La vera “bestia nera” che spaventa i mercati

Il venerdì, nell’immaginario collettivo, non porta certo bene ai mercati fin dall’iconico “venerdì nero” del 1929 che diede inizio alla crisi finanziaria che sfociò nella Grande Depressione anche se, a voler vedere, i crolli dei listini nella storia sono avvenuti, più o meno, in ogni giorno della settimana con un unico vero filo conduttore: quello delle aspettative. Quest’ultima è una parola che ricorre spesso a livello di analisi dei flussi finanziari perché, come la teoria economica insegna, è alla base delle decisioni che gli operatori prendono per programmare le azioni future e, ovviamente, gli investimenti sui listini mondiali fanno parte di queste ultime.

Da qui a un rapido disinvestimento in caso di notizie che rendano più incerto il futuro il passo è breve, questo poiché in periodi di incertezza la preferenza razionale va alla liquidità, che è l’asset class meno rischiosa (e quindi meno redditizia, se non più costosa) che esista. Perché meno rischiosa, quando spesso si sente parlare di “mattone” o di “oro” come bene rifugio? Semplicemente perché è sottoposta a pochi rischi legati soprattutto al cambio e all’inflazione, cosa piuttosto gestibile e sopportabile in assenza di politiche monetarie, diciamo, discutibili come quelle del Venezuela o di quelle odierne in Turchia, ed è immediatamente ricollocabile in altri campi, potenzialmente più redditizi, non appena la situazione si stabilizzasse.

L’annuncio della nuova variante sudafricana del Covid-19, la cosiddetta Omicron, ha presentato immediatamente un forte elemento di incertezza, principalmente ispirato dalle politiche di contrasto del morbo da parte degli stati che, spesso, si sono tradotte in interventi scomposti e penalizzanti per quasi ogni settore economico. L’incertezza, infatti, è la vera “bestia nera” e non eventuali accadimenti, anche disastrosi, che, però, possono essere “prezzati” e “neutralizzati” a livello finanziario con gli strumenti esistenti, dalla diversificazione degli investimenti all’acquisto di prodotti di hedging, cioè di protezione, come i contratti derivati o delle polizze assicurative ad hoc come quelle esistenti per coprire i rischi dell’export. Questo quadro ha portato, quindi, a un rapido disinvestimento di grossi capitali dalle principali borse mondiali proprio venerdì 26 novembre, facendo riecheggiare i timori di un nuovo “venerdì nero” già accennato in incipit.

Ora, alcuni commentatori hanno, come di consueto quando accade un forte ribasso di borsa, titolato in maniera roboante “bruciati 390 miliardi sui principali listini” dimenticando che la borsa nulla crea e nulla distrugge, o brucia, ma rialloca: come è intuibile da quanto descritto finora, quindi, questi capitali non sono spariti ma sono stati incassati, riconvertiti in liquidità valutaria, in attesa di uno schiarimento delle previsioni sul futuro e il conseguente reinvestimento delle cifre sui segmenti di mercato più promettenti nel nuovo scenario che si è creato.

Dal lato sistemico, quindi, non c’è stato alcun allarme, infatti non appena le notizie sulla nuova variante del visus hanno cominciato ad essere meno apocalittiche tutti i listini hanno aperto in rialzo anche se recuperare il gap che si era aperto con il ribasso del 26 non sarà certo così veloce ma sarà progressivo man mano che il quadro che si sta delineando in questi giorni si farà più preciso.

Quello che non è un problema reale per i grossi investitori, che ripeto hanno solo monetizzato le loro esposizioni sul mercato, lo potrebbe diventare per i piccoli risparmiatori che, potrebbero vedere ben decurtato il loro portafoglio, sia che abbiano investito in titoli azionari diretti sia che abbiano investito in fondi con sottostante i segmenti che più hanno subito il contraccolpo sia che replichino gli indici se non possiedano nervi saldi o se abbiano bisogno a breve di monetizzare gli investimenti.

Al contrario chi abbia un piano di risparmio, cosiddetto PAC, si troverebbe oggi in una situazione molto interessante poiché i versamenti effettuati in questo periodo permetterebbero di acquistare più unità del fondo scelto che permetterà una crescita più che proporzionale del loro capitale (sebbene oggi si sia, di fatto, ridotto) rispetto alla ripresa dei mercati.

È un discorso piuttosto tecnico, che magari andrebbe approfondito con un consulente di fiducia ma serve per descrivere meglio quale possa essere l’impatto di quanto accaduto in questi giorni a livello di capitale e di risparmio, tutto innescato solo da un elemento di incertezza che, unito all’esperienza dell’ultimo anno sui danni di mercato provocati dalle misure di contenimento della pandemia, è andato a impattare sulle previsioni per il futuro degli investitori a ogni livello.

Ciò detto è evidente che in momenti come questo occorra mantenere la lucidità, anche se la prima reazione di chiunque, dettata dalla paura, sarebbe “vendo tutto”, nonostante quello che si possa pensare dei governi in carica in Europa o, generalizzando, nel mondo “sviluppato” la lezione del 1929 è stata esemplare per tutti in quanto una, seppur grave, crisi finanziaria è stata resa sistemica dagli interventi errati della presidenza Hoover che, con il blocco della borsa merci di Chicago oltre che di Wall Street, e le limitazioni ai commerci la esportò in tutto il mondo.

Nessun governo, oggi, attuerebbe politiche simili e, infatti, negli ultimi 30 anni si sono susseguite delle crisi ben peggiori, a livello finanziario, rispetto a quella del 1929, ma, generalmente, i mercati si sono ripresi piuttosto velocemente permettendo il recupero delle perdite spot registrate al momento del crollo.

Il caso Italiano post 2007, con la crisi dei mutui sub-prime e il fallimento di Lehmann Brothers, è l’eccezione, ovviamente, ma anche qui i listini di borsa scontano le incertezze politiche che, dalla caduta del governo Berlusconi nel 2011 a oggi, si sono continuamente succedute impedendo la formazione di un quadro di aspettative sugli sviluppi futuri della, seppur traballante in molti settori, settima potenza economica mondiale.