Braccio di ferro sul fine vita

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Sul fine vita la discussione è ripartita. “Sul fine vita ritengo che non debba esserci nessuna iniziativa da parte del governo, è una materia di natura prettamente parlamentare. Il mio auspicio è che il Parlamento possa svolgere la più plurale, condivisa e aperta discussione su un tema che riteniamo decisivo anche alla luce dell'ultima sentenza della Corte”, ha dichiarato il ministro della Salute, Roberto Speranza, illustrando davanti alle Commissioni congiunte Senato e Camera le linee programmatiche del suo dicastero: “Il governo seguirà con assoluta attenzione, ma senza alcuna iniziativa che dal mio punto di vista sarebbe inappropriata”.La presidente della commissione Giustizia della Camera, Francesca Businarolo ha chiarito che sul tema del fine vita le commissioni Giustizia e Affari sociali torneranno a riunirsi appena sarà possibile: “Questa è la decisione presa dall'ultimo ufficio di presidenza congiunto, con l'obiettivo di riprendere il ricco lavoro parlamentare già avviato e con l'auspicio di un confronto sereno tra tutti i gruppi per concordare un testo che inserisca nell'ordinamento i principi costituzionali definiti su questa delicata materia.  Ci sono 13 proposte di legge ferme in Parlamento dall'inizio dell'attuale legislatura di cui 6 alla Camera e 7 al Senato.

Difesa della vita

“Dubitiamo che Pd e M5s possano avere la compattezza necessaria per portare avanti un discorso comune su un tema così delicato – commenta il segretario Udc, Lorenzo Cesa -. La vita è il bene più prezioso che abbiamo e il mondo politico di oggi è senza coraggio sulla questione per poterla affrontare con un approccio corretto. Temiamo che il dibattito politico sull'eutanasia possa essere influenzato negativamente dall’instabilità di questo Governo. Dopo la sentenza della Consulta riferita a Cappato alcune forze politiche potrebbero prevalere su certe inesperienze del Movimento. Difendere la vita fa parte dei nostri valori e qualunque legge introducesse in modo coatto l’eutanasia ci vedrebbe assolutamente contrari”. Cosa si intende oggi per “fine vita”? Don Gabriele Semprebon, fisiopatologo e bieticista, analizza le disposizioni anticipate di trattamento nel saggio “Le cure che voglio, le cure che non voglio” (San Paolo). Gli “attori” di questa fase estrema dell’esistenza sono diversi. C’è il paziente, ovviamente, ma anche i medici, i parenti o eventualmente l’amministratore di sostegno o il curatore: tutte persone chiamate a confrontarsi con i medici e a prendere decisioni sulle cure che dovranno essere offerte alla persona in condizioni di salute irreversibili. “In questo ambito si parla, spesso con pesante disinformazione, di eutanasia, di accanimento terapeutico, di cure palliative – spiega don Semprebon -.Il Magistero della Chiesa, a sua volta, ha idee da proporre a proposito della dignità del malato e della qualità della vita della persona. La legge 219 del 2017 offre ai cittadini la possibilità di predisporre una Disposizione Anticipata di Trattamento (Dat), che prevede vincolanti indicazioni a proposito delle “cure” che vogliamo ci siano applicate nel caso ci trovassimo di fronte al nostro fine vita senza poter assumere direttamente le decisioni che ci riguardano”. Il libro fa chiarezza su tutti gli elementi della questione del fine vita e ci aiuta a riflettere e a decidere per tempo a proposito delle cure che vogliamo e di quelle alle quali siamo convinti di voler rinunciare. Gabriele Semprebon  è sacerdote, fisiopatologo, bioeticista. Docente di etica clinica, docente alla Scuola regionale di formazione specifica in medicina generale, docente alla Scuola di specialità in medicina generale dell’Università di Modena, professore a contratto presso il Dipartimento di Biologia alla Temple University di Philadelphia (Usa), membro della segreteria scientifica di bioetica dell’Ordine Provinciale dei Medici, membro del Nucleo di medicina Palliativa dell’Unità operativa di geriatria,  Nocsae/Aou di Modena, consulente e assistente dei Medici Cattolici di Modena e del centro di Bioetica “Moscati”. Ha pubblicato per Athena, assieme a Giovanni Pinelli, La sottile linea di confine, e per le Edizioni Dehoniane Le cellule staminali e l’embrione umano. Scrive periodicamente su varie riviste e sovente è invitato a partecipare a conferenze e incontri soprattutto sul tema del “fine vita”.

Interruzione dei trattamenti indesiderati

La World Medical Association (Wma), che rappresenta le associazioni mediche nazionali di 114 Paesi del mondo, afferma la propria posizione contraria a eutanasia e suicidio assistito. La posizione è espressa in un documento a conclusione della assemblea annuale dell'Associazione svoltasi a Tbilisi in Georgia. “Nessun medico – si legge nella Dichiarazione – dovrebbe essere forzato a prendere parte a procedure di eutanasia o suicidio assistito, né essere obbligato a prendere decisioni di rinvio a tal fine». La Wma specifica però che «il medico che rispetta il diritto fondamentale del paziente di rifiutare trattamenti medici, non agisce in modo non etico nel rinunciare o nell'interrompere i trattamenti indesiderati, anche se rispettare tale desiderio esita nel decesso del paziente”.  La Wma, si legge nella Dichiarazione pubblicata sul sito dell'associazione, “riafferma il proprio forte impegno nei confronti dei principi dell'etica medica e che il massimo rispetto deve essere mantenuto per la vita umana. Per questo, la Worl Medical Association si oppone fermamente all'eutanasia e al suicidio medicalmente assistito”. La dichiarazione della Wma definisce come “eutanasia” l'atto deliberato del medico di somministrare una sostanza letale o di mettere in atto un intervento per causare la morte di un paziente capace di intendere su richiesta di quest'ultimo. Si precisa inoltre che il suicidio assistito si riferisce ai casi nei quali, “alla richiesta volontaria di un paziente capace di intendere, il medico deliberatamente abilita il paziente a porre fine alla propria vita prescrivendogli o fornendogli sostanze mediche con l'intento di causare la morte”. Afferma il presidente della Wma, Frank Ulrich Montgomery: “Avendo tenuto conferenze consultive che hanno coinvolto tutti i continenti, crediamo che tale Dichiarazione sia in accordo con la posizione della maggioranza dei medici del mondo”. L'eutanasia ed il suicidio assistito sono moralmente ed intrinsecamente sbagliati e dovrebbero essere vietati senza eccezioni, concordano le tre religioni abramitiche monoteistiche in un documento comune nel quale ribadiscono punto per punto la loro posizione sul fine vita. “Qualsiasi pressione e azione sui pazienti per indurli a metter fine alla propria vita è categoricamente rigettata”, sostengono.

In fase terminale

“Nessun operatore sanitario dovrebbe essere costretto o sottoposto a pressioni per assistere direttamente o indirettamente alla morte deliberata e intenzionale di un paziente attraverso il suicidio assistito o qualsiasi forma di eutanasia, specialmente quando tali prassi vanno contro le credenze religiose dell'operatore”.  Tutti gli operatori sanitari dovrebbero essere tenuti a creare le condizioni in base alle quali l'assistenza religiosa sia assicurata a chiunque ne faccia richiesta, sia in modo esplicito che implicito. Quindi “ci impegniamo a utilizzare la conoscenza e la ricerca per definire le politiche che promuovono la cura e il benessere socio-emotivo, fisico e spirituale, fornendo le massime informazioni e cure a coloro che affrontano gravi malattie e morte; a coinvolgere le nostre comunità sulle questioni della bioetica relative al paziente in fase terminale, nonché a far conoscere le modalità di compagnia compassionevole per coloro che soffrono e muoiono; a sensibilizzare l'opinione pubblica sulle Cure Palliative attraverso una formazione adeguata e la messa in campo di risorse relative ai trattamenti per la sofferenza e il morire; a fornire soccorso alla famiglia e ai cari dei pazienti che muoiono; a coinvolgere le altre religioni e tutte le persone di buona volontà”. E “chiediamo ai politici e agli operatori sanitari di familiarizzare con la vasta prospettiva e l'insegnamento delle religioni Abramitiche, per fornire la migliore assistenza ai pazienti morenti e alle loro famiglie che aderiscono alle norme religiose e alle prove dei rispettivi religiosi tradizioni”. Interviene anche l'arcivescovo di Chieti-Vasto e presidente della Conferenza episcopale abruzzese e  molisana, monsignor Bruno Forte. A proposito della questione eutanasia, puntualizza all’Ansa di aver avuto “una impressione favorevole” rispetto al parere espresso nei giorni scorsi dalla Federazione nazionale degli ordini dei medici chirurghi e degli odontoiatri (Fnomceo). “Il principio fondamentale è quello della dignità di ogni vita umana- afferma l’arcivescovo Forte-. Questo principio è alla base dell'atteggiamento di rispetto di ogni essere umano e della convivenza civile. Un provvedimento legislativo che, in qualsiasi modo, apra la strada alla possibilità di intervenire sulla fine di un'esistenza umana diventa una forzatura e anche una violazione di questo principio fondamentale”. Il principio in questione, secondo monsignor Forte, “non è solo un principio religioso, ma anche, più largamente, umano perché riguarda la dignità della vita, dalla nascita alla sua fine naturale”. E “la posizione degli ordini dei medici -mi ha dato un'impressione favorevole. Un medico, con il giuramento di Ippocrate, si impegna a tutelare la vita. Chiedere a un medico di intervenire per la soppressione di una vita sarebbe una violazione di tale giuramento”.