Tasse e Facebook: cosa c'è da sapere

Una notizia importante, forse “la” notizia che si inserisce nel dibattito attuale sull’imposizione verso i giganti del web di questo periodo, è che entro il 2019 la fatturazione dei servizi di Facebook verrà decentrata verso gli uffici presenti nei vari stati di operatività e non più accentrate sulla sede irlandese.

Non è una novità che diverse multinazionali abbiano fissato la loro sede fiscale nei dintorni di Dublino, soprattutto per beneficiare del vantaggioso sistema fiscale per le imprese, e, per questo, in tutta l’Ue si sta discutendo di introdurre un’imposta ad hoc per poter intercettare i proventi che, invece, verrebbero elusi al fisco locale per essere tassati laddove le aliquote fossero più convenienti.

In questo scenario è nata la web tax, iniziativa che vede l’Italia capofila nella ricerca di un metodo efficiente per tassare le transazioni via web. Della cosa ne avevamo già parlato in uno scorso intervento, indicandone la struttura e le criticità (che non sono poche, soprattutto per via dell’impostazione dell’imposta) ma proprio nel solco tracciato dal provvedimento italiano si innesta la nuova strategia di Facebook.

Decentrando la fatturazione, di fatto, si va a eliminare, almeno nominalmente, il vantaggio dovuto all’arbitraggio fiscale interno all’Unione Europea e i proventi per i servizi erogati diventerebbero imponibili sul territorio dove questi si sono verificati. Sfruttando la sede irlandese fino a oggi Facebook ha pagato, legalmente va sottolineato, imposte di importo ridicolo; in Italia, ad esempio, si parla di poco più di 200 mila euro, a fronte di quasi 400 milioni di euro di servizi venduti.

La nuova strategia, messa così in atto, andrebbe a placare le polemiche e zittire le accuse, per quanto non rilevanti a livello legale, di “grande elusore” cosa che potrebbe avere, quasi sicuramente, un elevato ritorno di immagine che, per un’azienda che vive di pubblicità e di big data, non è esattamente un fattore marginale.

Dave Wehner, capo dell’area finanziaria di Facebook, ha recentemente dichiarato che la società “ritiene che spostare i ricavi a una struttura locale mostrerà maggiore trasparenza a quei governi e a quei politici che ci hanno spesso chiesto maggiore chiarezza nella rendicontazione dei guadagni che otteniamo nei loro Paesi”.

Il punto focale, però, di tutto questo si traduce in una domanda che pur parendo scontata nasconde ben altro: Facebook inizierà a pagare più tasse in quei paesi dove al momento è riuscita a ridurre quasi a zero l’imposizione fiscale?

La risposta non è così banale come sembra.

Le imposte, infatti, si pagano sugli utili e non sul transato (salvo che per la web tax italiana ma ci torneremo tra un momento) e, quindi, l’Azienda potrebbe utilizzare il cosiddetto “transfer pricing” per arbitrare in maniera anche più efficace delle imposte. Tramite i “transfer pricing”, infatti, si cerca di eliminare completamente la voce relativa agli utili dal bilancio semplicemente tramite un sistema di fatturazione interno tra la filiale nello Stato ad alta imposizione e la sede centrale posta laddove questa fosse più contenuta, imputando servizi dal costo pari all’importo degli utili registrati.

Così facendo sarebbe possibile anche “sterilizzare”, nel caso italiano, la web tax poiché questa avrebbe come base imponibile il transato locale ma, contemporaneamente, genererebbe un “bonus” fiscale da detrarre dalla quota Ires maturata. Sarebbe così difficile imputare, così, solo gli utili necessari a ottenere un’imposta pari a quanto già pagato di web tax sul transato da compensare e, quindi, tramite la fatturazione di servizi riportare gli utili restanti in capo alla filiale irlandese?

Nonostante quanto sostengano i fautori della nuova imposta digitale, che cioè l’Agenzia delle Entrate abbia tutti i mezzi per contrastare queste pratiche, la questione non è di facile soluzione perché, probabilmente, nel caso sarebbe necessario aprire un contenzioso e arrivare a un accordo con la società, cosa che comporterebbe costi non indifferenti per l’Erario a fronte di un introito non sicuro.

Difficile, quindi, affermare, oggi, che Facebook possa automaticamente arrivare a pagare un volume di imposte di un ordine di grandezza superiore a quelle odierne solo per la decisione di decentrare la competenza della fatturazione, anzi, prospetticamente, la società che gestisce il social network più popolare al mondo potrebbe addirittura ottenere un beneficio fiscale anche maggiore rispetto a quello che sconta oggi con la sede finanziaria accentrata in Irlanda.

Come già si accennava qualche paragrafo fa, l’operazione sembrerebbe, quindi, più una grande operazione di marketing, indispensabile quando anche i rapporti con la fiscalità diventano una questione di immagine, e strutturare il business in maniera più chiara e trasparente, almeno in apparenza, potrebbe costituire una mossa vincente nella partita tra gli affari e la reputazione verso gli utenti finali.

In più ci sarebbe anche la non tralasciabile questione dell’attenzione che la Commissione Europea sta indirizzando verso i colossi del web: un rapporto del Parlamento europeo indica che, tra il 2013 e il 2015, gli Stati membri dell’Unione abbiano perso gettito per 5,4 miliardi solo per i mancati versamenti di Google e Facebook mentre secondo R&S Mediobanca, tra il 2012 e il 2016, i giganti Hi Tech  iano riusciti a eludere circa 46 miliardi di euro che diventerebbero quasi 70 se si aggiungesse Apple.

Dopo il caso Amazon di qualche tempo fa, con la sanzione di 250 milioni di euro erogata dalla Commissione per le imposte risparmiate per mezzo del tax ruling che l’azienda aveva concordato con l’ex governo Juncker in Lussemburgo (ed è ironico che a sanzionare sia proprio quella Commissione Europea guidata dallo stesso Jean Claude Juncker), la ricerca di soluzioni più efficienti per minimizzare i costi da imposte, perché di questo si tratta, alla fine, di costi da minimizzare a beneficio degli stakeholder esattamente come quando si parla di costi del personale ad esempio, è credibile abbia portato allo studio di questo nuovo modello.