Ammalati di cancro, non è solo un problema di salute

Una città grande come Bologna: ammonta a tanto il numero dei malati italiani di cancro del 2019. Numeri che – come afferma il Ministero della Salute – sono in lieve calo rispetto all'anno precedente, ma rivelano comunque un'incidenza molto alta. Secondo il censimento ufficiale dell'Associazione Italiana di Oncologia Medica-AIOM, la regione italiana che registra il picco di malati è il Friuli Venezia Giulia (con 716 casi per 100mila abitanti) e la più bassa in Calabria (con 559 casi per 100mila abitanti). Ma a fotografare una realtà diversa è un ulteriore documento: si tratta del Rapporto sulla condizione assistenziale dei malati oncologici, una ricerca promossa dalla Federazione delle Associazioni di volontariato in oncologia (Favo) che rivela come essere malati di cancro non significhi solo percorrere un cammino di cura, ma anche pensare al sostegno di un'intera famiglia. Se passi in avanti sono stati fatti nella cura prevenzione – i dati lo dimostrano – tanti altri ne andrebbero fatti su quegli aiuti collaterali che il Servizio Sanitario Nazionale non sostiene. 

Lavoro a rischio

Le cure lunghe e debilitanti, per esempio, rendono la professione dei malati non sempre sostenibile. In generale, il cancro influisce negativamente su carriera e istruzione per il 54% degli italiani, con un influsso negativo soprattutto nei lavori con contratti a tempo determinato e in occupazioni flessibili. È, infatti, accertato che avere un tumore aggrava una fragilità sociale soprattutto verso chi ha problemi economici. Spesso, infatti, curarsi prevede spese per spostamenti, esami diagnostici, terapie psicologiche, sicché può avvenire che, a causa di precarie condizioni finanziarie, siano gli stessi malati a optare per una rinuncia alla cura in extremis o una riduzione delle terapie. Questo quadro è già radicato negli Stati Uniti, dove avere un cancro è preludio alla bancarotta.

Cancer financial toxicity

Chiedersi quanto influisca su un paziente l'impatto finanziario nella cura del cancro, non è superfluo. Si chiama tossicità finanziaria del cancro ed è un fenomeno diffusissimo negli States. Uno studio dell'American Journal of Medicine del 2018, su 9 milioni di intervistati a cui è stato diagnosticato un cancro, circa il 42,4% ha perso lavoro nel suo secondo anno di terapia, con un 38% che aveva già esaurito il proprio patrimonio nel quarto anno. È il caso di Deb Genetin, una donna di 57 anni residente a Springfield, in Ohio, alla quale l'equipe dei medici del Mercy Health Hospital ha rifiutato un intervento dopo aver appurato che la paziente, a cui era stato diagnosticato il cancro, non aveva un'assicurazione sanitaria da 10 anni. Oltreoceano i pazienti più colpiti dal fenomeno sono, nella maggior parte dei casi, superiori ai 75 anni. In Italia i costi legati al cancro riguardano diversi range d'età, non solo gli over. Nel caso di asportazione della mammella in pazienti con neoplasia grave, si tiene anche conto della chirurgia ricostruttiva, e non solo. Nel caso di tumore alla laringe, per esempio, diversi pazienti necessitano di un logopedista per riprende una corretta fonazione, se non deglutizione.  Per non parlare dei casi più gravi, dove è necessaria l'assistenza tramite colf e badanti per un valore globale di 5,3 miliardi di euro, secondo le stime riportate dal Corriere della Sera.

Salute, quanto mi costi

Il Servizio Sanitario Nazionale non copre tutte le spese mediche legate all'ambito assistenziale, tanto quanto i supporti e le protesi. Riguardo alle liste d'attesa, il Piano nazionale di governo ha individuato 58 prestazioni offerte dal Ssn che hanno un tempo d'attesa garantito per il 90% dei cittadini che ne fanno richiesta, come le Tac. Nel caso di esami strumentali, quali mammografie, risonanze magnetiche ed ecografie, nonostante la prescrizioni legislative e il cosiddetto codice di priorità erogato dal medico per rendere la diagnostica più celere, spesso chi può si rivolge ad una struttura privata, dove i tempi si dimezzano e questo può essere fondamentale per tanti malati oncologici.

Cure palliative

Un costo di certo rilievo è dato dalle cure palliative, spesso somministrate a domicilio o in strutture apposite, chiamate hospice. Cure che non sono solo confinate ai malati oncologici, come sottolinea Stefania Bastianello, Presidente Federazione Cure Palliative e direttore tecnico nell'Associazione Italiana Sclerosi Laterale Amiotrofica.

Quali sono i numeri delle cure palliative in Italia?
“Secondo l'Organizzazione Mondiale della Sanità, in Italia oggi si stima che usufruiscano di cure palliative 560 persone adulte ogni 100.000 residenti. Oggi non abbiamo dati precisi perché il rapporto al Ministero non dà dati realistici per le cure palliative domiciliari, ma stimiamo che oggi venga assistito il 30% dei malati oncologici, a cui dobbiamo aggiungere 35.000 bambini circa ogni anno, di cui l'85% dei bambini non ha patologie oncologiche. Siamo, cioè, lontani dal soddisfare un bisogno sempre più emergente e in linea con i cambiamenti demografici”. 

Qual è il problema dei dati che ravvisa?
“Il rapporto triennale al Ministero è basato fondamentalmente su indicatori oncologici. Il domicilio ha dimensioni più complesse di tracciatura. Inoltre, spesso si associano le cure palliative ai malati oncologici, ma ci sono anche i casi di scompensi d'organo e malattie neurodegenerative. Ad oggi in Italia, ci sono 267 hospice con 2.963 posti letto. La situazione è eterogenea a livello italiano, ma bisogna tenere in considerazione un concetto di proporzionalità demografica: in Lombardia abbiamo 21 hospice, 27 nel Lazio, 11 un Puglia e Campania, 6 in Basilicata. Stiamo parlando, comunque, di hospice che accolgono solo ed esclusivamente malati oncologici. L'obiettivo del prossimo futuro e a lungo termine è potenziare le cure palliative domiciliari. Con la Legge 39 del '99 sono stati assegnati fondi per la Costituzione di hospice: ora chiediamo una legge che assegni fondi per le cure palliative domiciliari”.

Un grande ruolo è dato dal terzo settore…
“Se è vero che ci sono famiglie che ritengono più adeguato l'hospice, ci sono altrettante persone che chiedono che il percorso di cure palliative venga fatto in casa propria. Il mondo delle cure palliative è sostenuto dal pubblico e dal settore non-profit, senza il quale tutto il sistema non sarebbe sostenibile. La Lombardia è molto strutturata, ma ci sono regioni con criticità, come la Campania. Bisogna tener conto dei bisogni di quel territorio. La Sardegna, per esempio, che ha 5 hospice, ha un'incidenza e una prevalenza su una malattia neurodegenerativa come la sla 10 volte superiore al territorio nazionale”.

Aiuta a fare chiarezza sugli hospice e le cure palliative?
“Le cure palliative sono nate per i malati di cancro. Il malato degenerativo ha da subito un declino funzionale importante ed ha bisogno di cure palliative. Questi malati fanno i grandi numeri. Le cure palliative fanno risparmiare. Molti cittadini non conoscono il diritto di accedere alle cure palliative. Molti medici non conoscono le cure palliative o inviano molto tardivamente il malato ad esse. Il problema è di tipo culturale, perché le cure palliative sono associate a morte e sofferenza. Non tutte le Regioni non sono strutturate per le cure palliative, manca un personale, manca del personale adeguatamente formato. La formazione è uno dei punti più cogenti. Fare cure palliative richiede formazione, competenze tecniche, tecniche e relazionali”

Quali altre criticità rileva?
“Un'altra criticità è che bisogna sviluppare due luoghi di cura: gli ospedali e gli ambulatori. Tutte cose dette dalla Legge 38 del 2010. Ci sono ambulatori e andrebbero potenziati. Pensi a quante persone sono nelle RSA e muoiono male, perché non viene intercettato, riconosciuto e gestito il male. L'idea è quella di creare la consulenza di cure palliative che facciano informazione. È necessario strutturare la formazione sia pre laurea che in specialità. In Italia non esiste una specialità in cure palliative come in Inghilterra, Australia e Canada, per esempio. Ma mi lasci specificare una cosa…”.

Cioè?
“Il terzo settore non è un contorno, ma il terzo pilone della nostra società. E quindi dobbiamo lavorare tutti perché venga riconosciutoì. È necessario promuovere lo strumento dell'acccreditamento istituzionale delle strutture del terzo settore che erogano le cure palliative. Ci sono tanti ospedali privati che sono accreditati con il SSN, cioè hanno un accordo per cui la Regione stanzia dei Fondi. Purtroppo oggi in cure palliative lo strumento di accreditamento non è ancora consolidato, sono molto presenti strumenti di convenzione e forme di bando di gara. Regioni come la Lombardia, il Veneto, il Lazio hanno enti del terzo settore talmente radicati nel territorio che è necessario accreditarli”.