Il giudice Cioffi presenta richiesta di astensione

Giuseppe Cioffi, il magistrato che avrebbe dovuto presiedere il collegio chiamato a giudicare sui fratelli del deputato azzurro Luigi Cesaro, imputati a Napoli per concorso esterno in associazione mafiosa per presunti rapporti con la camorra, ha presentato richiesta di astensione al presidente del Tribunale di Napoli Nord. 

Il caso

Decisione presa dopo le polemiche suscitate da alcune foto che lo ritrarrebbero mentre partecipa a una convention di Forza Italia. Scatti che, però, secondo il giudice sarebbero stati realizzati il giorno dopo l'evento, nello stesso luogo in cui si era svolto, dove si trovava per prendere “un caffè con alcuni amici“. “Non voglio fare nessun braccio di ferro, la mia vita e la mia carriera sono case di vetro” ha detto all'Ansa. “Ora naturalmente sulla mia istanza deciderà il presidente del tribunale di Napoli nord. Non ho fatto nulla per cui dovessi astenermi, ma a questo punto il clamore sollevato dalla vicenda mi fa preferire un passo indietro. La campagna mediatica nazionale su questo caso può creare turbamento nei colleghi del collegio. E lo faccio anche per lo scompiglio nella mia famiglia“. La richiesta di astensione, ha spiegato all'Agi è motivata dalle “gravi ragioni di convenienza” richiamate dall'articolo 36, comma 1, lettera h del codice di procedura penale. “Di questa storia sono stufo. Ne ho sentito di tutti i colori, nel modo più vergognoso per tutti, innanzitutto per la stampa” ha aggiunto Cioffi. 

Csm

Il caso è finito sulle scrivanie della Prima Commissione del Consiglio superiore della magistratura, che ha aperto un fascicolo. A invocare un'inchiesta sono stati i consiglieri togati Francesco Cananzi (Unicost), Lucio Aschettino e Antonello Ardituro (Area). Nella loro istanza inoltrata al Comitato di presidenza rilevavano che “ragioni di opportunità, nell'ambito dei limiti istituzionali delle competenze consiliari, consigliano l'apertura di una pratica al fine di verificare la sussistenza di eventuali ragioni di incompatibilità, a fronte del rischio di un appannamento dell'immagine della magistratura“.