Stati generali, il consesso della Yalta italiana

Gli Stati generali dell’economia, prima ancora di avere un ordine dei lavori strutturato, hanno già perso dei pezzi: le opposizioni hanno deciso di non presentarsi all’appuntamento, perché ‘’il dibattito si deve svolgere in Parlamento’’. La motivazione del ‘’gran rifiuto’’ non è sostenibile, perché i protagonisti degli Stati generali dovrebbero essere le organizzazioni economiche e sociali, oltre a singole personalità istituzionali o dotate di particolari competenze, inclusi i rappresentanti delle strutture politico-amministrative dello Stato delle autonomie. Poiché il Parlamento non è più la Camera dei Fasci e delle Corporazioni, non si vede a quale titolo potrebbero partecipare al D Day le forze istituzionali, economiche e sociali a cui il governo intende rivolgersi.

Questa replica mi sembrerebbe più pertinente di quella espressa da Conte sul rango della villa in cui si svolgerà l’iniziativa. Magari ricordando al senatore Salvini che ai tempi della sua partecipazione al Conte 1, il Viminale ospitava frequenti ‘’Stati colonnelli’’, a cui le rappresentanze imprenditoriali e sindacali partecipavano ‘’un po’ per celia, un po’ per non morir’’. Il problema non è dunque quello della sede. La Conferenza di Yalta si tenne in Crimea, nel Palazzo di Livadija, vecchia residenza estiva dello zar Nicola II, fra il 4 e l’11 febbraio 1945. Colà Roosevelt, Churchill e Stalin si spartirono le rispettive aree di influenza dopo l’imminente vittoria nella Seconda guerra mondiale. L’ordine del giorno era abbastanza impegnativo: “Creazione di un sistema di pace mondiale, assetto postbellico dell’Europa dopo la sconfitta della Germania nazista, prosecuzione della guerra in Estremo Oriente’’.

Certamente di Stati generali di Giuseppe Conte non passeranno alla storia e non decideranno, forse, neppure le sorti dell’Italia dopo l’armistizio con la pandemia. Ma le iniziative di tale solennità sono come gli alberghi spagnoli: un ospite vi trova – si dice – solo quello che vi porta. Che cosa andrà a dire il governo? Pare ovvio, infatti, che non si può organizzare una Fiera delle Vanità, nella quale – rigorosamente distanziati e mascherati – prenderanno la parola le personalità invitate mentre il governo si limiterà a verbalizzare. Il presidente del Consiglio e i ministri non possono cavarsela ascoltando i cahiérs de doléances; devono dire, fare promesse, assumere impegni. Ma – stiamo attenti – per proporre una strategia politica non è sufficiente avere delle idee brillanti, magari migliori di quelle scritte nel testo della Commissione Colao; è necessario che i programmi siano credibili e sostenibili.

E non è solo un problema – pur essenziale – di stanziamenti adeguati e disponibili; è necessario che si verifichi un concorso di condizioni che non dipendono da un unico Paese, ma da una concertazione comunitaria adeguata ad influire sulla ricostruzione e l’orientamento del mercato globale. E queste condizioni, per ora, non si sono ancora determinate nel loro insieme. Mi riferisco all’ adozione definitiva da parte dell’Unione europea del Piano dei quattro pilastri (Mes, Bei, Sure, Next Generation Europe) strategici, la cui formulazione non può consistere soltanto in un programma finanziario ma deve articolarsi in progetti comuni in cui ogni Paese partecipa per le sue attitudini e i suoi punti di forza. L’Unione non può risolvere i problemi dicendo agli Stati membri ‘’ecco le risorse fate un po’ come vi pare’’.

E’ urgente un’iniziativa come quella assunta in ‘’Lisbona 2000’’, con l’indicazione di obiettivi da conseguire secondo un cronoprogramma flessibile, ma definito. Questo salto di qualità non è ancora stato compiuto. Ma questa volta, il piano Marshall l’Europa deve farselo da sola. Fino ad ora, i Paesi colpiti dalla pandemia (Italia compresa) hanno adottato programmi congiunturali di sostegno delle famiglie, delle imprese e dell’economia. Per quanto riguarda l’Italia, una riunione degli Stati generali non dovrebbe perder tempo nell’andare “a caccia di farfalle sotto l’Arco di Tito”, ma dovrebbe mettere a fuoco gli interventi necessari ad impiegare le risorse già disponibili nei tre decreti varati per contenere gli effetti dell’epidemia. Sotto questo aspetto vi sono nel Piano Colao proposte di carattere congiunturale (in tema di fisco, di lavoro e di snellimento delle procedure) utili ed efficaci, sulle quali – forse strumentalmente – si è dichiarata d’accordo anche l’opposizione. È opportuno procedere rapidamente su questo terreno. C’è sempre un “primum vivere” da garantirsi.|