Tutti i nodi del Salva Roma

Edunque il primo round se lo aggiudica il leader della Lega, Matteo Salvini. Il cosiddetto “Salva Roma” è stato stralciato dal decreto crescita e sarà inserito in un provvedimento ad hoc che riguarderà tutti i comuni in difficoltà e, dunque, non solo la Capitale. A dare la buona novella il ministro dell'Interno, a margine della riunione del Consiglio dei ministri. E a quanti gli chiedevano se avesse concordato il percorso con il collega di governo, Luigi Di Maio, assente alla riunione del Cdm, Salvini ha spiegato che le cose si concordano con i presenti. Un modo, nemmeno tanto velato, per dire che la Lega ha deciso di andare avanti per la propria strada, anche a costo di allargare il divario con i 5 Stelle.

“Abbiamo chiesto al presidente del Consiglio che tutti i comuni che sono in difficoltà vengano aiutati nella stessa maniera”, spiega Salvini, “non qualcuno prima e qualcuno dopo”. Il ragionamento dell’aiutare tutti per non privilegiare qualcuno, in sé, ha una sua valida ragione fondo. Perché mai, per dire, il dissestato comune di Piovarolo (il paesino reso celebre da Totò in un suo famoso film) non deve essere aiutato come Roma? D’accordo, la Capitale ha un suo valore specifico nel contesto nazionale, ma anche il bilancio del comune di Piovarolo incide fortemente sulla qualità della vita dei piovarolesi. Perché trattarli male? Dare un po’ a tutti per non lasciare indietro nessuno. Ma è proprio ruotando attorno a questo asse che si avvita il ragionamento sul Salva Roma. I soldi sono un tema, le specificità un altro.

Per essere ancora più chiari il quadro normativo entro il quale inserire la città eterna, in modo da svincolarla da uno straordinario che diventa ordinario, deve diventare la priorità, mentre l’assestamento dei conti una necessità del contingente. Se vogliamo davvero togliere Roma dall’eterno tavolo sul quale si gioca il braccio di ferro fra chi la governa e chi la contesta, stavolta all’interno della stessa maggioranza, si faccia una legge che assegna alla Capitale lo status di Regione come Parigi o altre grandi Capitali, in modo da concederle autonomia di bilancio. A quel punto chi la amministra non avrà più alibi di sorta. L’amara danza dello scaricabarile, ballata dal sindaco di turno per far ricadere sui predecessori l’incapacità di governare il presente, non ha solo stufato ma sta diventando stucchevole. Non può essere la collettività nazionale a pagare gli errori di una singola comunità. E va pure detto che l’attuale Salva Roma vanta, nel passato recente, più di una imitazione della quale, volutamente, si fa finta di averne perso le tracce.

Un grave errore da matita rossa. Non a caso anche il sindaco del capoluogo piemontese, Chiara Appendino, arrivati a questo punto rivendica un Salva Torino. Difficile dargli torto. Ma il vero nodo resta quello del quadro normativo per Roma, e non la semplice norma Roma Capitale, ma una legge seria, chiara. Altrimenti saremo sempre a raccontare la stessa triste storia. Anche perché dietro al braccio di ferro sul Salva Roma si celano mille altri conflitti latenti. I pentastellati, per esempio, continuano ad attaccare l’alleato sul caso Siri, di cui chiedeno le dimissioni. Sul blog delle Stelle sono state pubblicate 4 domande alla Lega per chiedere chiarimenti. Difficile non vedere una connessione fra le due cose. Davvero difficile. E anche sul decreto Crescita sono più le ombre delle luci. Entrato e uscito da Palazzo come la spola di un telaio. Ma in tutto questo chi affronta davvero le emergenze del Paese? Che non è solo Roma, anche se è da salvare…