“Ecco perché difendere i confini nazionali è essenziale”

Un uomo d’altri tempi, che coniuga pensiero e azione. Un simbolo delle forze armate italiane. Il generale Marco Bertolini, in congedo dal luglio 2016 per raggiunti limiti d’età, è un paracadutista e veterano delle operazioni militari all’estero. Ha partecipato a diversi conflitti: nel 1982 in Libano fu ferito e ottenne una medaglia d’oro, dopo di che fu impegnato in ruoli di comando in Somalia, nei Balcani, in Afghanistan, dove dal 2008 al 2009 è stato capo di Stato Maggiore della missione Nato. Oggi il suo sguardo continua a rivolgersi alle questioni che riguardano le Forze Armate italiane e la difesa dei nostri confini nazionali. Lo fa con preoccupazione, perché rileva che negli anni si è assistito a un graduale disinteresse politico nei confronti di aspetti che – come sottolinea nell’intervista ad In Terris che segue – sono determinanti per un Paese che voglia dimostrarsi davvero sovrano.

A giugno lei ha preso posizione scrivendo una lettera per ribadire “la centralità della Difesa nella salvaguardia degli interessi e della sicurezza” del Paese. Che riscontri ha avuto sul tema a cinque mesi di distanza?
“Come fatto in diverse occasioni, ho espresso una posizione che è condivisa da chiunque abbia scelto il mestiere del soldato in merito all’importanza delle Forze Armate. Il riscontro è abbastanza deludente. Da parte dei militari, che non possono non essere sovranisti, c’è grande attenzione per alcuni temi che vengono sollevati dal Governo. Almeno una parte dell’Esecutivo è consapevole del fatto che la sovranità si basa sulla disponibilità delle Forze Armate e di una moneta propria. Ma alle parole non si vedono ancora seguire i fatti. Anzi, giunge qualche segnale scoraggiante: l’estate scorsa è stata presentata una proposta di legge per introdurre le associazioni sindacali nelle Forze Armate; il che equivarrebbe, a mio avviso, a una smilitarizzazione di fatto”.

Di cosa avrebbero bisogno le Forze Armate?
“Di investimenti. La Marina ha bisogno di navi. Ma riuscirà a rinnovare la sua flotta, perché negli ultimi tempi c’è stata grande attenzione nei suoi confronti per le operazioni Mar Mediterraneo, Mare Sicuro, Eunavofor Med (operazione Sophia, ndr). C’è poi l’aeronautica, che ha bisogno degli F35, i quali non sono un giochino per far divertire qualche generale, ma mezzi indispensabili per la nostra operatività e la nostra difesa. In caso di bisogno, del resto, non esiste la possibilità di comprare un aereo ed averlo subito a disposizione: stiamo parlando di progetti che necessitano di diversi anni per essere sviluppati, ecco allora che interrompere l’acquisizione di un mezzo è pericoloso. La nostra componente da trasporto ha sofferto problemi di manutenzione spaventosa per molti anni. C’è poi l’Esercito: la forza armata impegnata più pesantemente in questi decenni dai vari Governi, a partire dal Libano nel 1981 per poi arrivare a Somalia, Balcani, Afghanistan, Iraq e ancora oggi in Libano, dove abbiamo 1.100 uomini impiegati. Ma l’Esercito è stato impegnato a spese sue: ha dato fondo a tutte le sue scorte, perché le leggi finanziarie sono sempre state insufficienti. La componente corazzata è ridotta all’osso: abbiamo elicotteri che non hanno ore di volo, cioè non hanno carburante sufficiente per poter essere utilizzati. Abbiamo una scarsità enorme di munizioni. Non abbiamo poi aree addestrative, che sono fondamentali, soprattutto ora che l’Esercito è formato da professionisti, che vanno addestrati tutti i giorni, perché le procedure ed i mezzi militari cambiano continuamente. Per esemplificare con un argomento che mi sta molto a cuore, anche il parco paracadute dei paracadutisti è ridotto ai minimi termini, con materiali ormai prossimi al termine della vita tecnica”.

A cosa è dovuta quella che lei denuncia come una negligenza verso le Forze Armate: a una cultura antimilitarista o alla crisi economica che ha portato i Governi a trascurare le spese militari?
“C’è anche un aspetto economico: si è pensato di tagliare le spese militari considerandole improduttive. Ma non è così: la Difesa dà lavoro e produce ricchezza a tutto il Paese. Ma c’è soprattutto un problema culturale. L’Italia si è illusa di poter fare a meno delle Forze Armate. Si è dato risalto all’art. 11 della Costituzione il quale afferma che l’Italia ‘ripudia la guerra’, mentre è stato dimenticato l’art. 52 il quale sottolinea che ‘la difesa della patria è un dovere sacro del cittadino’. È così che sono nati artifizi linguistici come ‘missioni umanitarie’, ‘bombardamenti difensivi’, ‘operazioni di polizia internazionale’: tutti modi per nascondere il fatto che le Forze Armate fanno la guerra”.

L’Italia oggi è in guerra?
“In Afghanistan siamo alleati del Governo afgano che è in guerra con i talebani. Dunque non siamo in interposizione, ma siamo in guerra al fianco dei nostri alleati. Stesso discorso in Iraq: i nostri soldati sono alleati del Governo iracheno che svolge operazioni belliche. Manca la consapevolezza del compito che le Forze Armate italiane svolgono nei vari teatri di crisi. Se invece ci fosse consapevolezza, si riuscirebbe forse a dotare le Forze Armate di ciò di cui hanno bisogno”.

La difesa dei confini è ancora importante?
“La difesa dei confini è essenziale. Ma va intesa come difesa di ciò che siamo, perché i confini non sono un mero aspetto territoriale. Esistono confini fondamentali di carattere culturale, spirituale, storico, linguistico. Se riducessimo tutto alla difesa di un pezzo di terra, allora svuoteremmo di significato il contenuto di una patria, avallando così il concetto di Ius soli che mira invece a svilire l’identità nazionale. Difendiamo dunque un territorio, ma soprattutto l’italianità. E oggi, nel contesto storico che viviamo, difendere i propri confini significa estendere le proprie azioni anche lontano da casa: bisogna saper difendere gli interessi nazionali all’estero, ad esempio in Africa, dove negli anni sono avvenuti episodi che hanno leso i nostri interessi”.

Fa riferimento alla Libia immagino…
“Sì. Purtroppo quando la Francia ha deciso di bombardare la Libia, l’Italia si è dimostrata remissiva, finendo per subire le conseguenze devastanti di quell’operazione militare: le migrazioni verso le nostre coste, la perdita di accordi commerciali molto importanti, nonché l’instabilità in un Paese che per noi è strategico. Ricordo che noi siamo al centro del Mediterraneo, che oggi è l’area di maggiore turbolenza del globo, dove si affacciano tutte le potenze mondiali: questa posizione ci impone di essere forti, ed essere forti senza avere una sovranità militare e monetaria è impossibile”.

Periodicamente si torna a parlare di esercito europeo. Come valuta questa ipotesi?
“Sarebbe più corretto parlare di forze armate europee. Ma si tratta di un’idea retorica e improponibile. L’Esercito è uno strumento di difesa, ma anche di politica estera. Ebbene, se non esiste una politica estera europea come può esserci l’Esercito europeo? Prima abbiamo parlato della Francia (alla quale va aggiunta la Gran Bretagna), che hanno bombardato la Libia contro i nostri stessi interessi. E ancora: la Francia oggi sta svolgendo un’operazione in Africa con la quale controlla i suoi ex possedimenti coloniali. Sono esclusivi interessi nazionali. Come interesse nazionale francese è il possesso di armi nucleari, Parigi non sarebbe disposta a metterle a disposizione di altri Stati dell’Ue. Ma parliamo anche dell’Italia: la nostra Costituzione prevede che il comandante supremo delle forze armate sia il presidente della Repubblica, proprio perché è un presidio di sovranità. Come potrebbe dipendere da una comunità internazionale?”.

Prima ha parlato di radici spirituali da difendere…
“In quanto italiani, abbiamo una cultura forgiata anche dalla religione, che è elemento comune dalle Alpi alla Sicilia: abbiamo dialetti e alcune tradizioni diversi, ma abbiamo sempre venerato gli stessi santi e costruito le stesse chiese. Questo è un tratto comune fortissimo. Difendere la patria significa quindi difendere anche la nostra visione religiosa, che non può che essere cattolica. Ed è una visione agli antipodi dall’arrendevolezza, è forza: per essere missionari, ad esempio, c’è bisogno di forza. Amare il prossimo come sé stessi è un gesto coraggioso, ardito”.

C’è anche chi ritiene sia incompatibile essere cristiani e militari…
“Sono cristiano, cattolico e mi sento a mio agio come militare. Non vedo alcuna incoerenza. Grandi Papi, come San Giovanni Paolo II, non hanno mai nascosto la loro vicinanza ai militari. Questi ultimi non sono biechi esecutori di violenza senza criterio, ma sono coloro in grado di sacrificare sé stessi per il bene degli altri. Mi sembra un concetto, quest’ultimo, tutt’altro che lontano dai dettami evangelici”.