'italiano, fanno volontariato, è giusto che abbiano un'opportunità di vita nel nostro Paese”.