Fine vita: l'incapacità del Parlamento e il verdetto finale

Il giorno è arrivato e oggi l'udienza al Palazzo della Consulta deciderà se, in merito al “fine vita”, vorrà concedere al Parlamento italiano un ulteriore rinvio oppure attenersi all'ordinanza di un anno fa. Sono, infatti, passati quasi dodici mesi da quando la Corte Costituzionale aveva invitato il legislatore a trovare una soluzione in merito al caso di Fabiano Antoniani, il dj tetraplegico accompagnato dall'esponente dei Radicali italiani, Marco Cappato a morire nella clinica Dignitas in Svizzera. La natura sensibile dall'argomento ha indotto il “giudice delle leggi” a sospendere il suo pronunciamento sull'articolo 580 del Codice penale – che punisce chiunque sia accusato di “istigazione” o “aiuto al suicidio” – ritenendolo incostituzionale, invitando però il Parlamento italiano a colmare il vuoto giuridico in merito. Per dirimere i punti più spinosi, la stessa Corte aveva, altresì, indicato delle condizioni in base alle quali cadrebbe l'eventuale punibilità del suicidio assistito: la presenza di una patologia irreversibile, condizioni di sofferenza fisica o psicologica intollerabile, i trattamenti di sostegno vitale come unico strumento che garantisca la sopravvivenza del malato e, infine, la sua capacità di prendere decisioni libere e consapevoli. Secondo la Consulta, con la presenza di tali condizioni, si apre la strada alla depenalizzazione per colui che aiuti il malato a porre fine alla sua esistenza. 

I volti di una materia complessa

Le maggiori forze politiche ritengono che la questione, di estrema sensibilità, vada affrontata in seno al Parlamento. L'Avvocatura potrebbe richiedere un nuovo rinvio, ma non è detto che la Consulta lo conceda. Il caso di Fabiano Antonioni – noto ai più come Dj Fabo a partire dal servizio televisivo del programma Le Iene – ha gettato i riflettori su un dibattito vivo da tempo. Risale al 2009 il caso di Eluana Englaro, la donna in stato vegetativo da 17 anni, che aveva espresso la volontà di porre fine alla sua vita e che mostrò l'incapacità del Parlamento di dare una risposta sul tema del fine vita. Il 20 febbraio scorso, il Presidente della Camera dei deputati, Roberto Fico, aveva posto l'accento sul “dovere di fornire risposte vere e alte a persone” insieme a “una grande responsabilità”. A dieci anni dalla scomparsa di Eluana, nel Paese non si è ancora legiferato. Un altro volto simbolo è quello di Piergiorgio Welby, affetto da distrofia muscolare progressiva da 16 anni, che inviò una lettera aperta al Presidente della Repubblica di allora (2006), Giorgio Napolitano, chiedendo che gli venisse staccata la ventilazione che lo teneva in vita. Contrariamente a Englaro, Welby è rimasto lucido sino alla fine e, negli anni, ha sempre sostenuto di voler “mettere fine ad una sopravvivenza crudelmente 'biologica'”. Welby, Englaro e Antoniani rappresentano la complessità di una materia che, dunque, necessità di una presa di posizione da parte del Parlamento. Per questo, il 24 ottobre scorso, la Corte Costituzionale ha chiesto al governo di intervenire sulla questione entro un anno.

La posizione della Cei

“Un anno di inutile attesa delle riforme richieste” è stata la dichiarazione del Presidente della Conferenza Episcopale Italiana, Gualtiero Bassetti, sull'incapacità del Parlamento di prendere una decisione: “L'eutanasia non va confusa con il rifiuto dell’accanimento terapeutico, distinzione che spesso non è compresa, quasi si volesse porre sempre in atto ogni possibile intervento medico, senza una valutazione delle ragionevoli speranze di guarigione e della giusta proporzionalità delle cure” ha dichiarato il porporato nel suo intervento al convegno “Eutanasia e suicidio assistito. Quale dignità della morte e del morire?” tenutosi lo scorso 11 settembre. Per il rappresentante dei vescovi italiani, “va respinto il principio per il quale la richiesta di morire debba essere accolta per il solo motivo che proviene dalla libertà del soggetto […]. La libertà – ha continuato Bassetti – non è un contenitore da riempire e assecondare con qualsiasi contenuto, quasi la determinazione a vivere o a morire avessero il medesimo valore”. 

Parola alla Consulta

Cosa ci si aspetta, dunque? In Terris ha intervistato Cesare Mirabelli, presidente emerito della Corte Costituzionale:

Presidente, che cosa accadrà oggi?
“Non so cosa accadrà, ma ci sono due possibilità. Da una parte che venga rinviata la trattazione così com'è – come la gran parte delle forze politiche chiede -, anche se vedo difficile questo per vari motivi, primo fra tutti perché, in caso di rinvio, cambierebbe la composizione della Corte Costituzionale, dal momento che il presidente scade il suo mandato il prossimo novembre. La seconda linea potrebbe essere quella di decidere il merito della questione. Qui bisogna tener conto delle indicazioni, dei principi e delle decisioni che la Corte ha già manifestato”.

E quali sono?
“La Corte ha ritenuto che da una parte va garantito e protetto il diritto alla vita, che è il primo e fondamentale diritto della persona, e ha stabilito che non è in contrasto con la Costituzione la punizione dell'istigazione e dell'aiuto al suicidio. D'altro canto ha, altresì, ritenuto che questo non può essere così assoluto da non considerare reato l'aiuto al suicidio in condizioni particolari. Infatti, indica quattro condizioni [vedi sopra, ndr] per le quali si possa parlare di depenalizzazione per chi aiuti il malato. Dice la Corte che già oggi la persona può rifiutare dei trattamenti sanitari che pure siano necessari per il suo mantenimento in vita, perciò la Consulta dice che, come può decidere di morire chiedendo di non avere trattamenti che lo mantengono in vita, così può anche ritenere che non debba attendere che sopravvenga la morte. Bisogna vedere se la Corte trarrà le conseguenze da ciò che ha già deciso oppure lascerà al legislatore facoltà di intervenire e disciplinare in maniera compiuta questa situazione”.

A nome dell'Avvocatura, Gabriella Palmieri ha dichiarato che spetta al Parlamento trovare il punto d'equilibrio tra tutti gli interessi in gioco. S'è perso tempo?
“Anche la Corte ha detto che è compito del Parlamento questo bilanciamento in un settore così delicato, ma potrebbe darsi che la Corte ritenga che non si possa protrarre questa situazione che ha già ritenuto di non legittimità costituzionale”.

Lei ritiene che il Paese abbia perso un'occasione di discussione su un tema così sensibile, che divide la stessa società italiana?
“Il Parlamento dovrebbe far sintesi, è suo compito, senza perdersi in polemiche sterile su questioni così delicate: questo dovrebbe avvenire non solo in Parlamento, ma anche nel dibattito politico, che appare talvolta litigioso e non riflessivo sulle grandi questioni. Questa è, però, la situazione nella quale ci troviamo”.

In teoria, l'Avvocatura potrebbe richiedere un nuovo rinvio. Secondo lei, s'intravedono questi presupposti?
“L'Avvocatura può chiedere un rinvio, ma sta alla Corte può concederlo o meno. Può darsi che validi opportuna un'ulteriore opera di collaborazione e, in un'ottica di buon rapporto istituzionale, ritenga che abbia già provveduto. D'altra parte, però, non avrebbe nessuna certezza che il Parlamento giungerà a una qualsiasi decisione. Il problema resta il merito della questione”.

La mancanza di un accordo sulla calendarizzazione dei progetti di riforma spinge la Corte a un certo scetticismo sulla possibilità che il Parlamento arrivi a legiferare in materia?
“Si tratta di piccoli segnali, che però non dettano una scelta decisiva. Resta probabile che ci sia una decisione da parte della Consulta, perché il suo contenuto farà fede all'ordinanza dello scorso anno”.