La strage di Bologna e l’attacco alla Repubblica

“Dolore, ricordo, verità”. Con queste tre parole il Presidente Mattarella ha sintetizzato l’atteggiamento attuale della Repubblica italiana versi la strage di Bologna del 2 agosto 1980.

Nella Costituzione, il termine Repubblica non indica solo le istituzioni: per i costituenti, infatti, la parola Repubblica indica insieme e inseparabilmente le istituzioni e la società. Esprime cioè il legame fondamentale che le unisce.
Sia le une sia l’altra sono state drammaticamente colpite dalla più grave strage di tutta la storia repubblicana: le istituzioni, perché qualcuno ha creduto non solo di poter infrangere impunemente la legge ma anche di poter cancellare trentacinque anni di democrazia conquistata al prezzo di tanti sacrifici; la società, non solo perché sono state uccise ottantacinque vittime innocenti ma anche perché tutto il tessuto della convivenza civile è stato dolorosamente colpito.

La Repubblica – con tutto ciò che di radicato nella storia e di aperto al futuro evoca questo nome – è stata profondamente ferita. Ma ha trovato il coraggio di risollevarsi e di andare avanti: lo hanno trovato, insieme, le istituzioni e la società.
Ribadire questa scelta è quanto ha espresso Mattarella che, recandosi a Bologna, ha interpretato intensamente il suo ruolo di massimo rappresentante insieme dello Stato e di tutti i cittadini italiani.

Dolore dunque per tanti innocenti uccisi, per le loro famiglie, per lo strazio provocato dalla loro morte nella vita di tanti. Ma anche memoria.
Non solo delle persone ma anche dell’evento e di ciò che avrebbe voluto essere: il tentativo di colpire a morte la Repubblica. L’intento era di diffondere il panico, creare sfiducia nelle istituzioni, far collassare lo Stato, soffocare la libertà, il cambiamento e la speranza.
É quanto esprime la verità giudiziaria: sono stati infatti condannati Mambro e Fioravanti (con sentenza definitiva dalla Cassazione nel 1995), Ciavardini (nel 2007) e Cavallini (da pochissimo: nel gennaio 2020) quali autori materiali della strage. Tutti esponenti del mondo neofascista che nel 1980 fece il “salto di qualità” dalla violenza “spontanea” al terrorismo “organizzato”.

Ma organizzato da chi e perché? Eccoci all’ultima delle tre parole di Mattarella: verità. Tutta la faticosa ricerca dell’accertamento delle responsabilità è stata infatti pesantemente ostacolata da tentativi di nascondere la verità. Depistaggi. Realizzati da apparati deviati dello Stato, influenzati da Licio Gelli, il “burattinaio” della loggia massonica P2. Anche Gelli infatti è stato condannato per questo: c’è dunque una “verità giudiziaria” che attesta anche questo. Ma la giustizia non ha ancora stabilito chi siano i mandanti. Ed è questo un motivo di grande amarezza, come ha sottolineato il card. Zuppi nella celebrazione in memoria delle vittime.

La Repubblica ha diritto di sapere chi sono i suoi nemici, chi ha cercato di distruggerla: giungere ad una condanna dei mandanti significa eliminare le oscurità residue che ancora circondano la strage di quaranta anni fa. Recentemente, tuttavia, sono emerse nuove prove che indicano in Gelli non solo il grande depistatore ma anche il probabile mandante. Se il corso della giustizia lo confermerà in modo definitivo sapremo chi ha pianificato questa strage di innocenti e saremo in grado di valutare fino in fondo il disegno di chi ha cercato di lacerare il patto fondamentale che unisce le istituzioni e la società. E di trarne lezioni importanti per il presente e il futuro della Repubblica.