Stress, ansia e delusione: cosa resta del lockdown

L’articolo di Fabrizio Peronaci, apparso su il corriere.it il 20/07/2020, “stress, coronavirus, giornalisti, medici, operatori 118 premiati”, mette l’accento sugli effetti di burnout di cui soffrono in particolare medici, operatori sanitari e soprattutto i giornalisti, nel post pandemia. L’articolo inoltre evidenzia gli esiti benefici di un approccio curativo della medicina sinestesica, ideata dal Dr. Mandrillo. Non entro nel merito di tale trattamento, bensì rifletto sui possibili effetti dello stress accumulato dai vari professionisti citati nell’articolo.

Nel proporre le mie considerazioni penso sia innanzitutto opportuno fare chiarezza su alcuni termini e concetti. Burnout è un termine inglese che significa esaurito, letteralmente bruciato, e viene quindi utilizzato per designare una sindrome caratterizzata da un forte disagio psicofisico, dovuto ad una costante e continuativa esposizione, in prima persona, a eventi stressanti che creano difficoltà di gestione, di controllo e indeboliscono gradatamente le risorse soggettive. Si tratta di un quadro specifico, post-traumatic stress disorder (PTSD), riconosciuto dall’OMS e anche presente nel DSM, il manuale di diagnostica psichiatrica dell’American Psychiatric Association.

Tale sindrome è stata inizialmente inquadrata all’interno dei disturbi d’ansia, mentre nell’ultima versione (DSMV) la lettura clinica mette maggiormente l’accento sugli effetti della continua esposizione a forti eventi traumatici e stressanti evidenziando come la conseguente sofferenza sia variabile e sempre relativa alla singola persona. Se la pandemia è sicuramente un evento universale rispetto a cui la popolazione intera ha dovuto fare i conti, l’effetto è sempre soggettivo. La prospettiva della psicoanalisi insiste molto sulla componente soggettiva, specificando come ogni sofferenza, ogni quadro sindromico è bene vengano osservati e valutati declinandoli al singolare.

Infatti, la percezione che ogni soggetto ha della realtà, degli eventi traumatici e dei fattori stressanti, non può prescindere dalla storia individuale, dal vissuto soggettivo, dalle difese e dalle risorse specifiche di ogni soggetto. Sigmund Freud è stato senz’altro pioneristico nell’intuire la portata della realtà psichica soggettiva nel rapporto del soggetto con la vita, con gli eventi e con gli altri, soffermandosi sul legame peculiare individuale tra realtà interna e realtà esterna.

I fatti che accadono hanno quindi conseguenze diverse nel mondo interno di ogni soggetto che vi risponde a partire dalle proprie fragilità e con le proprie risorse. Per noi psicoanalisti la clinica del trauma, dei disordini legati allo stress, è sempre una clinica del caso particolare. Nella più ampia prospettiva psicologica viene definito stress uno stato di tensione e attivazione fisico-psicologica, indotto da fattori esterni ed interni, che perdura nel tempo, e sottopone l’individuo ad uno sforzo sempre maggiore per affrontarlo e trovare le proprie strategie di adattamento.

Ecco perché, frequentemente, soprattutto nella prospettiva della psicologia cognitivo-comportamentale, il concetto di stress si lega, in un binomio, con quello di coping, che riguarda le capacità di ogni individuo di esaminare l’evento stressante e trovarne le soluzioni migliori, atte a fronteggiare tali situazioni. Il concetto di coping richiama quello di resilienza che si riferisce alla capacità soggettiva di resistere, superare un periodo di forti avversità e, nel contempo, progettare soluzioni di ripresa e benefiche al raggiungimento di una omeostasi.

Diciamo tuttavia che la vita in sé, specialmente quella iper moderna, sottopone ognuno a momenti e fattori stressanti, richiede sforzi e strategie per risolvere le eventuali difficoltà. Ecco l’importanza di distinguere tale fatica umana dai quadri di burnout la cui specificità riguarda ovviamente l’intensità dei fattori stressanti e la loro durata temporale senza, ripeto, prescindere dalla centralità della valutazione e della risposta soggettive a tali sollecitazioni traumatiche. In questa prospettiva il così detto processo di reazione allo stress (SRP – Stress Reaction Process), cioè l’insieme dei vissuti, delle emozioni, delle risposte individuali, assume caratteristiche differenti a seconda che la persona sia in grado di affrontare e superare con le proprie risorse la situazione e quindi percepisca di essere in grado di reagirvi, oppure no. Nel primo caso si parla di reazione allo stress controllabile (SRPc), nel secondo di incontrollabilità (SRPi).

E’ importante che, nel corso della vita, l’individuo riesca comunque a coniugare le esperienze di SPRc e di SPRi, indirizzandole verso reazioni soggettive sempre più rafforzate e in grado quindi di far fronte a situazioni future difficili e traumatiche. Capiamo dunque come non sia così semplice dare una definizione generale e universalizzabile dello stress e degli agenti stressanti, là dove interviene sempre la trama soggettiva e dunque la lettura dello stesso evento come minaccioso, stressante oppure no, è variabile e così anche le relative modalità di reazione. E’ possibile affermare che una situazione diventa stressante nel momento in cui un individuo la vive come minacciosa o come più forte delle proprie risorse.

Ecco l’importanza, in tali esperienze e momenti avversi, della condivisione con gli altri che a loro volta stanno vivendo il momento stressante e sono impegnati nello sforzo di reagirvi, perché ciò offre sostegno reciproco, una condivisibile comprensione e un efficace supporto anche agli effetti psicologici ed emotivi, oltre che fisici. E’ proprio tenendo conto di tale specificità di medici, operatori sanitari, volontari, giornalisti, di chi cioè si è trovato a collaborare in prima linea, seppur nelle diverse aree professionali, che desidero proporre una riflessione.

Ritengo che gli effetti di burnout possano essersi originati soprattutto da due precisi fattori. Il primo riguarda la virulenza improvvisa e pervasiva degli effetti del virus, che ha trovato tutti impreparati: dai singoli cittadini, ai medici e agli scienziati, fino ai politici e ai capi di stato. Come se, l’imprevedibilità e la pervasività, si fossero violentemente e silenziosamente introdotte nel binomio stress-coping, creando vissuti soggettivi di helpness, cioè di una incapacità a controllare, a prestare un immediato e risolutivo aiuto, a portare soccorso, a rimediare e anche a veicolare notizie chiare e vere.

La velocità dei contagi, la fretta nel dover trovare soluzioni immediate per salvare vite umane, l’urgenza di prendere decisioni politiche, governative, sanitarie e l’esigenza di veicolare un’informazione chiara e utile ai fini precauzionali, può senz’altro aver creato quadri psico-fisici peculiari del disturbo post- traumatico da stress (PTSD). Pensiamo alle tante persone morte negli ospedali per mancanza di letti, di attrezzature, alle perdite di vite umane nelle RSA, e quante, quante fake news hanno imposto sforzi e sfide stressanti ai giornalisti. Tanti mesi e sempre in prima linea e in un tornado di parole contradditorie, notizie e dati falsi, aree rosse, gialle, chiusure, aperture….!