Troppi politici, pochi statisti

“Meglio votare il prima possibile“, dicono alcuni. “A questo punto si vada a elezioni a scadenza naturale”, rispondono altri. Tecnicamente sono valide entrambi le ipotesi. E proprio perché lo sono, è del tutto evidente che si annullano, producendo un solo unico perverso risultato: congelare la situazione. Non a caso l’unico elemento certo del dibattito politico è lo stop all’accordo sulla legge elettorale, precludendo il ricorso a qualsiasi exit strategy da questa accidentata legislatura. E proprio il quadro generale è questo, c’è chi va sostenendo la necessità di “fare presto” , perché “una campagna elettorale lunga un anno non ha senso”. E poi c’è chi argomenta il contrario: “La cosa importante non è quando si vota, ma che dalle prossime elezioni esca un vincitore certo in grado di governare il Paese”.

Mettendo insieme tutto ciò, senza dare una prevalenza a l’una o all’altra teoria, il mix che ne esce fuori è un cocktail agrodolce, pronto per essere consumato nei cenacoli estivi. Ma non negli aperitivi dove, a volte, si disegnano le strategie vincenti. Insomma, come vuole la tradizione della politica, attorno alla quale si è andata costruendo un’ampia letteratura che merita sempre d’essere tenuta in considerazione, l’autunno che verrà, politicamente parlando, sarà ricco di spunti ma povero di grandi idee. Del resto dalla fine di agosto entriamo nel tunnel di una lunga, quanto estenuante, campagna elettorale, con i partiti tutt’altro che pronti e con i leader alla ricerca di una investitura. Tanto i due Matteo, Renzi e Salvini, quanto il trio grillino Di Maio, Di Battista, Fico, con la variante Meloni e Pisapia, sanno che per conquistare quella fetta di elettorato in movimento, dovranno aggredire i temi caldi come l’immigrazione e le pensioni per chiudere il cerchio con l’economia. E anche se siamo in piena estate, è già autunno caldo per chi muove i numeri.

Il governo Gentiloni ha annunciato le prime novità della prossima manovra: la riduzione del cuneo fiscale, la lotta alla povertà e un piano di massicci investimenti. Come è noto il nostro Paese sta vivendo una fase di ripresa a bassa intensità. Gli ultimi dati macroeconomici offerti da Bankitalia parlano di un aumento del Pil dell’1,4 per cento, sostanzialmente per fattori endogeni e cioè non dipendenti dalla produttività interna, bensì da una serie di cause legate alla contingenza economica. Tra l’altro gli altri Paesi dell’Unione corrono tutti più di noi, dalla Spagna (3 per cento) fino alla Francia (1,7). Siano la Cenerentola della ripresa.

Se dovesse mantenersi su questi ritmi passeranno almeno vent’anni per tornare ai livelli pre-crisi 2008. Un lusso che non ci possiamo permettere vista anche la mole di debito pubblico pende sulla nostra testa. Non sono. In Italia la situazione sociale sta diventando esplosiva. Ormai basta un cerino per provocare la deflagrazione, a partire dai giovani: la disoccupazione degli under 35 è del 40 per cento, con punte dell’80 per cento al Sud. In termini contabili, però, più Prodotto interno lordo significa meno deficit e meno debito e quindi un “sentiero allargato“, come lo ha definito il ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan, con più risorse a disposizione non solo per disinnescare le clausole Iva, ancora incombenti (per un importo di circa 6 miliardi), ma anche per nuove misure espansive, dal cuneo agli investimenti e alla lotta alla povertà.

La sensazione è che in questi ultimi anni non si è messo il veliero Italia nelle condizioni di prendere il vento della ripresa. Eravamo, erano, troppo impegnati nelle convulsioni della politica, trascinati da una campagna elettorale permanente che non solo distoglie la classe politica dalle priorità, ma che spinge i governi a produrre provvedimenti a breve termine, più efficaci nell’intercettare il voto degli italiani piuttosto che creare le condizioni strutturali per la ripresa. Della prima categoria di provvedimenti potremmo annoverare il bonus di 80 euro. Denaro che ha giovato a chi li ha presi (e probabilmente a chi li ha dati) e che ha contribuito ad aumentare i consumi, ma senza trascinare la domanda interna. Molto più efficace sarebbe stato varare un piano di investimenti e di defiscalizzazione, soprattutto del lavoro. Le priorità del nostro Paese si chiamano disoccupazione giovanile e povertà. E tornano in mente le parole di Alcide De Gasperi: “Un politico guarda alle prossime elezioni, uno statista alla prossima generazione”.

Ecco, la sensazione è che la partita vera dell’autunno caldo che verrà si giocherà su questi temi, soprattutto nella parte finale della lunga campagna elettorale. Non certo all’inizio, quando la guerriglia di posizione, il tatticismo delle alleanze, smuoverà solo i partiti e non certo le coscienze degli elettori. Ormai siamo un Paese disabituato al ragionamento, intimamente convinto che la percezione sia più importante della convinzione. Il processo innescato dal renzismo prima e dal grillismo poi, ha portato il fenomeno della comunicazione per spot all’ennesima potenza, perdendo di vista il messaggio compiuto, il discorso elaborato. Certo nessuno rimpiange i barocchismi della prima repubblica ma una via di mezzo sarebbe auspicabile.

Sarebbe il segno che l’Italia torna a crescere, culturalmente parlando, arrestando quel processo di regressione indotto da una politica sin troppo semplicistica. Il fatto stesso che di economia ne parlino solo i tecnici, mettendo gli italiani nella imbarazzante posizione di non comprendere quale sia la posta in palio, e quando succede il fatto è già avvenuto, è la prova di come occorra uno scarto di lato, un risveglio delle coscienze. Altrimenti avremo solo autunni caldi, ma senza il sapore delle foglie che cadono.