Una proposta per far ripartire l'economia

Con la rinuncia all’incarico del professor Conte a formare il governo è tornato d’attualità il problema legato alle c.d. “clausole di salvaguardia” e al ventilato aumento dell’Iva il 1° gennaio 2019.

La questione, in effetti, rappresenta un assurdo nella finanza pubblica italiana e, forse, un unicum a livello mondiale, studiata e introdotta come provvedimento spot dall’ultimo governo Berlusconi, con la “manovra di Ferragosto” nel 2011, e poi resa strutturale da Monti, con il “Decreto Salva Italia”, solo per mere ragioni di bilancio senza contestualizzare il provvedimento nel quadro macroeconomico e senza un vero studio sugli impatti della stessa a livello di crescita. Ma su questo torneremo tra breve.

Cosa prevedono queste “clausole di salvaguardia”? In pratica rappresentano una disposizione automatica di tutela della stabilità dei conti pubblici mediante un taglio delle agevolazioni fiscali o un aumento delle imposte indirette (Iva o accise) se non si trovassero le coperture alla spesa pubblica.

Dall’introduzione, queste sono scattate solo una volta, sotto il governo Letta (quando l’Iva è stata portata al 22%, livello tutt’oggi mantenuto) e “sterilizzate” dagli esecutivi seguenti. Sul piatto del futuro governo, però, resta la spada di Damocle della prossima scadenza che potrebbe portare l’aliquota ridotta Iva al 12% e quella ordinaria al 25,4% oltre che a un aumento delle accise.

Il governo Gentiloni, però, ha già stanziato una parte delle coperture necessarie ad evitare questo ennesimo aggravio fiscale portando l’eventuale aumento, solo per l’Iva, all'11,5% per l’aliquota ridotta e al 24,2% per quella ordinaria con tutte le ripercussioni che questa azione potrebbe comportare a livello di domanda interna e di consumi che hanno appena ripreso a correre spingendo la flebile crescita del Paese.

La follia di questa impostazione sta tutta qui: in un Paese soffocato dal peso delle imposte pensare a un ulteriore aggravio fiscale significherebbe, realisticamente, andare ad azzoppare tutto il lavoro portato avanti dagli operatori economici e, perché no, anche dai governi passati per uscire dalla recessione che ha attanagliato l’Italia per quasi sette anni e, in prospettiva, andare ancora ad aggravare il rapporto debito/Pil che è l’unico vero indicatore di stabilità del sistema, ben più dei valori assoluti dei fattori citati.

Qualcuno ricorda il fiscal cliff americano? Questo rappresenta la “clausola di salvaguardia” del bilancio federale introdotta da un accordo tra Repubblicani e Democratici nel 2012 e prevede una serie di azioni automatiche per evitare un possibile tracollo nel bilancio pubblico. Riguarda un taglio netto della spesa qualora non si riescano a reperire le risorse per le coperture, dal blocco delle agevolazioni fiscali a tagli automatici di spesa corrente (in questa è prevista anche l’occupazione nei settori non core) come previsto fin dal Budget Control Act del 2011 per toccare nella misura minore possibile il tax rate complessivo.

Prendendo, appunto, il Budget Control Act come esempio non sarebbe meglio uscire dal solito stereotipo italiano del tassa&spendi ribaltando il concetto stesso di “clausola di garanzia” imponendo invece del solito aumento delle imposte un taglio automatico di spesa?

Come faceva notare Daniele Capezzone, in un suo recente articolo, anche in Italia sarebbe possibile programmare dei tagli di spesa automatici: nella composizione della spesa pubblica, ci sono almeno quattro settori aggredibili immediatamente e cioè le municipalizzate, con la cessione a prezzi di mercato, e la liberalizzazione completa dei settori in cui operano, ad esempio con l’introduzione dei c.d. costi standard nella sanità – intervento ventilato da anni ma mai realmente realizzato – razionalizzando ulteriormente gli acquisti di beni e servizi nella Pubblica amministrazione e le spese delle Regioni.

Si noti che nella proposta non si nomina mai il livello dell’occupazione pubblica che, comunque, andrebbe razionalizzato e reso più produttivo, magari potenziando i settori oggi sottodimensionati (e ci sono) e snellendo altri che, con il tempo, sono divenuti veri e propri “cimiteri per elefanti”.

Detto questo una trasformazione simile delle “clausole di garanzia” avrebbe un effetto volano sull’economia perché da un lato non contribuirebbe ad aumentare l’incertezza fiscale che è uno dei punti dolenti del sistema Italia da decenni e dall’altro garantirebbe, in caso di bisogno, l’adozione di provvedimenti pro-mercato e pro-crescita che, tra l’altro, si attendono da anni nel Paese; in più spingerebbe alla responsabilizzazione del settore politico per cercare soluzioni efficienti a garantirsi anche un certo ritorno elettorale fuori dal solito schema clientelare che, spesso, è stato adottato soprattutto in vista delle elezioni.

Quale sarebbe, quindi, l’ostacolo a un provvedimento simile? La risposta è la mera volontà politica…