Speranze olimpiche o olimpiche illusioni

In questi ultimi giorni siamo tutti stati informati della ripresa del dialogo tra i governi delle due Coree. Alla base di ciò vi è la disponibilità della Corea del Nord a partecipare, mediante una delegazione di atleti, alle prossime Olimpiadi invernali che si terranno in Corea del Sud.

Tutto questo è stato letto da vari osservatori internazionali come un segnale di speranza, in un contesto ordinariamente molto più cupo. E' allora utile porsi alcune domande: è una speranza credibile? Ha basi concrete? E sopratutto, ha prospettive durevoli? La risposta a queste immediate domande esige un minimo di retrospettiva storica e di contestualizzazione.

Da quando la penisola coreana è divisa in due entità politiche – tra l'altro formalmente ancora in guerra con un semplice accordo di armistizio –  vi è stata un'alternanza di periodi di dialogo e di periodi di gelo diplomatico. Questo soprattutto a causa del modus agendi dei governanti della Corea del Nord; il che, in termini più concreti, significa a causa della volontà politica dei membri della famiglia Kim.

I vari dittatori Kim che si sono succeduti hanno più volte aperto piste di dialogo (di volta in volta sportive, culturali, economiche, ecc), per poi richiuderle in modo repentino e difficilmente comprensibile secondo i canoni della diplomazia classica con una qualche scusa di carattere ideologico. E soprattutto, senza mai aver concesso nulla di minimamente sostanziale: sia in termini di contenuti (applicazioni del rispetto dei diritti fondamentali della persona) che in termini di metodo (aumento della trasparenza istituzionale della Corea del Nord). Non si vede quindi perché questa volta dovrebbe essere diverso.

Una nota sul contesto sportivo. Il precedente si colloca nelle Olimpiadi di Seul del 1988. In quell'occasione la Corea del Nord propose di realizzare un'Olimpiade congiunta, con alcune gare sul territorio della Corea del Nord. Avendo ricevuto un rifiuto da parte di Seul, il governo della famiglia Kim iniziò una pesante e durevole campagna di propaganda sulla chiusura al dialogo da parte occidentale.

Pertanto non poteva non cogliere l'occasione delle prossime Olimpiadi per riproporre lo stesso schema: in caso di rifiuto i cattivi sarebbero stati i governanti di Seul. Dobbiamo inoltre essere realistici, anche quando parliamo di sport. Per l'Occidente lo sport è (oltre che strumento commerciale) un mezzo di realizzazione della persona, quindi anche della sua libertà. Per altri è strumento di propaganda, di controllo del proprio popolo e di visibilità internazionale. Basti vedere come è gestita l'organizzazione sportiva in Corea del Nord.

In positivo, vanno ricordate le due posizioni concrete assunte dai principali attori strategici d'area: Stati Uniti e Cina. Gli Usa, a seguito degli accordi coreani, hanno infatti deciso di sospendere le pesanti esercitazioni militari congiunte previste in Corea del Sud (anche in funzione del ripristino della linea telefonica di emergenza) e la Cina è intervenuta più volte attraverso la sua agenzia stampa ufficiale, sostenendo l'inizio di questo percorso e proponendo alcuni sviluppi.

Come porsi allora di fronte a questa opportunità di dialogo? Con realismo e pazienza. Il dialogo va sempre colto, sopratutto quando l'alternativa è la voce delle armi o della tensione militare. Ma i termini, le lingue e i toni di questo dialogo non devono essere subiti o limitati alle scelte dell'interlocutore. Io ti ascolto nella lingua che tu vuoi parlare, anche se è ridondante e forse vuota di contenuti e prospettive; ma sappi che anch'io ho una mia lingua che metto a disposizione e che non intendo abbandonare.

Vedremo se, almeno da oggi sino alla fine del periodo olimpico, la Corea del Nord eviterà di usare la lingua dei lanci missilistici. La pace olimpica è una definizione che include la speranza ma non si confonde con l'illusione.

Piercarlo Valtorta – presidente dell'Istrid (Istituto Ricerche Studi Informazioni Difesa)