Intervento

Il testimone di Cristo risponde all’odio con l’amore

Ci hanno insegnato che rispondere al bene con il bene è un atto umano; Rispondere al male con il male è un atto animalesco; Rispondere al bene con il male è un atto diabolico; Rispondere al male con il bene è un atto divino.

Quanto è facile unirsi alla piressia dell’uragano di critiche rivolte agli organizzatori della cerimonia dei Giochi Olimpici? Com’è facile descriverli con le descrizioni più offensive e affrontare la blasfemia con insulti e ingiurie? Quanto è facile inventare descrizioni oltraggiose per rispondere a quelli che hanno ferito i sentimenti sensibili dei credenti? Come se i sentimenti sensibili dei credenti giustificassero anche la durezza di alcune lingue e il desiderio di molti di salire sul cavallo dell’eroismo per difendere la fede e Cristo umiliato.

Occorre qui evidenziare che:

Ogni credente ha il diritto di sentirsi offeso e di chiedersi perché si permette, soprattutto nell’occidente, di insultare liberamente Cristo e di deridere gratuitamente i cristiani? Mentre gli stessi ingiuriosi rispettano e temono i seguaci di altre religioni che non permettono a nessuno di offendere i loro simboli, libri o rituali? Sarà perché la risposta di questi seguaci offesi è spesso costituita da incendi, massacri, terrorismo, bombardamenti e emanazione di leggi che cercano di far tacere tutti e impedire a ogni essere umano, ogni artista, ogni scrittore e ogni pensatore anche solo di pensare o criticare o esaminare, o anche solo di interrogarsi su alcune loro pratiche religiose? Perché questa doppia misura codarda?

Ogni credente ha il diritto di sentirsi turbato e indignato quando i suoi simboli religiosi vengono insultati, ma non ha il diritto di cadere nella trappola di rispondere con la stessa moneta, perché il più grande successo del tuo nemico è abbassarti al suo livello, e la più grande vittoria del tuo avversario è quando ti toglie la maschera della pietà, della morale e della religiosità, che spesso alcuni credenti indossano per nascondere la durezza del loro cuore e la falsità della loro fede.

Ogni presule ha il diritto di rilasciare dichiarazioni e di denunciare chiaramente le offese, ma non è suo dovere lasciarsi trascinare nella corsa dei “difensori impulsivi”, come se l’importante fosse dimostrarsi “protettore della fede” e non “testimone” di Cristo che tollera gli insulti e risponde all’odio con l’amore, alla critica con la comprensione, alla maledizione con la benedizione e alla persecuzione con la preghiera.

I non cristiani hanno il diritto di rilasciare dichiarazioni in cui denunciano tutti gli insulti rivolti ai simboli religiosi, che spesso vengono rilasciate per giustificare la violenza dei loro seguaci nel rispondere a tutto ciò che considerano un insulto ai loro simboli religiosi.

Tutti hanno il diritto di chiedere scuse ufficiali agli organizzatori della cerimonia dei Giochi Olimpici di Parigi, ma nessuno ha il diritto di limitare o impedire a chiunque di esercitare il proprio diritto di esprimere le proprie opinioni, convinzioni e persino le proprie stranezze, purché non causino la morte di nessuno né incitino alla violenza, all’omicidio o al terrorismo.

Chiediamoci qui con franchezza e sincerità:

Gli organizzatori della cerimonia dei Giochi Olimpici di Parigi hanno davvero ferito i sentimenti dei credenti, oppure sono stati uno strumento per ricordare a tutti noi l’importanza dell’evento salvifico dell’Ultima Cena, nella quale Gesù Cristo ha istituito il sacramento dell’Eucaristia e sacramento del sacerdozio, e ha dato l’esempio ai suoi discepoli lavando loro i piedi? Quale dovrebbe essere la reazione corretta e cristiana alle loro provocazioni?

Il vero insulto all’“Ultima Cena” di Gesù Cristo non è forse quando trascuriamo l’importanza di celebrarla ogni domenica come dovere di fede e necessità esistenziale? Non siamo tra quelli che preferiscono il riposo piuttosto che andare in chiesa la domenica? In realtà, non preferiamo una partita di calcio alla celebrazione dell’Eucaristia? Non siamo noi tra quelli che ingegnano scuse per non andare in chiesa e per non praticare i sacramenti?

Non siamo forse tra quelli che dicono come Pietro: “Anche se tutti si scandalizzassero di te, io non mi scandalizzerò mai”. Mentre Cristo ci risponde: “In verità ti dico: questa notte stessa, prima che il gallo canti, mi rinnegherai tre volte”.

Non siamo forse tra coloro che hanno dimenticato che il Signore Gesù ha accettato l’insulto: “Maltrattato, si lasciò umiliare e non aprì la sua bocca; era come agnello condotto al macello, come pecora muta di fronte ai suoi tosatori, e non aprì la sua bocca” (Isaia 53:7)?

Non siamo forse tra coloro ai quali Cristo dice: “«Fratello, lascia che ti tolga la pagliuzza che è nel tuo occhio, mentre tu stesso non vedi la trave che è nel tuo occhio? Ipocrita!” (Luca 6:41)?

Non siamo forse noi tra coloro che offendono Cristo con la nostra vita ipocrita e annacquata? Con le nostre parole che contraddicono la nostra fede?

Sottolineiamo che Cristo non ha bisogno dei difensori arrabbiati, ma di veri credenti. Il vero Dio non ha bisogno che nessuno lo difenda o che terrorizzi o maledica gli altri in suo nome. Non ha bisogno di persone che brandiscano la spada per difenderlo, “Riponi la tua spada al suo posto, perché tutti quelli che prendono la spada, periranno di spada!” (Matteo 26:52). Non ha bisogno di dichiarazioni di condanna, ma di testimonianze di vita, «Così risplenda la vostra luce nel cospetto degli uomini, affinché vedano le vostre buone opere e glorifichino il Padre vostro che è ne’ cieli» (Matteo 5:16). Non ha bisogno di guide cieche, che filtrano il moscerino e ingoiano il cammello!.

Ringraziamo gli organizzatori della cerimonia dei Giochi Olimpici per averci ricordato l’importanza dell’evento di salvezza dell’Ultima Cena. Perché hanno provocato in noi l’orgoglio della nostra appartenenza a Cristo, che ci ha insegnato che l’amore vissuto è la misura della fede; che risposta giusta all’insulto è la benedizione.

Trasformiamo l’offesa in occasione per rendere grazie a Cristo, che ci dona il suo corpo e il suo sangue come pane per la vita terrena ed eterna.

Convertiamo la provocazione in un appello a ritornare alla pratica e al rispetto dei Sacramenti.

Lasciamoci vedere nelle ampie reazioni globali, il bisogno del mondo di Cristo Redentore e sempre agiamo, commentiamo, obiettiamo, denunciamo come Cristo ci ha insegnato.

mons. Yoannis Lahzi Gaid

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