Taglio dei parlamentari, ecco chi è il vincitore politico
è un sicuro vincitore politico nella giornata in cui è stata approvata definitivamente la riforma costituzionale che riduce il numero dei parlamentari da 945 a 600. E questo vincitore si chiama Luigi Di Maio che si riprende una centralità che gli è variamente insidiata. A prescindere dalla considerazione se la riforma sia giusta o sbagliata – e i pareri sono difformi – di sicuro porta la sua firma, e lui vede premiata la tenacia con cui ne ha posto l’approvazione definitiva come condizione imprescindibile per formare il governo ad un PD che viceversa aveva sempre votato “no” nei tre precedenti scrutini.
Per il PD è più laborioso argomentare il cambio di posizione, tanto forte era stata l’opposizione ad una riforma definita “peronista”, come dire demagogica e fondamentalmente autoritaria. E’ pur vero che Zingaretti ha posto a sua volta una condizione a Di Maio: approvare in fretta tutti i correttivi necessari alla riforma e portare a casa una nuova legge elettorale che sia coerente, vale a dire a carattere proporzionalistico. C’è su questo un impegno sottoscritto da tutte le forze politiche di maggioranza e Zingaretti dovrà vigilare perché le promesse diventino fatti. Del resto, dal punto di vista del PD, dire sì alla riduzione dei parlamentari è stato un atto di realismo politico: se si voleva formare il governo, salvare la legislatura e impedire elezioni anticipate che avrebbero segnato la vittoria di Salvini, non si poteva rifiutare ai grillini un risultato che essi consideravano addirittura identitario (nel senso dell’”anti-casta”). E così è stato fatto.
Quanto al centrodestra, c’era chi dava per certa un’astensione tattica dal voto della Camera per mettere in luce i non pochi maldipancia presenti nel corpo parlamentare della maggioranza chiamato a votare una sorta di automutilazione. Ma così non è stato: Salvini e Meloni hanno sempre votato a favore della riduzione del numero di deputati e senatori e, se si fossero astenuti o avessero disertato l’aula al momento decisivo, avrebbero di sicuro subito un contraccolpo di immagine politica. Così non è stato.
C’è poi un altro elemento da considerare. Il voto di Montecitorio allunga la prospettiva di vita della legislatura, mai troppo sicuro. Infatti, ora che è stato espresso il quarto voto definitivo – necessario trattandosi di legge costituzionale – ci sono i tempi tecnici da attendere, compresi quelli per dar modo al corpo elettorale di organizzarsi per un referendum confermativo. Stiamo parlando di un periodo che va da sei mesi ad un anno. Giuseppe Conte, alle prese con le spine della manovra economica 2020 e del caso dei rapporti di intelligence tra l’Italia e gli Stati Uniti, non può che trarre un sospiro di sollievo. Naturalmente tutte queste sono considerazioni sul solo dividendo politico della giornata. Quanto invece al merito della riforma, come dicevamo, saranno i costituzionalisti ad esprimersi e presto probabilmente dovrà farlo anche il corpo elettorale.
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